Dalla prefazione di Fabrizio Bregoli
Si configura da subito, a partire dal titolo, all’insegna dell’ossimoro, e dunque del conflitto dialettico, questa nuova silloge di Carlo Giacobbi. Il verbo “abitare” si riferisce generalmente a una dimora stabile, a un luogo accogliente per chi lo vive, mentre “transito” è sostantivo che indica un passaggio, e quindi la negazione della dimora, transizione, divenire: in ultima istanza instabilità, equilibrio precario. Fra questi due estremi oscilla la poesia di quest’opera che è corretto indicare come poema per la profonda unità formale e stilistica che la presiede, per quanto la forma del poema sia stata segmentata in più sezioni e ciascuna di queste in frammenti brevi che, in un processo di diaspora consapevole, si disseminano su più pagine, spesso facendo venire a mancare la corrispondenza fra piano metrico e piano sintattico; alcuni frammenti si prolungano infatti nella pagina successiva quasi a indicare una forma di poesia ininterrotta che non riesce a confinarsi nello spazio riduttivo del foglio. […]
Dalla postfazione di Alessio Alessandrini
[...] Quella di Carlo è una lenta e inquieta promenade nel limitare tra il buio e la luce, il pieno e il vuoto, “tra il nulla / che ghermisce e il tutto che chiama”. Si tratta di un rischio, di una scommessa da giocare fino in fondo perché si sa che “in fondo la tenebra è codarda, che diserta / già al lucore d’un cerino”; si tratta di un percorso a ostacoli, dove il passo, (la suola e il suolo), sembrano sfaldarsi nel mentre si vanno materializzando perché, d’altronde, “Esistere in questa discordanza, solo questo / si deve, si può”. “L’uomo è più della sua pena”. È su questa certa incertezza che il Nostro edifica una struttura poetica salda per incisività del verso e complessità della macrostruttura, mostrandone, pur non essendocene ulteriore bisogno, la sapienza compositiva, la garbata maestria poetante. Si pensi semplicemente all’andamento speculativo e ipotattico del verseggiare, suntuoso e gentile allo stesso modo, o al gremito convivio di poeti chiamati nelle numerose epigrafi delle varie sezioni a far da guida a questo viaggio abitato da ispirazione e mistico fervore. Il verso di Carlo Giacobbi ha, infatti, l’andamento iterato e suasorio del salmo, della preghiera; della preghiera ha la tensione conoscitiva e la dimensione contemplativa.
[…] Abitare il transito è una raccolta di rara perfezione, costruita con certosina audacia, con il coraggio di chi sa riconoscere nell’erranza – e nell’errore che può comprometterla – il senso dell’esistenza.
Da Abitare il transito (Arcipelago Itaca 2021)
Indagare il fine di ogni cosa, questo poco
transito ad esempio; senza null’altro poter fare
che ritrovarsi a percorrere corridoi
che danno su porte, su altri corridoi, su altre porte
e così, di seguito: poiché forse, alla fine della fine
non c’è che oltranza
*
È così che vado. Percorro viali d’oro croccante
sotto le suole. Nudità di trame favolose di gelo
si ergono, mentre sottane di nebbie
veleggiano e a capriccio di vento a tratti
lacerano il velo, sul chiacchierio delle stelle
in assemblea.
*
Non le mappe quasi indecifrabili
della costellazione dei neuroni; non il fatto d’aver
dubitato fosse tua la mano a muovere il pedone
sulla scacchiera; non perché quel giorno la casa
era vuota; né perché ogni secondo
sembrava scandito dal metronomo di gocce
di un rubinetto mal chiuso; e neanche perché
i petali di rosa che ti sfioravano le guance
mutarono così, da una luna all’altra, in foglie
d’ortica. Nulla di tutto ciò potrà mai
definirti, svelare chi tu sia, né impedire al mattino
la tua sporgenza di labbra sulla fronte dell’ombra.
*
Esistere in questa discordanza, solo questo
si deve, si può. Chinandosi a raccogliere sulla pietra
schiantata dal sole o sulla terra dove si erge
la rosa, ora squamosa muta di serpente ora piuma
di colomba; genuflettendosi a tutto: alla luce
flautata e al guaito d’ombra che in battibecco
da sempre vanno di zuffa in zuffa scantonando.
E se ti accorgi di quanto credibile
sia l’assurdo, estromettere dal concepibile
tu non puoi, senza falla, quanto a tutta prima appare
la quintessenza dell’assurdità: il senso.
*
Cos’altro potrebbe mai fare l’io
– ovunque fosse, qualunque cosa dovesse accadere –
se non farsi padre e madre di sé, riconoscersi
figlio da accudire? Cos’altro per non sentirsi
impastare la bocca dalle ceneri del tempo?
L’uomo è più della sua pena.
*
Carlo Giacobbi è nato nel 1974 a Rieti, dove risiede e lavora. Ha pubblicato i libri di poesia Confidenze (Il Convivio, 2016), Essere qui (Il Convivio, 2017), Veramente quest’uomo (Arcipelago itaca, 2018), Oltre il visibile (Arcipelago itaca, 2019), Abitare il transito (Arcipelago itaca, 2021), Vicende e chiarimenti (Puntoacapo, 2022) e Anche quando è malora (Arcipelago itaca, 2023). Ha ottenuto riconoscimenti in numerosi concorsi letterari; è stato finalista al Premio Montano 2021. Sue poesie sono apparse in antologie e blog letterari. Fa parte della redazione di Arcipelago itaca editore e di Versante Ripido. Scrive recensioni su opere poetiche.
(A cura di Silvia Rosa)