La giovane favolosa

Foto scattata dall'autrice durante la mostra

Foto scattata dall’autrice durante la mostra

LAURA BONFIGLIO

Roberto Longhi una volta disse che Artemisia Gentileschi era l’unica donna in Italia che sapesse che cosa è la pittura e il colore, e l’impasto, e simili essenzialità.
Eppure questa grande artista soffrì, anche da morta, di un destino nefasto; la Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Napoli, che ospitava la sua tomba, venne abbattuta per fare spazio ad un moderno edificio nei primi anni cinquanta del ’900. Originariamente ubicata nell’antico rione Carità, la chiesa fu demolita e ricostruita al Vomero, mentre i resti della grande artista andarono persi.
La sua fu una vita difficile.
Nacque a Roma nel 1593; suo padre Orazio Gentileschi fu un famoso pittore e Artemisia, che perse la madre ancora bambina, crebbe nella bottega paterna dove apprese fin da subito le tecniche della macinazione e dell’uso dei colori, dell’estrazione degli oli, il confezionamento dei pennelli con setole animali e la preparazione delle tele.
La bottega era frequentata oltre che da Carracci, Caravaggio, Guido Reni e il Domenichino anche da Agostino Tassi, pittore tardo manierista che fu maestro della ragazza sull’ uso della prospettiva. Nel febbraio 1612, mentre stava lavorando insieme ad Orazio Gentileschi, Agostino Tassi fu accusato di stupro nei confronti di Artemisia.
Durante il processo la ragazza, che era la vittima, fu messa sotto tortura dal giudice che impose lo schiacciamento dei pollici per verificare la veridicità delle sue dichiarazioni.
Il Tassi fu condannato per la deflorazione di Artemisia Gentileschi, la corruzione dei testimoni e la diffamazione di Orazio Gentileschi. Il giudice Gerolamo Felice gli impose di scegliere: cinque anni di lavori forzati o l’esilio, ma la condanna, grazie a potenti protettori, fu annullata e il colpevole continuò imperterrito a vivere a Roma.
Durante il processo Artemisia sostenne che Agostino l’aveva violentata una prima volta, salvo poi prometterle che le avrebbe salvato l’onore sposandola. È da precisare che Tassi in realtà non era celibe ma sposato e già in precedenza era stato coinvolto in cause giudiziarie; quindi un personaggio poco raccomandabile. La ragazza fu costretta, con un matrimonio riparatore, a sposarsi il giorno dopo la conclusione del processo, con un uomo appena conosciuto, un modesto pittore che acconsentì in cambio di favori e denaro offerti da Orazio Gentileschi.
Artemisia traslocò a Firenze prendendo il vero cognome del padre che era Lomi e non Gentileschi: qui riuscì, nonostante tutto, a rivelare il proprio talento e coraggio diventando una femminista ante litteram, che si impose in una società tendenzialmente chiusa e maschilista, in cui le donne non avevano molte possibilità di emergere. Fu la prima donna a firmare i propri quadri e la chiamarono la pittora perché non esisteva un sostantivo per definirla.
Siamo nel pieno della Controriforma, periodo che vide il restauro di numerose chiese con il conseguente incremento delle commesse.
La sua fu un’arte molto originale che esprime grande realismo e spiccata sensualità, che si ispirava alla scuola del Caravaggio per l’uso del chiaroscuro, il buio con squarci di luce che illuminano i protagonisti della scena. Dipinse donne che compiono delitti efferati ma lo fanno perché sono eroine della Bibbia o della mitologia e devono uccidere il nemico.
È una donna che guarda altre donne svolgere azioni cruente: la Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia è molto più cruento del dipinto di Caravaggio e possiamo leggere sui volti la sorellanza tra l’ancella e l’ eroina.
In seguito al trasferimento a Napoli dove Artemisia ebbe la sua prima commessa, L’Annunciazione, (uno dei suoi dipinti più potenti), trovò anche il coraggio di recuperare il proprio cognome Gentileschi.
Certamente la forza, la violenza espressa dai volti dei personaggi nelle sue tele è da attribuire alla biografia dell’artista, soprattutto nella Giuditta che sgozza Oloferne, quadro che fu dipinto subito dopo il processo. Secondo alcune letture, i suoi trascorsi si sarebbero riversati nella sua arte divenuta brutale anche se in realtà i temi particolarmente truci sono tipici dell’arte del Seicento, periodo di grandi cambiamenti, influenzato anche dagli indirizzi teorici del Consiglio di Trento.
Essendo una donna del Seicento incontrò innumerevoli ostacoli alla sua carriera come ad esempio il divieto da parte del padre di frequentare il ricco patrimonio artistico romano e spesso le fu rimproverato di non dedicarsi alle attività domestiche come le altre ragazze del suo tempo.
Ma per fortuna ebbe anche molti ammiratori come ad esempio Cassiano dal Pozzo, suo estimatore e protettore alla corte di Roma; a lui scrive due lettere per descrivere il dipinto Cristo e la samaritana al pozzo, una tela di grandi dimensioni dipinta durante il suo soggiorno a Napoli.
Fu molto apprezzata dal pittore francese Pierre Dumonstier che ritrasse “la mano destra di Artemisia Gentileschi che regge un pennello” mentre un olandese la raffigurò con un paio di baffi, insieme ad altri tre artisti, segno che la pittrice non disdegnò la compagnia goliardica di artisti nordici dediti alla bisboccia e a dare scandalo.
Dopo la sua morte la pittrice diventa la protagonista di epitaffi poetici che pur mantenendone la memoria contengono parole di scherno nei confronti della sua moralità, in seguito alla violenza subita in giovinezza. Nonostante il suo talento espresso in molti capolavori, il pregiudizio la accompagnerà per sempre.
Sarà il grande storico dell’arte Roberto Longhi e la moglie (conosciuta con lo pseudonimo di Anna Banti) a far rivivere i dipinti di questa artista eccezionale, forte e volitiva che non si arrese mai ai pregiudizi del suo tempo.

Nelle sale di Palazzo Ducale a Genova sono esposte molte opere di Artemisia Gentileschi, alcune importanti perché segnano il cambio di stile rispetto al padre come Susanna e i vecchioni e la bellissima Allegoria dell’Inclinazione, (autoritratto senza veli della pittrice).
Accanto alle sue, alcune tele del padre Orazio, che lavorò a Genova per tre anni.
Fino al primo aprile 2024 si potrà apprezzare la grande arte di Artemisia e come suggerisce il titolo della mostra, il suo coraggio e la sua passione.

https://palazzoducale.genova.it/mostra/artemisia-gentileschi/