La rappresentazione nel pensiero occidentale I

Rene Magritte ritratto di Stephy Langui

Rene Magritte ritratto di Stephy Langui

ANTONIO VIGLINO

La rappresentazione è il modo attraverso il quale un individuo acquisisce conoscenza, essa è la struttura cognitiva di base: è il trasformare da parte del cervello gli impulsi materiali che provengono dai sensi in immagini mentali.
Le neuroscienze, le psicologie, le psicanalisi e la psichiatria, le diverse filosofie, le scienze esatte e le scienze umanistiche, le religioni, l’arte, il simbolismo, ogni manifestazione di pensiero, ogni pensiero della mente umana riposa sulla rappresentazione.
Ciò è noto per il neurochirurgo, che conosce la rappresentazione teoricamente per quanto non la possa vedere operare perché le immagini cerebrali sono appunto inconoscibili all’osservatore, ed è in effetti noto a chiunque vi voglia riflettere; è pacifico per il pensiero occidentale che ogni uomo conosca la realtà attraverso la rappresentazione: tutta la vita di chiunque è fondata in ogni istante sulla rappresentazione. Tutto il resto della mente, i pensieri, le emozioni, i sentimenti, il raziocinio, la computazione, la superstizione, la matematica, la fede, il tifo calcistico, ogni tipo di pensiero ha come fondazione basica il fatto che il cervello elabora particelle elettro-chimiche in immagini mentali. (Per inciso, il come questa conversione da materia a non-materia accada non lo sa nessuno, le neuroscienze sono appunto il tentativo di studiare come ciò possa accadere sperando che ci si imbatta nel come effettivamente accada, ma la speranza finale che alimenta le neuroscienze è a doppio taglio: se si desse la prova di come la materia diventa immateriale, allora risulterebbe al contempo provata la violazione del principio di ragione.)
Non si tratta solamente di osservare che se gli esseri umani non avessero occhi la realtà sarebbe nera e invisibile, o che microscopi e telescopi altro non sono che prosecuzione dei sensi così come l’intelligenza artificiale è una prosecuzione della rappresentazione razionalizzante, oppure che possano esistere piani di realtà che pur essendo ben fisici sono detti inesistenti perché sfuggono al contatto. Bensì il punto basilare della rappresentazione è che essa divide la realtà tra “chi rappresenta” da una parte e “le cose rappresentate” dall’altra: il riflettere sull’essenza della rappresentazione è solo secondariamente l’opinare cosa siano il “chi” pensa (cioè il “chi” rappresenta) o cosa siano le “cose” che si esperiscono per mezzo dei sensi (cioè il “cosa” rappresentato), cioè se davvero io e oggetti siano come appaiono oppure no; si tratta invece di ammettere che la rappresentazione già in sé sconta la dicotomia tra soggetto e oggetto. La rappresentazione riporta i fenomeni esterni ad un io cogitante, ma la strutturazione della realtà in soggetto da una parte e oggetti dell’altra, donde viene? È essa biologicamente intrinseca alla mente? Oppure la mente che vive credendo sé l’io e credendo le cose esterne oggetti è solo una dimensione della mente, che sussiste a fianco di altre dimensioni della mente? Il pensiero occidentale, e in generale il pensiero discorsivo, ritengono che la divisione della realtà in soggetto che pensa e oggetti esterni alla mente sia implicata nella mente stessa; secondo altre opinioni, invece, la divisione della realtà in soggetto che pensa e oggetti esterni alla mente è una condizione che è un minus rispetto alla natura della coscienza, sì che la mente che crede che esistano soggetto e oggetti è detta appunto la mente “ordinaria”, ossia appunto la mente che vive nella rappresentazione.
I non pochi filosofi che si sono domandati sulla rappresentazione si sono limitati a considerare natura ed essenza del “chi rappresenta” e delle “cose rappresentate”, senza avvedersi che può essere la rappresentazione stessa proprio ciò che “crea” gli enti, soggetto ed oggetti — questa alternativa fondamentale ed ultima della rappresentazione nel pensiero occidentale la hanno messo a tema davvero pochissimi. In questa prospettiva la rappresentazione non è “solo” il sostituire particelle chimico-fisiche con immagini immateriali, lo è certo anche, ma la rappresentazione è questa trasformazione in tanto in quanto è proprio essa a anteriormente creare la legittimità degli oggetti rappresentati e del soggetto rappresentante, e quindi la legittimità delle particelle materiali “esterne” e delle immagini mentali “interne”.
Il parlare della rappresentazione implica quindi tre piani.
Quanto alla sua essenza, come chiunque sa e non può non sapere, essa è un “meccanismo” che consente di apprendere alla mente il mondo esterno alla mente, e questo meccanismo consiste nella sostituzione di elementi fisici e materiali con immagini mentali e immateriali.
