Decimo Dan, Marco Plebani

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MARCO PLEBANI

ADRIATICA

Sulle nostre rive
il boato e lo schiaffo delle onde.
Pensaci, adriatica ninfa,
miliardi di anni
sono intercorsi
dalla prima cellula
alla tua bocca che parla del tuo sogno di ieri,
il nostro di domani.

Il sogno è concentrico al sogno
che s’avvinghia sanguineo nei corpi.

*

CHERNOBYL

Non ho pianto quando Chernobyl
sotto forma di nube al cancro
rubò i miei giochi esposti
in terrazzo.
Né quando mia madre
la serenità perse e non fece finta di nulla.
Né quando mio padre si è sigillato,
chiuso per sempre nel suo dolore
e nel trafitto silenzio: “Addio fratelli dispersi”.
Né quando,
per giorni,
mia sorella si è sentita
completamente sola
sotto un sole ripieno di sorrisi.
Né soprattutto
sopr’ogni cosa,
quando nel’87 gli infermieri mi hanno chiesto
di “gonfiare un palloncino”
in una sala operatoria.

Anestesia totale.

Mi svegliai burattino nei legni dolente.

Ho pianto ogni volta che qualcuno è morto
ed una parte di me ha camminato
per sempre nei cortei funebri.

Troppo preziose e troppo rare
le lacrime di un uomo.

*

PASSEGGIATA A SENIGALLIA

Fredda sera quella di metà Marzo;
d’ameni sorrisi risuona
il sentiero stradale di Senigallia
che brulica alcolico in tribù
ancor poco popolose, col mare
ancora avvenire, lontano, ad un passo.

Non sentirò quell’inizio d’estate
ancora avvenire, lontano, ad un passo
da casa.
Eravamo ragazzini
consimili alle more dei rovi,
sincarpi sugosi del gelso bianco.

Marco Plebani, Decimo Dan, Edizioni La Gru 2022
Dalla Prefazione di Piermarino Simonetti
Mentre scrivevo la lettura ha trasformato l’ansia per la prefazione in un cammino senza ostacoli. Questa silloge di versi dispari (per la maggior parte settenari ed endecasillabi da decifrare, talvolta, secondo forme e figure dei miti) scorre leggera, a tratti pacata, a tratti oscura, ma senza la necessità di ricorrere a manuali. Come tutte le sorprese l’interpretazione stava proprio lì, dietro un angolo.
La brezza mossa dallo sfogliare delle pagine odora di fresco aliseo che spinge l’equilibrata velatura di questo libro verso porti di piacevole soggiorno. Bastano quattro o cinque versi per entrare dapprima intimoriti per uscirne poi soddisfatti, col gradito mistero di un racconto. Piccole ebbrezze d’incursioni corsare nel mito, grazie alle quali non si staziona nel genere, ma si gode della “commedia umana”.

Dalla Postfazione di Ricardo Pèrez Marquez
Si potrebbe parlare di una mistica amorfa, l’autore quale giovane Orfeo che semina sogni agrodolci, con la sua estasiata lirica, mentre spunta dalle zolle il suo accattivante fraseggio, un dolore di morbida tessitura, uno sguardo di placido amante. Il mio grazie per questo invito e questa sfida, ascoltare poeti che aiutano a trattenere le immagini più fervide dell’umano apre, senz’altro, alla grazia dell’incontro.

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Plebani è insegnante di lettere presso la Scuola Media “Enrico Fermi” di Macerata (MC).
Con il suo precedente lavoro intitolato “Un giorno qualsiasi” (Ed. OTMA, Milano, 2011) si è classificato secondo al premio A.U.P.I. (Albo Ufficiale Poeti Italiani).
“Decimo Dan” è una silloge che raccoglie le liriche composte in un arco temporale di oltre 2 decenni (1999-2021). Questa è la sua presentazione dell’opera: «Il titolo scelto fa riferimento al massimo grado delle arti marziali; un’ovvia metafora che si addice alla mia idea di poesia, per me espressione al massimo grado della consapevolezza che si raggiunge con l’ispirazione e la scrittura.
L’idea di fondo è stata disporre, nel tempo, i componimenti in una sorta di concept, un po’ come gli LP musicali che dipanano un tema in sezioni e lo risolvono con l’ultimo brano.
Le metriche che ho usato sono varie: dal sonetto, al verso libero, al madrigale, fino alla còbbola provenzale; il tutto all’insegna di un prepotente andamento allitterante che non disdegna, però, anche l’uso delle figure semantiche più ad effetto, arrivando persino al calembour.
I versi sono per lo più endecasillabi e/o versi sillabicamente dispari.»

(A cura di Silvia Pio)