Italo Calvino, lo scrittore scoiattolo

I piccoli Italo e Floriano Calvino con pinocchio, insieme ai genitori Mario ed Eva Mameli (quel Mameli!) con la nonna nel parco di Villa Meridiana a Sanremo. La foto si trova nella biblioteca di Sanremo.

I piccoli Italo e Floriano Calvino con pinocchio, insieme ai genitori Mario ed Eva Mameli (quel Mameli!) con la nonna nel parco di Villa Meridiana a Sanremo. La foto si trova nella biblioteca di Sanremo.

LAURA BONFIGLIO

Italo Calvino, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, è sicuramente uno degli autori italiani più conosciuti, amati e tradotti al mondo. Ma io lo voglio ricordare soprattutto perché quando lessi, verso i dieci/undici anni,  il romanzo Il barone rampante fui ammaliata dalla storia del giovane Cosimo Piovasco di Rondò, rampollo di una nobile famiglia ligure che all’età di dodici anni (più o meno la mia di allora) in seguito a un litigio con i genitori, si arrampica su un albero del giardino di casa per poi decidere di non scendervi mai più costruendosi una propria vita sugli alberi, fatta di relazioni amorose, di studio e persino di incontri importanti, come quelli con il filosofo Voltaire e con l’imperatore Napoleone Bonaparte.

La mia casa era in un condominio, nel centro di Alba che allora era un grande paese più che una cittadina, e dalla finestra della cameretta vedevo un albero; quella lettura influenzò così tanto la mia giovane vita da farmi quasi allontanare emotivamente dai miei genitori. Quando, a quattordici anni mi comprarono il motorino, fuggivo spesso in campagna con un romanzo favoleggiando vite alternative.
Italo Calvino quindi è stato per me un compagno durante quella fase dell’adolescenza in cui non sai che pesci pigliare, in cui vorresti vivere dappertutto tranne dove vivi, anche se quel luogo ti assicura una certa libertà di azione.

Calvino, invece, di alberi ne aveva visti parecchi dato che i genitori si occupavano di piante e fiori. Aveva vissuto a Sanremo quasi ininterrottamente i primi venticinque anni della sua vita e il nome Italo gli era stato dato dai genitori (Eva Mameli e Mario Calvino, una botanica ed un agronomo) a Cuba, dove lui nacque; più tardi, durante la seconda guerra mondiale, si farà chiamare Santiago nei suoi anni da partigiano in omaggio al luogo natio.
Sanremo rimarrà però sempre il paesaggio di riferimento, un paesaggio pieno di piante, presente anche nelle Città invisibili.
Alla fine degli anni venti del Novecento, è una delle città più belle del Mediterraneo, con una vegetazione ricca di uliveti, limonaie, dove vanno a svernare aristocratici del nord Europa ma che nel dopoguerra subisce una violenta speculazione edilizia.

Lo scrittore apparteneva ad una famiglia sanremese di proprietari agricoli, cacciatori e mangiapreti; il padre era floricoltore ma si sentiva in colpa perché la floricoltura aveva contribuito in parte a rovinare il paesaggio. Era un rivoluzionario in mezzo alle piante. La mamma passava le giornate a catalogare vegetali, sempre al microscopio; fece ritardare il più possibile l’iscrizione di Italo ai Balilla perché non voleva che imparasse il maneggio delle armi e voleva che fosse esonerato dalla messa in quanto il bambino non era cattolico.
Vivevano a Villa Meridiana, frequentata da personaggi stravaganti, come Antonio Rubino, illustratore del Corriere dei Piccoli che, come ci racconta Gianni Celati nel suo ultimo libro, intratteneva il piccolo Italo coi suoi personaggi. La Villa era allora un’oasi di verde, di bouganville ma ora è soffocata dai palazzi circostanti, alti e a volte orribili che rendono il paesaggio irriconoscibile.
Nella raccolta Ultimo viene il corvo si racconta che papà Mario obbliga il figlio ad andare a caccia con lui, all’alba (quando si vede la Corsica) ma Italo decide di salvare la lepre appena stanata dai colpi del fucile del padre fingendo di non averla vista passare. Questo rivela lo spirito ecologista ed animalista dello scrittore, spirito molto moderno rispetto ai suoi tempi.
Molto vicino agli anarchici russi antizaristi, Mario Calvino vuole trasmettere a Italo e Floriano la passione per le piante, che per lui è quasi un’ossessione tanto da costringere i due figli a seguirlo in campagna, nell’ orto di San Giovanni, per poi tornare con le ceste cariche di frutta e verdura. Loro invece vorrebbero andare al mare, coi compagni, con le ragazze.
Ma il bosco dove il barone rampante saltava di ramo in ramo non esiste più, esiste solo più la monocultura del garofano, da Poggio a Coldirodi, come scriverà in La speculazione edilizia.
Al giovane Italo la natura sembrava quasi indifferente, affermando di viverci dentro ma di voler essere altrove; più tardi il rapporto con essa gli verrà restituito dalla letteratura.
Un ragazzo che vuole essere uno scrittore ma che non sa da che parte cominciare per la molteplicità di strade, di chi sta cercando il proprio posto nel mondo letterario.