Il secondo piano riguarda l’oggetto della rappresentazione: in che misura vi possa essere garanzia che le immagini mentali corrispondano alla realtà effettiva che sta fuori della mente. Su ciò, al netto di dubbi che paiono a ben vedere non più che presupposizioni, tutto il pensiero occidentale dà per scontato che in ogni caso la rappresentazione debba essere considerata fededegna, cioè che cosa appare essere in effetti sia essente o comunque debba essere considerato essente come appare, e ciò proprio a causa del fatto che la rappresentazione è creduta l’unico e solo modo con cui la mente si rapporta alla realtà (il come poi effettivamente ciò accada, o possa accadere, non lo si sa né saprà perché, come detto, il saperlo implicherebbe la violazione del “sapere”, dell’episteme).
Poi c’è il terzo livello, ben più profondo, che involge la legittimità stessa della rappresentazione; questo punto di vista non dubita che la rappresentazione sia una modalità di conoscenza, e sostanzialmente si disinteressa della questione della coerenza di merito tra il veduto e il creduto (proprio perché essendo la rappresentazione una modalità di conoscenza essa soggiace ai limiti che la costituiscono). Questo terzo livello mette in gioco la legittimità della rappresentazione in quanto opina che essa deformi la realtà a livello strutturale (cioè non solo per un non replicare con conformità dentro la mente i fenomeni ad essa esterni): il meccanismo rappresentativo è erroneo a causa del fatto che non esistono in sé né “oggetti da rappresentare” né un “soggetto che rappresenti”, bensì proprio il ritenere che esistano un soggetto, l’io, e oggetti, fenomeni esterni all’io, è già l’errore pregiudiziale  cagionato dalla rappresentazione stessa — detto altrimenti, soggetto e oggetto sono categorie create dalla rappresentazione, la quale isola porzioni del tutto e le entifica, creando appunto le forme di io e oggetti. Chi constati che la rappresentazione sia essa stessa ciò che ab origine “crea” soggetto e oggetto, non vuole con ciò negare che secondo la rappresentazione siano legittimi i nomi di soggetto e oggetto, ma appunto dice che le nozioni di “io” e “cose” siano valide solo all’interno del punto di vista che tali nozioni ha creato. Ciò non significa “negare” la rappresentazione quale modo di conoscenza della realtà installato nella mente, ma riconoscere che essa sia già solo appunto niente altro che una modalità, una interfaccia, la quale crea strutture in modo autoreferenziale. La difficoltà ad ammettere questo punto di vista, cioè si ripete ad ammettere che soggetto e oggetto siano categorie create della sola mente, risiede nel fatto che, pur se è vero che è teoreticamente facilmente constatabile la autoreferenzialità della rappresentazione, tuttavia tutti vivono nella rappresentazione, ovvero ciascuno vive credendo di essere l’io e credendo che fuori dalla sua mente esistano oggetti. Chi vive nella rappresentazione non può constatare che l’io sia una struttura in sé illusoria, perché ovviamente l’io non è in grado di negarsi da sé, non si può pensare di non essere l’io, perché ciò che pensa è già appunto l’io; ed infatti i sostenitori della modalità noetica pre-rappresentativa dicono ciò che dicono intorno alla rappresentazione e all’io in quanto ritrovantisi al di qua dell’io, il che consente, a loro dire, di vedere “dall’esterno” tanto la modalità rappresentativa quanto l’io; mentre chi è l’io non può vedere direttamente se stesso, così come gli occhi non posso vedere se stessi in modo diretto. Secondo questa opinione la rappresentazione è in sé un autoinganno, ma non affatto perché le immagini mentali non possano o non debbano corrispondere ai fenomeni, bensì perché l’ambito di ciò che la rappresentazione può far conoscere alla mente è delimitato dai confini di cosa il corpo può conoscere; questa opinione afferma che codesto limite non è quantitativo, come sarebbe se si potessero avere altri sensi aggiuntivi rispetto ai cinque consueti, ma dice che c’è un modo di conoscenza diverso ed ulteriore rispetto al sostituire asserite cose con asseriti immagini mentali. Sostiene questa opinione che la mente può essere permeata di conoscenza a prescindere da contatti sensoriali, a prescindere dal corpo; ed anzi che è proprio l’essere la mente costretta in un corpo a generare la credenza che la rappresentazione sia l’unico modo di conoscenza della realtà: secondo queste dottrine la mente è cosa diversa dal corpo, non è solo emanazione o emergenza del corpo, ma è di altra natura, ed è solo il corpo che limita la mente al corpo stesso (il dogma delle neuroscienze è invece che la mente immateriale emerga dal corpo materiale, e il fine di questo ambito di ricerca è appunto di dimostrare la metamorfosi della materia in non-materia). Anche secondo questa opinione, cioè, la rappresentazione non è sbagliata in sé, è ritenuto però sbagliato il credere che essa sia l’unico modo di conoscenza — e se universalmente si crede che sia l’unico, è solo perché una delle tare della ragione calcolante è quella di ritenere inesistente ciò che ignora.
