7 piccole storie + una. Settima

Storia Settima

CYBIL PRINNE

Se ne stava a volte alla finestra, a guardare il viale di tigli secolari che separava la casa dalla strada asfaltata. Laggiù, oltre il sentiero di ghiaia e le ombre degli alberi, c’erano altre case, più moderne, con automobili posteggiate di fronte e tante persone che entravano e uscivano. I rumori, le voci e gli odori venivano filtrati dai tigli e ciò che a lei pareva di sentire non era che il ricordo di un passato nel quale aveva vissuto in mezzo alla gente e aveva fatto più o meno quello che facevano tutti.

La casa gotica apparteneva alla sua famiglia da sempre ed era immutata da secoli. Sua madre era morta nel metterla al mondo, il padre non si era ripreso dalla perdita della moglie e da allora non aveva più voluto uscire. Padre e figlia erano vissuti insieme senza mai separarsi fino a che non era venuto il giorno per la bambina di iniziare la scuola. Egli la lasciò andare a malincuore e stette ad aspettarla sulla porta fino al suo rientro.

La bambina tornò frastornata; stava per raccontargli la sua prima esperienza fuori dalle mura domestiche ma egli la interruppe: già gli era doloroso vederla andare via la mattina, ma ascoltare ciò che faceva quando era lontana non avrebbe potuto sopportarlo.

Non si parlò più né della scuola né di quanto succedeva fuori di casa; la loro vita insieme continuò come se le assenze mattutine della bambina non esistessero.

Lei iniziò l’università e un giorno chiese al padre il permesso di andare in gita con i suoi compagni di corso. Un fine settimana in montagna.

Ascoltami bene, le disse il vecchio, il giorno in cui tua madre mi ha lasciato ho pensato di impazzire di solitudine. Ora non ho che te e non posso starti lontano. Ho bisogno di vederti, di sapere che ci sei, che sei per me… Non andare in gita, non andare mai via, rimani qui con me.

Fino a quel momento la ragazza si era sforzata di condurre una vita normale, di cacciare il disagio che sentiva quando era fuori casa e di non badare alla smania insidiosa che la portava a cercare la compagnia del padre. Adesso quelle parole espressero finalmente ciò che sentiva anche lei e le rivelarono l’inutilità dei suoi sforzi. Il suo unico desiderio era stato, da sempre, di sapere che il padre era vicino a lei, che era per lei.

Si guardarono negli occhi e promisero che sarebbero rimasti sempre insieme nella casa antica. Lei non finì neppure l’università, smise di uscire e dispose che le provviste le venissero consegnate dal negozio una volta alla settimana. La porta di casa si aprì soltanto per far entrare la borsa della spesa.

Il vecchio si ammalò e morì nonostante le cure della figlia, ricordando ancora una volta alla donna la promessa che si erano fatti. Quando smise di respirare, lei si accertò che i suoi occhi rimanessero aperti, lo vestì dell’abito migliore e gli mise dei cuscini sotto le spalle in modo che stesse seduto.

Nei giorni e nei mesi seguenti continuò a portargli da mangiare e a leggergli i libri polverosi che trovava in biblioteca. Il corpo di lui si affossava nel letto, inzuppando il materasso di un liquido scuro, i suoi lineamenti si modificavano, gli occhi, infossati nelle orbite ingiallite, avevano perso l’opacità della vecchiaia. La pelle si era distesa e le labbra si erano atteggiate a un perenne sorriso.

A lei pareva di non averlo mai visto così bello e sereno.

Il giardino si infittiva e nascondeva la casa alla vista dei vicini. I tigli imponenti filtravano i rumori della strada asfaltata; il loro odore dolciastro stagnava intorno alla casa. Lei stava a volte alla finestra…

(Illustrazione di Franco Blandino)

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