Dresda, 80 anni dopo

Bombing of Dresden aftermath

Bombing of Dresden aftermath

PAOLO LAMBERTI

Tra il 13 e il 15 febbraio 1945 la città di Dresda fu bombardata e distrutta dagli aerei angloamericani. Nel corso degli anni si è sempre più diffuso il paragone con Hiroshima e Nagasaki, e tale episodio è divenuto un monito contro la guerra; tuttavia in questo modo si sono confuse le responsabilità e i confini tra vittime e carnefici, con una inquietante convergenza tra pacifismo e neonazismo, come ben si vede dal libro dello storico inglese neonazista Irving sull’episodio; anche la forza del libro di Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, ha contribuito a dare fama alla distruzione della città, in cui l’autore era prigioniero di guerra e quindi testimone diretto.
Tuttavia un giudizio moralistico privo di salde radici storiche si riduce per lo più ad un esercizio astratto, magari con la tendenza a caricare le tinte a dismisura: per il numero di vittime si sono viste stime che superavano le 100.000 o addirittura 200.000, anche se i numeri oggi storicamente più probabili, pur con le incertezze per una città affollata di profughi, coincidono intorno ai 25.000. Numero spaventoso, ma decisamente diverso dai morti per le armi atomiche, e inferiore alla sorte di città come Amburgo e Tokio.
Dresda è l’ultimo grande episodio della campagna di bombardamento strategico alleato sulla Germania, di cui è opportuno riassumere le origini.
All’inizio c’è il trauma della I guerra mondiale: dopo tale esperienza si sviluppa l’idea che una campagna di bombardamento che colpisca industrie e città possa, pur nella sua brutalità, accorciare le guerre ed evitare i massacri delle trincee; l’idea, che ha tra i suoi sostenitori l’italiano Dohuet, si riassume nell’affermazione del primo ministro inglese Baldwin nel 1932: «Qualunque cosa si dica, i bombardieri passeranno sempre»: una sorta di deterrenza prima delle armi nucleari.
In realtà l’idea di vincere una guerra solo con la forza aerea è un fantasma che si è riproposto anche in tempi recenti, nonostante non abbia quasi mai funzionato, e la II guerra mondiale ne è la prova più evidente. Questo non significa che la campagna aerea sia stata inutile: se nonostante i bombardamenti la Germania nazista ha toccato il picco della produzione militare nel 1944, è facile immaginare quante e quali armi si sarebbero riversate sui vari fronti senza la costante pressione dei bombardieri, senza contare le migliaia di caccia e di cannoni che i tedeschi impegnano per difendere il proprio suolo, invece di usarli contro i nemici.
Il fatto che le flotte di bombardieri siano state anglosassoni non dipende solo dalle differenti capacità produttive, soprattutto americane, ma dalla diversa natura delle nazioni: potenze di terra come la Germania e l’URSS intendono l’aviazione come una sorta di artiglieria volante tattica, al servizio delle truppe di terra, mentre potenze marittime come Gran Bretagna ed USA creano flotte di bombardieri strategici sulla falsariga delle flotte navali; per questo motivo anche all’inizio della guerra la Germania non ha veri bombardieri pesanti, che ha invece Londra.
Una scelta, quella inglese, lungimirante. Dal settembre 1939 ad El Alamein, novembre 1942, per 38 mesi la Gran Bretagna conosce praticamente solo sconfitte, perde Polonia, Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio, Francia, Grecia, Malesia, Birmania, Singapore, Hong Kong e sopravvive a stento a Dunkirk, in Nord Africa, nella battaglia dell’Atlantico e nella battaglia d’Inghilterra. La sua unica arma offensiva sono i bombardieri, senza le notizie dei loro (relativi) successi non è detto che il governo Churchill sarebbe sopravvissuto, aprendo la strada ad un accordo che sancisse la vittoria hitleriana.
Contrariamente all’opinione sempre più diffusa che vede aviatori indifferenti che massacrano civili (più o meno, ci sono anche i nazisti) innocenti, gli equipaggi dei bombardieri sono tra i soldati che corrono più rischi. Oggi le vittime tedesche sono calcolate tra le 500.000 e le 600.000, ma si dimentica che quasi 50.000 uomini del Bomber Command sono da annoverare tra le perdite, e il numero di caduti tra gli aviatori USA non è molto inferiore; con un tasso di abbattimenti mediamente tra il 3% e il 6% per missione, e un numero obbligatorio di missioni tra 25 e 30, il calcolo di sopravvivenza è presto fatto.
Tenendo conto che USA e UK dedicano all’aviazione più di un terzo di tutte le spese militari e che a inizio 1945 in Europa sono presenti migliaia di bombardieri e più di un milione di uomini al loro servizio, è abbastanza comprensibile che tale massiccia forza non possa essere tenuta ferma mentre la guerra continua, solo perché gran parte dei bersagli era già stata colpita.
Quanto poi all’idea che il bombardamento di Dresda sia stata un’inutile crudeltà a guerra quasi finita, è un classico esempio del senno di poi. L’estate del 1944 aveva creato l’illusione che il conflitto in Europa sarebbe terminato entro Natale: gli alleati avevano liberato la Francia, l’operazione Bagration, la più grande battaglia di terra della guerra, aveva annientato un intero gruppo di armate tedesco e recuperato il territorio sovietico, oltrepassandolo; in Italia Roma e Firenze erano state liberate e nel suo piccolo la Resistenza italiana conosce la sua stagione più brillante. Poi però vengono l’autunno e l’inverno: gli inglesi sono sconfitti ad Arnhem, gli americani si impantanano nella foresta di Hurtgen e sono quasi travolti dall’offensiva delle Ardenne, i russi si arrestano, per stanchezza e per politica, alle porte di Varsavia, che insorge e viene distrutta; in Italia la linea Gotica blocca gli Alleati, e per la Resistenza comincia l’inverno più duro, ben raccontato da Fenoglio.
Perciò che a febbraio mancassero meno di tre mesi alla fine della guerra non era per nulla certo, tanto che negli stati maggiori si preparavano già piani eventuali per il 1946; soprattutto le armate alleate, a Ovest, Est e Sud, si stavano rimettendo in movimento e ovviamente si aspettavano ogni sforzo per indebolire il nemico, con una forte offensiva di bombardamenti che colpissero fabbriche di armi, raffinerie e centri di comunicazione, come era appunto Dresda; un bersaglio che si trovava sulla direttrice di avanzata dell’Armata Rossa, che sollecita gli angloamericani a colpirlo.
Oggi il bombardamento di Dresda può ancora avere un significato simbolico di condanna della guerra, ma si inserisce su uno sfondo storico preciso, che ne motiva le origini e ne spiega la logica, e soprattutto non deve mai far dimenticare che la II guerra mondiale ha responsabili chiari sia per lo scoppio del conflitto che per tutte le sue conseguenze, senza pericolose confusioni tra chi aggredisce e chi difende la propria libertà.
Confusione oggi riproposta.