La ante-rappresentazione al “terzo livello” quindi è altra cosa dei concetti che talora esponenti del pensiero occidentale rappresentativo, filosofi o psicologi o scienziati, espongono come modi non-rappresentativi: nel momento in cui ci si riferisce ad un conoscere o ad un esperire un oggetto da parte di un soggetto, ebbene ciò è già meramente interno alla rappresentazione. (Si può definire questo terzo livello della rappresentazione come conoscenza mistica? La risposta dipende da cosa si intenda con la parola “mistica”: se si intende cosa comunemente intende il pensiero occidentale, cioè che la mistica sia “la capacità che alcuni individui hanno di cogliere un oggetto o un essere, una realtà misteriosa altra da sé, al di là delle consuete forme di conoscenza empirica o razionale”, come la definisce il Vocabolario Treccani, allora questa definizione di mistica non è il terzo livello della rappresentazione, perché evidentemente questa mistica consta di un “soggetto” che conosce e di “oggetti”, enti o porzioni di realtà, che sono conosciuti, cioè questa nozione di mistica è puramente interna alla rappresentazione.) Se si ammette che la rappresentazione sia la modalità mentale che “fa essere” il soggetto e i tanti oggetti, ne segue che nessuno che sia soggetto la possa vedere. Ed in effetti nel pensiero occidentale questo terzo livello della rappresentazione è, salvo eccezioni tanto uniche quanto immani, puramente non considerato.
Nessuno dubita o ha giammai dubitato che la mente conosca la realtà ad essa esterna sostituendo a elementi materiali immagini immateriali, veridiche o meno rispetto ai fenomeni rappresentati le quali siano: questi sono i due livelli della rappresentazione entro cui si dibatte il pensiero occidentale, il quale appunto opina che la rappresentazione sia l’unico modo di conoscenza della realtà. Una diversa opinione tiene ferme queste due constatazioni ma precisa la natura della rappresentazione dicendo che essa modifica la realtà in cui agisce dividendola in simulacri di categorie astratte, soggetto e l’oggetto: questa diversa opinione implica che — ovvero proviene dalla constatazione esperienziale che — la rappresentazione non sia l’unico modo di conoscenza della realtà, ma che ve ne sia un altro anteriore alla rappresentazione stessa, cioè anteriore alla dicotomia tra soggetto ed oggetto.
Quindi, riassumendo, la rappresentazione è per tutti e chiunque una modalità di conoscenza della realtà che sostituisce, non si sa come, elementi immateriali e coscienziali alle particelle chimiche e elettriche che si generano a causa della interazione meccanica tra fenomeni esistenti esterni al corpo e il corpo di un individuo (o a partire da fenomeni fisici interni al corpo ma appunto esterni alla mente); gli esiti di questa interazione meccanica, fisicamente ed oggettivamente misurabili, entrano nel sistema nervoso centrale e a un certo momento “generano” phantasmata — ovvero, poeticamente, accade la trasformazione di materia in pensieri.
Questa è la piattaforma del pensiero discorsivo nel suo insieme. Per pensiero discorsivo si intenda il pensare stesso, cioè l’inanellare idee, ragionamenti, collegamenti e quant’altro a partire da quelle immagini mentali che sorgono nella coscienza a partire dagli stimoli organici; il pensiero discorsivo è cioè la prosecuzione della rappresentazione nella coscienza. La ragione è quella porzione del pensiero discorsivo che esclude da sé i pensieri che non abbiano i requisiti che la ragione stessa, come fenomeno culturale, di volta in volta ponga, dal nesso causale alla rispondenza dei singoli pensieri a super-pensieri formali — come operi la ragione lo ha esaurientemente mostrato, dall’interno della ragione, Aristotele.
Appunto secondo il pensiero discorsivo, e secondo il pensiero occidentale in quanto tale, la rappresentazione è l’unica modalità di conoscenza della realtà, perché appunto il pensiero discorsivo è già solo specchio della rappresentazione: non conoscendo il pensiero discorsivo altro dalla rappresentazione, afferma che esista solo la rappresentazione.
Secondo altre ristrette ma convergenti opinioni, invece, la rappresentazione è sì certamente la principale e “normale” modalità di conoscenza della realtà, ma non è l’unica; secondo questa opinione “di terzo livello”, la rappresentazione è precisamente quella modalità di conoscenza della realtà che opera attraverso la presupposizione delle categorie di soggetto e oggetto.