Stupore

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GABRIELLA VERGARI.
E così, quando arriverà il momento sarò pronto, come sempre.
O forse no?
Chi può mai realmente prevedere come ci si comporterà all’ultimo, allorché non sarà più possibile lo scampo, ma tutto volgerà alla fine, addirittura sollecitandola?
Ed è dunque qui che la faccenda si complica.
Dannatamente, direi.
E la potenza del mio ruggito si slancia incontro alla savana, per dominarla come al solito terrifica, ma all’improvviso esita un attimo, un attimo appena.
Non più d’un attimo, davvero.
Eppure basta.
A sentire il passare del tempo, e la forza che scema, e le fauci che ti si spalancano spaventose ma non più elastiche come prima, e l’andatura che ancora ti proclama signore e però magari alle volte ti strappa uno sforzo inatteso.
Insomma lo senti che, pur restando tu, non sei più tu.
E ti stupisci.
E stenti quasi a crederlo.
Che stia succedendo, intendo. Che stia succedendo a te, proprio a te, pure a te, come a tutti gli altri che ti hanno preceduto e che hai perfino visto scomparire.
E non hai paura, no: un leone non può averne.
Confermo anzi e sottoscrivo che non ci sia nulla di meglio che essere, come sono, un leone e va benissimo venir considerati e proclamarsi il re degli animali.
Gran bella condizione, quella d’altronde dei felini.
Aristocratica, possente, dominatrice, neanche tanto assoggettata all’uomo che, se ci gira, io, la tigre o la pantera, l’uomo, ce lo lavoriamo presto e a puntino. Solo …
Solo non capisco cosa sia questo che da poco mi prende.
Soprattutto se, dalla rupe da cui lo reggo, contemplo l’ambiente sottostante e vedo il bell’ordine che lo disciplina, mentre godo del sole che tutto mi irradia al punto da sentirmi a mano a mano più fulvo, sempre più fulvo, finché quasi mi sembra che diveniamo un tutt’ uno, il segno del fuoco sul mondo.
Ed ecco che proprio quando più maestoso mi si sta per muovere da dentro il ruggito, tutt’a un tratto mi si inceppa, quasi me ne cadesse all’istante la voglia. E subito penso che comunque al sole tiene sempre dietro la notte e che è tutto un ciclo, un dannato, dannatissimo ciclo che, lui sì, ignora esitazioni e deroghe.
Perciò, ogni tanto mi sorprendo a desiderare un’eccezione, magari una piccola, piccolissima, per me, così che per una volta il ciclo si trasformasse in ogiva o in linea, perfino spezzata. Che insomma ci fossero i margini di un’apertura.
Invece guardo di nuovo giù, a quel mondo che sta sotto, e so che l’apertura non c’è e non ci sarà e che in fondo, tra me sulla rupe, e gli altri di sotto, non c’è poi molta differenza, ché a ben vedere i primi non sono in fondo così diversi dagli ultimi.
E per quanto si possa essere necessari a rendere la savana quella che è, si ruggisca, si domini e si governi, prima o poi ci si dovrà assoggettare ad un potere più forte, perché in definitiva, tutto è piegato dall’inesorabile potere del tempo, quello sì assoluto davvero, e si risolve nel tempo.
E poi c’è quell’altra questione della vista che, se da un lato qualche volta mi si vela, dall’altro mi si sta facendo sempre più acuta.
Vedo dunque come mai prima da giovane e tutto mi si appalesa chiaro, lampante, distinto, evidente. Quasi avessi assunto una consapevolezza nuova. E perfino, se posso dirlo, una diversa tenerezza (strana parola per me, davvero). Eppure è così, né saprei dirlo altrimenti, come se mi stessi sempre più aprendo alla vita ed alle sue leggi, per quanto incomprensibili tante volte mi appaiano.
Perciò di tanto in tanto anche questo mi accade, di sorprendermi ad aspettare la luna (che non sarà mai il mio astro).
Per provare a sentire se abbia anche lei un suo segno e sappia lasciarlo sul mondo.
E, sorpresa, un segno ce l’ha (l’ho giusto intuito da poco).
Ed è anch’esso il segno di un fuoco.
Forse più algido e freddo (o forse più gentile?), ma sempre e comunque un fuoco. Altro che!
Proprio un dannato, dannatissimo fuoco!
Allora provo a distendermi, per lasciarmene sfiorare, ed ecco che mi arriva il cigolio delle mie giunture. Né sono il solo a sentirlo. O no, no davvero.
Lo so bene che lo sentono tutti, anche se fanno finta di niente.
Del resto si sa che anche i più leoni, anche i leoni più giusti, invecchiano. Come no?
E ti verrebbe quasi voglia di rinunciare ad esserlo, un leone, per acquistare finché lo puoi una libertà diversa, pur solo priva delle ansie dovute al possesso della rupe. Che già lo vedo che, sotto, fermentano i lupi, le volpi, le iene e gli sciacalli. Ogni tanto perfino qualche cane sbrancato.
Ma soprattutto la riconosco, quella sfavillante iattanza dei giovani, assetati di fuoco ed ardimento come me prima di loro.
E mi sembra che provino ogni giorno a spingermi giù con lo sguardo, ansiosi del mio posto, per salire sulla rupe che è ancora mia e lo sarà finché lo potrò, anche se la fatica mi diventa via via più difficile, più pesante, più…, più… , stupida?

Da Species. Bestiario del terzo millennio, Boemi editore, Catania 2012

Illustrazione di Franco Blandino