Nel romanzo I sentieri dei nidi di ragno unisce l’elemento letterario insieme all’ esperienza vissuta e nella prefazione del 64 Calvino riflette su cosa è stato scrivere il suo primo romanzo: la storia di un’adolescenza durata troppo a lungo seguita dall’esperienza della guerra che lo aveva caricato di volontà e tensione giovanile negandogli però la grazia spontanea della giovinezza.
Nel romanzo la guerra viene descritta da un bambino come in una immagine di regressione perché il maturare impetuoso dei tempi non aveva fatto altro che evidenziare la sua immaturità.

Più tardi Calvino riconoscerà a questo romanzo una forza vitale oscura, quella dell’inquietudine e delle mancanze, di ferite segrete. Da giovane non era stato solo un partigiano garibaldino ma anche un militante comunista: alla fine degli anni 40 come redattore dell’edizione torinese dell’Unita pubblica dei veri e propri reportage sulla occupazione delle fabbriche e sugli scioperi delle mondine (ricordiamo che siamo nell’epoca del neorealismo quando vengono realizzati film come Riso amaro). Il neorealismo infatti ha caratterizzato il clima culturale dell’epoca e soprattutto di una parte precisa della sinistra che voleva raccontare la storia recente cioè la guerra, la resistenza e la condizione della classe operaia. Ne parlerà ne I sentieri dei nidi ragno come di un furore antico che si sfoga in spari su una parte e sull’ altra, ma gli spari di una parte serviranno per cambiare, per costruire una umanità senza più rabbia.
“Utilizzare la nostra miseria umana contro se stessa, per la nostra redenzione”.

Ne La giornata dello scrutatore, uno dei migliori scritti di Calvino, il protagonista Amerigo Ormea, da rappresentante di lista del partito Comunista durante le elezioni del ’53 (che si faranno con la legge truffa del regime maggioritario che prevedeva un premio di maggioranza al partito che avesse superato il 50%) fa lo scrutatore ma non solo; in quella giornata riflette su molte cose, sulla nostalgia per la partecipazione da parte della popolazione al cambiamento, le sedi improvvisate dei partiti, piene di entusiasmo e di fumo, tutte cose che stavano però già sparendo per lasciare posto alla burocrazia, la vecchia separazione tra amministratori ed amministrati.

“Il parlatorio del Cottolengo era dunque lo scenario perfetto per la giornata…anche qui doveva esserci stato il calore di una pietà che pervadeva persone e cose, forse anche ora c’era in singole persone, Amerigo non voleva escluderlo…ma che adesso era un grande ente assistenziale ospedaliero, dalle attrezzature antiquate…ma era diventato produttivo, produceva voti”. Questo libro descrive la disillusione politica di Calvino che però continuerà a votare il partito Comunista e a prendere posizione da scrittore nella vita politica italiana, come farà durante il rapimento di Aldo Moro nel 1978.

Una parte importante della vita di Calvino è quella dedicata all’editoria, al suo rapporto con Pavese che per lui rappresenta l’Einaudi. Gli manderà i suoi primi scritti che piacquero molto e verranno pubblicati; diventeranno amici e Pavese lo farà entrare come addetto ufficio stampa. Calvino sarà sempre devoto alla memoria di Cesare Pavese, anche dopo la sua morte.

Nel libro postumo Le lezioni americane Calvino parla delle qualità del bravo scrittore (Pavese lo definì scrittore scoiattolo per l’agilità, la facilità e scioltezza di stile); una teoria di seduzione della letteratura secondo la quale bisogna mettere in atto cinque modi di comportamento che sono la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità e la molteplicità.
Alberto Moravia gli dedicherà una lunga, appassionata recensione definendo questo libro come scritto da un adolescente innamorato.