Il Barocco tedesco tra Italia e Francia

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GABRIELLA MONGARDI

Con il concerto Il Barocco tedesco tra Italia e Francia l’orchestra “I Giovani della Montis Regalis”, diretta dal maestro Fabio Bonizzoni, ha inaugurato a Mondovì, sabato 28 ottobre scorso, il Festival dei Giovani Musicisti Europei, che da quest’anno è dedicato alla memoria del suo fondatore e ideatore, Lutz Lüdemann.
Non poteva esserci titolo (e programma) più adatto all’europeismo di Lutz che un titolo di così ampio respiro “geografico”, in cui sono compresenti le tre “patrie musicali”, i tre grandi stili del Barocco: tedesco, francese e italiano: in particolare, il programma evidenziava la fascinazione di Haendel e Hasse per la musica italiana, e quella di Telemann per lo stile francese.

Il tedesco Haendel visse e operò prevalentemente in Inghilterra, ma si formò in Italia, dove “imparò” da Corelli il concerto grosso, l’ultima grande creazione musicale del periodo barocco. Il violinista italiano Arcangelo Corelli per primo suddivise l’orchestra in due sezioni, i soli o concertino e il tutti o concerto grosso, e codificò l’alternanza di tempi lenti e veloci nella struttura del concerto: questo è ben evidente nei due brani proposti, l’Ouverture da Rinaldo HWV 7 e il Concerto grosso in si bemolle maggiore op. 3 n. 1.
L’ Ouverture del Rinaldo prorompe, avvolgente e sontuosa, a piena orchestra, poi la struttura si articola in un coinvolgente dialogo tra violini, in cui la sonorità dei fiati insinua sprazzi di luce. Se l’ouverture di Haendel è quasi un concerto grosso, il concerto grosso è quasi un concerto solistico: nel primo movimento domina la scena il primo violino, mentre nel secondo è il flauto a predominare; breve e intensa la conclusione, con flauto e violino di nuovo in primo piano.

Anche Hasse venne a studiare in Italia: più giovane degli altri due di circa vent’anni, nella sua sinfonia, strutturata come un concerto vivaldiano, rivela un temperamento più “romantico”: tempestoso, quasi violento il primo allegro; energico e deciso l’ andante; pieno di vitalità e contrasti l’allegro finale.

Telemann invece non lasciò mai la Germania, ma fu aperto a tutti gli idiomi musicali, in particolare allo stile francese. Non per niente la sua ouverture in do maggiore Wassermusik è una suite di danze alla francese a tema mitologico: ne sono protagoniste le divinità e le ninfe delle acque e dei venti, Teti e le Naiadi, Tritone e Nettuno, Eolo e Zefiro, mentre gli esseri umani, gli allegri barcaioli, compaiono solo alla fine, in una esotica Canarie, una danza in 6/8 originaria di quelle isole. Dopo un’ouverture ampia e varia, una lenta sarabanda e una vivace bourrée descrivono il sonno e il risveglio di Teti, che Nettuno innamorato contempla da lontano, in una malinconica loure. La tristezza viene subito scacciata da una gavotta molto giocosa e da una geometrica, gradevolissima Harlequinade; così come alla furia del tempestoso Eolo si contrappone la delicatezza di Zefiro, espressa da un galante minuetto, mentre una giga è dedicata all’andirivieni della marea.

Un’interpretazione di altissima qualità, spumeggiante di entusiasmo, lungamente applaudita dal pubblico: come bis, è stato giustamente proposto un compositore italiano diventato francese, Lully – e il cerchio del barocco europeo si è mirabilmente chiuso.

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