Vai dove ti porta la coscienza

Just go conscience copertina

JOHN I. CLARKE

Nella mensa affollata, nonostante lo schermo grande che mostrava video pop, l’attacco di Melanie a due altri suoi compagni studenti aveva causato scompiglio.
Solo più tardi nel mio ufficio la dimensione completa della provocazione venne rivelata: i continui insulti da parte dei due ragazzi in questione avevano avuto come risultato la forza della cartella di Melanie su di loro.
“Se fosse successo a me”, dissi a Melanie cercando di dimostrare la mia capacità di empatia, “avrei trovato una maniera migliore per affrontare la faccenda”.
Il pensiero di un insegnante con i capelli grigi insultato al grido di ‘battona’ da due dodicenni produsse in Melanie un’occhiata che poteva solo essere considerata raggelante. “Credo che tutti abbiamo dei casini”, mi disse, “e poi, ho fatto ciò che le mie due coscienze mi chiedevano”.
Non ho resistito a fare l’ovvia domanda e Melanie mi indicò entrambe le spalle dicendo: “La mia buona e la mia cattiva coscienza”.
Sì, penso che tutti abbiamo dei casini, e ne furono la prova gli eventi dei giorni seguenti. Terry, un ragazzo di 14 anni, si rifiutò di togliersi il berretto nel corridoio della scuola quando gli venne gentilmente richiesto. Mentre la situazione diventava sempre più difficile, usò un linguaggio sconcio e offensivo davanti a studenti più giovani. Una volta imposte le inevitabile misure disciplinari, divenne ovvio quanti casini Terry si portava dietro come bagaglio emozionale, al cui confronto indossare un berretto in scuola era un comportamento da ridimensionare.
Poi tenni lezione agli undicenni con un inizio che piaceva sempre: “Se riesci a ricordare un insulto shakespeariano dalla lezione di ieri, puoi dirlo al tuo insegnante di inglese adesso”. Dimostrando notevoli capacità di memoria, gli studenti scagliarono insulti a raffiche veloci quanto le frecce degli arcieri di Enrico V: “cervello stupido”, “faccia come un cencio”, “carne arrosto per vermi” e il parecchio indelicato, a mio avviso, “contenitore per le rughe”.
Però Jordan, eccitato da questa particolare opportunità scolastica e liberato dalle richieste comportamentali di rimanere al posto e non urlare, o dalla condizione che gli insulti dovevano essere genuinamente shakespeariani, gridò “culone”.
Quel che seguì fu l’immediata caduta degli studenti, degli assistenti e, bisogna dirlo, anche degli insegnanti. Quando la classe venne alla fine riportata all’ordine, la lezione ricominciò come una dimostrazione ufficiale del potere terapeutico dell’espressione verbale e della risata.
Quella sera ebbi una rara fuga dalla tirannia di correggere i quaderni. E cosa fanno gli insegnanti di inglese in queste occasioni? Questo (cioè io) andò alla presentazione di un libro di poesie che aveva curato: Not Dark Yet, una raccolta a sostegno dei Samaritans. Il libro, che aveva una prefazione di Ian McMillan, conteneva cinquanta poesie scritte apposta per contribuire ad una buona causa. Così Jack Irving in “Mired” si riferisce ad un airone nella palude: “Prende il volo / come lo sbattere folle di una vela nel mezzo della tempesta / la nostra lite”. E Roger Manns conclude il suo avvincente contributo con i versi: “Sono queste le mani che mi condussero lievi alla vita / poi lente mi lasciarono? / Che ora stanno vizze, pezzate / una sull’altra sopra la sua vestaglia?”.
La presentazione fu un successo, come iniziativa di beneficenza ma anche come promemoria del potere corroborante delle parole.
Per quanto riguarda me, mi ero chiesto molte volte perché avessi accettato il compito di curare la pubblicazione di un libro quando c’erano le richieste della visita di ispezione governativa, dei moduli di valutazione e dei documenti da aggiornare che mi facevano sentire in colpa. La risposta era che le mie due coscienze me lo chiedevano. Melanie ha ragione, li abbiamo tutti e penso che il trucco che dobbiamo imparare è come affrontare i casini.
(pubblicato in The Times Educational Supplement 06.01.06)

Da Of Chalk and Talk and other stuff – Punti di vista da e oltre la classe
Pubblicato la prima volta nel 2014 da Currock Press

Just go conscience

«Trentun anni è una lunga pena detentiva eppure ci sono alcuni che lavorano ben più a lungo. Quanto a me, dopo trentun anni mi sembrava di aver fatto la mia parte e ho deciso di andare in pensione anticipatamente».
Questo brano è tratto dall’Introduzione dell’autore, che durante la sua pena detentiva, pardon, carriera ebbe cinque incarichi a tempo pieno, di cui due come responsabile dell’Inglese e uno come vicepreside. Questa carriera ha ispirato la scrittura di molte riflessioni sui diversi aspetti dell’insegnamento, che sono state occasionalmente pubblicate dal Supplemento dedicato all’istruzione di The Times. Margutte mette online la prima traduzione in italiano di uno di questi articoli.

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