Dalla postfazione di Andrea De Alberti
Ogni evoluzione personale tenta di arginare l’avvenire, i valori consegnati dal passato, la memoria sgretolata, e nello stesso tempo accrescere e consolidare una grammatica sia emotiva che sintattica. In questo libro, Bernardo Pacini sembra planare nel mezzo di una conversazione tra due persone-vettori (A-B, Male-Bene, Unione-Disfacimento) per aiutarle a proseguire un discorso o superare una tappa, in definitiva per incoraggiarle a fare meglio, affinché sentano lo stesso tac di calamita che ritroviamo nella citazione iniziale di Giovanni Giudici. L’inchiesta del poeta mette in scena l’esistenza di individui che
– senza presentare la minima turba psichica superficiale – esaltano un carattere particolare, una celata richiesta di aiuto. Pacini scava un vuoto che è un grembo perfettissimo di memoria usando gli stessi attrezzi per seppellire e disseppellire, in un’azione e contro-azione etica che determina attorno all’io tre sfere concentriche: la seconda che va più lontano della prima; la terza che va più lontano della seconda. In mezzo, l’io si dilata fino al disfacimento (o almeno alla sua ipotesi): vorrebbe ricostruire tutta l’esperienza in un nuovo spazio, abbracciarla in un tempo libero e liberato da un pensiero dominante che non è compatibile con il tempo della poesia. Il contatto può avvenire anche con oggetti che indicano il risultato di processi di disfacimento: un limone spremuto con rabbia, pezzetti di spago, palline, gabbie, siepi basse, banconote false. Una specie di assimilazione involontaria del reale attraverso i tic, che procede in modo del tutto naturale, quasi istintivo. Il tic sembra essere per Bernardo il Big Bang, lo sforzo da cui facciamo derivare le idee, le parole e i pensieri. In un tic assurdo può avvenire il tac: due semplici suoni capaci di generare un’esplosione di senso. In Phishing, la seconda sezione del libro, i protagonisti sono persone che non esistono. Parlano una lingua anomala e obliqua, come i bot che producono le mail di spam e phishing che riceviamo nelle nostre caselle di posta elettronica: la grammaticatura lessicale zoppicante tipica di questi fenomeni dà corpo a personaggi iperreali che non riconoscono altre voci oltre alla propria. [...] Nella sezione Il perfetto collasso delle nuvole il cielo, come i corpi degli strongmen, è incapace di trattenere il disamore, la sofferenza, la gerarchia degli affetti: qui tutto crolla o collassa in un incrocio di solitudini senza innesco. Tutto lentamente si dissolve. Eppure insistere a inesistere è un mestiere, e per questa ragione nella latitanza (Ghosting) nessuno scappa veramente. [...]
Da Ipotesi sul mio disfacimento (Mar dei Sargassi Edizioni 2024, collana Apnea)
Seduti a questo tavolo del bar
vediamo svanire la nostra ironia
nel fumo denso della fog machine
il lago artificiale in mezzo al parco
tastato dalla luce dei faretti
dalla discoteca estiva.
L’unica forma che sia riconoscibile
per noi seduti a questo tavolo
è un cigno che pedala nel buio a pelo d’acqua
guardando un carrello della spesa
riverso sul fondale.
Il suo modo di non chiedere spiegazioni
è quello di chi guarda un’altra volta
a un fatto doloroso del passato:
conosce il diradarsi della pelle intorno all’osso
ne culla l’assenza di bene
nel blocco anatide degli occhi
*
Tu, con me, fai come le gattare di paese.
Mi lanci palline, pezzetti di spago, m’inganni
accartocciando la bustina del mangiare, strofini
le dita, zippo irresistibile incendiario.
Fai uno due tre stella, mi incanti con la nenia
coreana che improvvisi, mi spari, poi sparisci.
Tu metti a dura prova la mia mediocrità.
Io ci provo ad avvertire della trappola il respiro
ma tu mi schianti a terra con un powerslam
di grazia – la crepa che spalanco ti permette
di calarti col tuo vero nel mio falso, o viceversa.
*
Ho un quaderno su cui scrivo se mi accade di squamarmi.
Si può dire che è un quaderno in vera pelle.
I singoli brandelli danno forma al volumetto: più mi sgretolo
più spazio avrò per scriverne, almeno fino a quando
non si estingue la specie singolare a cui appartengo solo io
assurdo ed esclusivo come un codice fiscale.
Quintali di particole di carne, che anno dopo anno
ho ricucito a filo refe in sedicesimi.
Se cadono le placche più ingombranti per un sisma
il sangue si riversa sulla pagina formando
macchie brune tipo Rorschach che gli esperti
sono pronti a analizzare immantinente: e che gli devo dire?
Le ipotesi sul mio disfacimento sono giuste, quasi sempre.
*
(insistere a inesistere)
La fine del messaggio mi trasforma in un fantasma:
da ora posso dirti cosa sentono le pietre sotto il mare.
Costringo le mie gambe ad incrociarsi, e non è facile. Tu… fantasmi.
Intendo dire: tu stai fantasmando, la carne del tuo nome
si è fatta evanescente. Per quanto io mi sforzi di negarlo
sparisce chi decide di sparire: insistere a inesistere è un mestiere
forse un’arte.
*
Quanto a me, oggi ho detto sì al sorriso
sgranato di mio figlio che ha infranto
il mutismo dalla macchina chiedendo
di portarlo dal carwash.
Ho detto sì, stordito come sempre
nell’auto ancora oggi mai lavata
stravolta e polverosa: taralli, fogli vari
frantumi di plastica e cartone
insieme al rifiuto più ingombrante:
io, che comunque ha detto sì.
*
Bernardo Pacini (1987) vive a Firenze. Il suo ultimo libro di poesia è stato Fly mode (A27 poesia, 2020). Ha tradotto con Clarissa Amerini le poesie di Bill Knott (Volarsi dentro, Italic Pequod) e Russell Edson (Il tunnel, Taut), uscite nel 2022 con prefazioni di Charles Simic. Nel 2021 ha cofondato la rivista layOut magazine.
(A cura di Silvia Rosa)