Mangiare (è) cultura

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STEFANO CASARINO
Il 2018 è l’anno del cibo italiano: tra le tante iniziative, anche la Delegazione di Cuneo dell’A.I.C.C. ha trattato questo tema, dedicando il suo Convegno Annuale, di cui si è appena conclusa la Sessione Primaverile, al rapporto complesso e affascinante tra “cucina” e “cultura”.

Chi scrive ha introdotto i lavori, riflettendo sul cibo come bisogno, come privilegio – non si ricorda mai abbastanza che oggi nel mondo più di ottocento milioni di persone soffrono la fame e che i decessi per denutrizione sono nove volte superiori a quelli per calamità naturali e per guerre –, come piacere (al quale si deve, come in fondo a tutti i piaceri, essere educati) e, appunto, come cultura, in modo del tutto particolare proprio per noi Italiani.
Più specificamente è stato affrontato il rapporto “cibo” e “letteratura”, in una carrellata di testi e di analisi che è andata da brani biblici a brani omerici, dalla lirica greca alla novella boccacciana, per concentrare poi l’attenzione sulla lettura di tre formidabili descrizioni di “pranzi”, quello nuziale in “Madame Bovary”, quello della “fondazione della casa” ne “I Buddenbrook” e quello a Donnafugata ne “Il Gattopardo” con la proiezione sullo sfondo anche di qualche immagine che forse ha stuzzicato l’acquolina dei presenti.
Il secondo intervento, del Prof. Silvio Barbero, Vice Presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, è stata un’articolata concettualizzazione sui “professionisti del gusto”, sul dovere di un approccio olistico a tutto ciò che il cibo è e implica, con osservazioni puntuali e stimolanti – si produce cibo per più di undici miliardi di esseri umani, ma attualmente siamo “solo” sette/otto miliardi; nel 2050 la quantità di plastica in mare potrebbe risultare superiore a quella del pesce; ecc… – e commentando poi la filosofia del “buono, pulito, giusto” di petriniano conio.
Ha chiuso la prima giornata la bellissima esposizione (termine particolarmente adeguato, perché tutto l’intervento è stato accompagnato dalla proiezione di immagini artistiche di grande suggestione) della Prof.ssa Fulvia Giacosa, dal titolo “Incontro semiserio con invito a pranzo”: partendo dagli affreschi egizi sul cibo siamo arrivati alla Mozzarella in carrozza di Gino de Dominicis, con una scorribanda di opere diverse, alcune tali da destare assoluta ammirazione, altre ironicamente provocatorie, nessuna, comunque, semplicemente decorativa. Perché, almeno così credo, sia in arte che in letteratura (e in musica, e, insomma, nella cultura in genere) ha molto più valore ciò che scuote le coscienze e elimina pregiudizi di ciò che è rassicurantemente garbato e convenzionale.

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Primo intervento della seconda giornata quello della Prof.ssa Lia Raffaella Cresci, docente di Filologia Bizantina dell’Ateneo genovese, presenza imprescindibile di tutti i Convegni A.I.C.C., che ha affascinato il pubblico con una ricca trattazione del tema dell’anoressia ascetica a Bisanzio; in realtà, come con ironica arguzia non si è mancato di rilevare, anche in quel tempo e in quella cultura, un conto era il “dover essere”, un altro era il reale comportamento dei monaci, che, più che attenersi rigidamente al complesso protocollo che regolava i posti a tavola e alle rigide norme dietetiche, fornivano divertenti esempi di anarchia e di eccessi alimentari, prediligendo molto spesso proprio quella carne dalla quale avrebbero dovuto astenersi.
Un piatto che oggi farebbe inorridire ma che allora era considerato una prelibatezza era costituito dall’insieme di cavolo, carpe, pesce spada, sgombro, ben quattordici uova, formaggio, dodici teste d’aglio e quindici cipolle, tutto cotto assieme!
L’arcivescovo Eustazio di Tessalonica racconta anche di una razzia fatta per ordine dell’imperatore in un monastero per requisire le vivande necessarie ad un sontuoso pranzo di nozze: si trovò tanto cibo (e, ovviamente, di gran pregio) che furono necessarie più di otto ore per trasportarlo nella reggia imperiale.
Il Prof. Carlo Romito, figura di primissimo piano nella ristorazione e Presidente di Solidus, Forum permanente delle associazioni professionali del mondo alberghiero portavoce di decine di migliaia di professionisti in rappresentanza degli oltre due milioni di italiani che operano a vario titolo nel settore dell’accoglienza e dell’ospitalità in Italia, ha trattato il vasto tema della nascita e dell’evoluzione della cucina italiana e della lotta allo spreco alimentare: contrapponendo alla “nazionalistica” cucina francese – che ha spadroneggiato per più di tre secoli col culto del “grasso” e del “sofisticato” – la multiforme cucina “regionalistica” italiana, ha giustamente identificato ne La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene (1891) di Pellegrino Artusi (1820-1911) la prima trattazione gastronomica dell’Italia unita, ristampata costantemente da più di cent’anni e di assoluto pregio letterario. Ha sostenuto Piero Camporesi che ne ha curato l’edizione critica per Einaudi nel 1970: la “Scienza in cucina” ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi sposi.
Opportunamente Romito ricorda che Artusi dà indicazioni per il riutilizzo degli avanzi: ciò che suonava a fine Ottocento come un dettame etico deve tornare ad esserlo più che mai oggi, anzi deve trasformarsi in un essenziale elemento di educazione da impartire sin dalla scuola dell’infanzia.
L’ultimo intervento è stato quello della Dr.ssa Cinzia Scaffidi, Vice Presidente Nazionale dello Slow Food, che ha trattato un altro importante aspetto, quello del rapporto cibo/pubblicità, a cui ha dedicato il suo ultimo libro Che mondo sarebbe. Pubblicità del cibo e modelli sociali.
Varie e stimolanti le sue osservazioni: il contrasto tra “economia” e “ecologia”, che non solo semanticamente dovrebbero invece accordarsi; l’ignoranza di nozioni una volta assolutamente scontate (quando fioriscono gli olivi?) e, soprattutto, il pervasivo linguaggio pubblicitario che invita sempre e comunque alla “delega”, che non si sofferma – come avveniva un tempo – sull’elenco degli ingredienti ma che insiste sugli effetti conseguenti all’acquisto di un determinato prodotto, che renderà certamente più felici, più “happy”.

“Leggere senza riflettere è come mangiare senza digerire” (E.Burke): credo che questo aforisma possa racchiudere perfettamente il senso che abbiamo tentato di dare a tale nostra iniziativa.