Dalla prefazione di Franca Alaimo
“Oscura” è la definizione che darei della poesia di Stefania Giammillaro, intendendo con tale aggettivo sottolineare non solo la qualità predominante di un teatro mentale ossessionato da una dolente esperienza autobiografica; ma anche la caratteristica formale della sua trasposizione in versi lessicalmente drammatici (vi ricorrono sostantivi quali: ‘coltello’, ‘stimmate’, ‘spine’; espressioni quali: ‘gomiti viola’, ‘grumi di sangue’; e tanti verbi attinenti alla violenza fisica), e spesso alogici per la presenza di simboli e immagini inusitate (in rapporto ad una tematica sempre più sfruttata), a meno che non si dia credito alla supposizione che nello spazio fra i termini accostati, come sembrerebbe, forzosamente, si celi in realtà il molto del non-detto per una sorta di pudore dell’autrice, che, censurati i termini frammezzo, espliciti gli estremi di un ricordo udibile per intero solo da parte di chi provi ad afferrarlo con uno slancio d’immaginazione. [...] L’autrice, nel raccontare l’esperienza autobiografica di un rapporto amoroso insano (uno dei tanti in cui l’amante, verbalmente e gestualmente violento, considera il corpo dell’amata come oggetto di desiderio e di dominio, senza la grazia di uno sguardo autentico rivolto alla persona), sembra quasi innestare le sue parole nell’intrico spinoso di una memoria ancora sanguinante di delusione, amarezza, disperazione, supplica, tormento, trovando infine una risoluzione nel per dono divino e nell’auto-perdono, tema che viene sviluppato nell’ultima delle tre sezioni del libro e ribadito nell’epilogo (un testo in dialetto siciliano, quasi con l’intento di recuperare la purezza anche sonora dell’infanzia), in cui la vittima si emancipa finalmente dal giudizio della società dei benpensanti (compresa la cerchia parentale)[...]. La poesia della poeta siciliana si inscrive, indubbiamente, nell’ambito della cosiddetta poesia confessional (avendo come punti di riferimento le americane Sylvia Plath e soprattutto Anne Sexton da cui desume termini, immagini e quell’alogicità di alcune soluzioni formali, di cui poco prima si diceva) e, più ampiamente, in quello della scrittura (narrati va, giornalistica, documentaristica) e della cinematografia (si potrebbe portare ad esempio il recentissimo film C’è ancora domani di Paola Cortellesi), votati alla denuncia del maschilismo quale forma deteriore del potere esercitato dall’uomo in ogni ambito sociale, che ha dato luogo a due codici morali diversi in rapporto al genere sessuale (chi non ricorda il “delitto d’onore” legalizzato ed abrogato in modo definitivo soltanto nel 1981?). Il titolo della silloge Errata Complice, inoltre, ricalcando l’espressione errata corrige non senza un chiaro rimando di senso, riassume bene il percorso di recupero della propria autonomia e libertà, stigmatizzando senza incertezze una relazione sbagliata di cui l’autrice riconosce di essere stata complice con il suo comportamento troppo lungamente tollerante. In questo senso i versi di Stefania Giammillaro assumono un alto valore testimoniale, utile ad altre donne che vivano una situazione identica e che potrebbero trovare una sorta di manifesto di libertà in questi versi [...].
Da Errata complice (peQuod 2024)
Ai sensi di una legge non scritta
appesa al baratro senza risposta
è vietato venire al mondo
in un qualunque giorno di pioggia
Senza tuono rimbomba
il dire del mare
che soffia e soffia un ruggito ancestrale
tra cosce nude e stoffe bagnate
L’appetito nasce senza fame.
*
Madre delle caverne
aiuta questo corpo esanime
sul cui ventre lui si poggiò dormiente
e mai più vita nacque
Madre dei miraggi e delle spezie
ascolta l’urlo di dolore
che tutto spegne
come colpo di pistola
mancato alla morte
Madri, accogliete i grumi di sangue
strappati dal dente
e bagnate le ultime lacrime
al sospiro taciuto
Croce e Delizia
di chi non si pente.
*
Lo strappo si è compiuto.
