La vita nella sua semplicità, l’esistenza nel suo inesorabile trascorrere. Haiku di Luigi Oldani

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GIANCARLO BARONI

Luigi Oldani, Come ventagli, Samuele Editore, 2019.

C’è una sostanziale continuità fra l’ultimo, recente libro di Luigi Oldani intitolato Come ventagli e il precedente Haiku italiani, pubblicato nel 2016. Sembrano capitoli e parti di una più ampia e corposa raccolta in formazione, in elaborazione. La continuità è palese: identica la casa editrice (Samuele Editore); all’apparenza somiglianti le copertine (segni ad inchiostro fluttuanti su uno sfondo candido); più o meno lo stesso numero di pagine (una cinquantina); tre composizioni per pagina, allineate a regolare distanza le une dalle altre; dello stesso poeta, Paolo Ruffilli, l’identica citazione iniziale.

Cambiano invece gli estensori delle prefazioni, i quali autorevolmente con le loro note critiche introducono le opere. Ad Alba Donati per Haiku italiani e a Paolo Lagazzi per Come ventagli, Oldani esprime riconoscenza e apprezzamento. Afferma Alba Donati: “Luigi Oldani scrive haiku in maniera tradizionale. Voglio dire che l’esemplarità dell’haiku è qui espressa al massimo grado. C’è il tempo…ci sono le stagioni, gli alberi, c’è una freschezza del dire, come se le parole fossero nate lì sulla pagina, e c’è un vuoto che risplende”. Le fa eco a sua volta Paolo Lagazzi stabilendo quasi un dialogo a distanza: “Quando -ormai da anni- leggo un poeta occidentale che si misura con lo haiku giapponese, raramente, direi in casi eccezionali, sento vibrare nella sua voce le onde e i bagliori di un’intuizione zen. Troppe volte lo haiku è diventato in Occidente un gioco calligrafico…un pretesto per acrobazie mentali falsamente umili. Assai diverso è il caso di Luigi Oldani”.

Non sono un esperto e uno studioso di haiku, pertanto non mi addentro nelle sue caratteristiche formali, evito paragoni che non sono in grado di stabilire, non cito testi zen anche se ne ho letti e apprezzati. Sono piuttosto un appassionato lettore di poesie alla ricerca di versi che contribuiscano ad accrescere bellezza e conoscenza dentro e fuori di noi.

Al fondo delle creazioni poetiche di Oldani c’è la vita nella sua semplicità, immediatezza e spontaneità, nel suo concreto, vitale e naturale accadere, c’è l’esistenza nel suo inesorabile trascorrere, nel suo giornaliero, meraviglioso manifestarsi. Un mondo di affetti e di cose nel quale s’impone il regno vegetale nella varietà di colori, forme, suoni, profumi: chiome ondeggianti dei pini, foglie ingiallite che “cadono a neve” e altre “rosso d’autunno”, un vecchio alloro da cui precipita un nido, cachi che brillano e ciliegi che fioriscono, “il bianco dell’ortensia” e il “mondo rosso” del cocomero. Versi che evitano una visione edulcorata della natura e statica del tempo a favore invece della chiara consapevolezza che quest’ultimo segue inevitabilmente il suo corso naturale lasciando tracce del proprio passaggio: susine che “marciscono al sole”, “sbilenco un ramo / dondola e poi si spezza…”, petali che si sciolgono sotto la pioggia.

Questo haiku (che è lampo, soffio, fremito, squarcio, illuminazione), allude stupendamente al destino delle cose: “Canta la foglia / alla terra il suo fruscio / poi si muore”.
L’alternarsi delle stagioni scandisce il ritmo del libro e della terra: dopo le fioriture primaverili “è già l’autunno / nell’odore dell’aria / un precipizio”…; vento, pioggia, “le prime ombre / di nubi sulle foglie”, succedono al blu del cielo e del mare, al giallo del sole, e anticipano la nebbia, “la prima neve”, il gelo, il ghiaccio, il freddo, “bianco su bianco”, la brina: “Tutta la pianura / sotto la nevicata / la taglia un treno”. Il ciclo delle stagioni, come in una danza cosmica, si compie e ricomincia coinvolgendo e collegando io, noi, piante, animali, cose, l’universo intero cui apparteniamo.

Leggendo le poesie di Oldani ci si sente intimamente parte di un tutto distante e contemporaneamente vicinissimo, trascendente e immanente, mai estraneo: “Chiudo gli occhi / e sono dappertutto…”. Limpidezza dello sguardo, tenerezza dei sentimenti, capacità di apprezzare le piccole/grandi bellezze del quotidiano: gustare un caffè, tenersi per mano, socchiudere gli occhi “sulla panchina / al tiepido sole…”, “qui sull’argine / tra la polvere in bici / tutto è magia”. Di autentica capacità di “entrare in vibrazione col mondo” parla Paolo Lagazzi.
Il libro è abitato da animali: granchi, gabbiani, grilli, tortore, tartarughe, un gatto dei cui sogni “ride la luna” e che annusa sui tetti le “stelle cadenti”.

Come ventagli
i bambù rincuorano
ma senza vento.

Il cocomero
il frutto più felice
un mondo rosso.

La gatta sogna
miao irresistibili
ride la luna.

Fresca la pioggia
esce la tartaruga
col suo ombrello.

Brilla di brina
sul banco al mercato
una carota.

Qui sull’argine
tra la polvere in bici
tutto è magia.