Asciugo lacrime sul tuo volto
– né sarebbe stata l’ultima volta
Sopracciglia, palpebre e carezze
ricurve all’esterno
lasciano spazio
al rossore paonazzo dei lineamenti
Ora brillano i tuoi occhi verdi
Ingoio il salto-sussulto che non trattieni
che lacera in mezzo
l’immagine bambina
aggrappata a spalle di marmo
Mi accorgo saperti potente nella fragilità
ti ho visto piangere, papà.
*
La geografia del corpo
non sconta il peccato originale
quando le narici adescano il polline soffiato
dal feroce ritardo di fine maggio
“La primavera può ancora arrivare”
schiaffeggia il sussurro
su chi trattiene il tumulto nelle ossa
e fino alle arterie
nuoce il fumo
che indossa la bestemmia
di non essere come vorresti.
*
Lo sguardo gira ancora intorno
in cerca di un ricordo
che mi sveli essere legata a te.
Ma muta è la risposta
delle spallette su Lungarno
nessun abbraccio che spaventi la piuma
né nodo di tristezza a vomitare saliva
È l’impossibile successo
ora che appartengo
al vuoto del tuo grembo
*
Muta sugnu
comu pisci senza sangu
ca trema a schina ghigata
Littra strazzata
pi na lisca lissata
n’mezzu ai renti
Sula, sittata
ravanti a tavula cunzata
cu tutti i cumannamenti
Figghia sugnu
e matri mi ciamu
senza iabbu né maravigghia pi parenti
senza patiri i dulura
ra nascita
m’arricampu cunzumata
pi chiddi ra morti
sorti mavara
ca m’accumpagna
Matri sugnu
e figghia nasciu n’autra vota
pi vuatri ca nun cririti a na parola rata
surda e malacavata…
Nun viru nun parru nun sientu
ma vi lassu a testamento
na cunnanna
na ninna nanna d’amuri
ca comu sciroccu
ciusciando rina, vi ricuorda:
“L’uocci aggiuvanu a taliari
sulu quannu ru cori
nun c’è chiù nenti ri pigghiari”.
Muta sono / come pesce senza sangue / che trema a schiena piegata /
Lettera strappata / per una lisca lasciata / tra i denti // Sola, seduta /
davanti alla tavola apparecchiata / con tutti i sacramenti (apparecchiata a puntino) // / Figlia sono / e madre mi chiamo / senza stupore né meraviglia per i parenti / senza patire il travaglio del parto / vi raggiungo consumata per quello della morte / sorte cattiva / che m’accompagna // Madre sono / e figlia nasco un’altra volta / per voi altri che non credete alla parola data / sorda e malfatta… / Non vedo, non parlo, non sento / ma vi lascio a testamento / una condanna // una ninna nanna d’amore / che come scirocco / soffiando sabbia, vi ricorda: / “Gli occhi servono a guardare / solo quando il cuore / non ha più nulla da donare”.
*
Stefania Giammillaro (Messina, 1987) è avvocata e dottoressa di ricerca in Diritto Processuale Civile (UniPi). Ha pubblicato le raccolte poetiche: Metamorfosi dei Silenzi (Edas 2017), L’Ottava Nota – Sinfonie Poetiche (Ensemble 2021) e Errata complice (peQuod 2024). Performer poetico–teatrale, cura gli eventi letterari presso il Caffè Letterario Volta Pagina di Pisa e la Libreria Civico 14 di Marina di Pisa, dove organizza anche la Rassegna Poetica Un (A)Mare di Versi. Dialoghi D’Autore, giunta alla sua II edizione. Fa parte della redazione del Lit-blog “Le Finestre de L’Irregolare” e del giornale online Emme24.it. È del 2024 la sua prima collaborazione cinematografica per il cortometraggio “Fidati di me”, in veste di autrice del monologo finale. Suoi testi compaiono in diverse antologie, tra cui: Riflessi-Rassegna Critica alla Poesia Contemporanea (Edizioni Progetto Cultura 2023), curata da Patrizia Baglione, con nota critica di Davide Toffoli, e Dark way of Sicily – Voci Black (ilglomerulodisale 2024), curata da Enzo Cannizzo e Sebastiano Adernò.
(A cura di Silvia Rosa)