Era una notte buia e tempestosa

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LAURA BONFIGLIO

Il sogno di Snoopy di fare lo scrittore, anche se i suoi racconti improbabili non riescono a trovare un editore disposto a pubblicarli, dà vita a strisce memorabili. Il suo immutabile incipit “Era una notte buia e tempestosa…” proviene dalla novella Paul Clifford, scritta nel 1830 da Edward George Bulwer-Lytton.

Snoopy scrittore è stato certamente caro al suo creatore Charles Schulz che lo ha scelto per dare il suo addio ai lettori il 13 febbraio del 2000. Altri sono gli alter ego, forse il più conosciuto è il pilota, l’Asso della Prima Guerra Mondiale. Per questo personaggio indossa sciarpa ed occhialoni e vola a bordo del suo aereo (in realtà, la sua cuccia) combattendo il Barone Rosso. Alle gesta eroiche del fantastico pilota è dedicata anche una canzone cantata in Italia da Giorgio Gaber.

Snoopy spesso si diverte a trasformarsi e diventa Joe Falchetto atteggiandosi a studente perdigiorno con tanto di occhiali da sole. Ma è anche un avvocato, un giocatore di hockey su ghiaccio, di football e golf, un soldato nella guerra d’indipendenza degli Stati Uniti, un legionario, un capo scout, un dottore e perfino un astronauta, per citare solo alcuni dei circa centocinquanta ruoli da lui impersonati nel corso degli anni.

Snoopy debutta nella striscia come un cane normale, ma col tempo diventa uno dei personaggi più cari al pubblico dei fumetti.
Quando Snoopy fece la sua prima apparizione nella striscia, Schulz voleva chiamarlo Spike, il nome del suo stesso cane. Successivamente Spike fu il nome dato a un fratello di Snoopy che vive nel deserto. Snoopy è l’ultimo nato di una cucciolata di otto cani presso l’Allevamento della Quercia e il suo padrone è Charlie Brown. La vicenda però è più complicata perché, dopo aver ricevuto una lettera da una misteriosa Lila, il cane parte da casa per un viaggio sostenendo che lei ha bisogno di lui. Si scopre quindi che Lila era la sua precedente padrona, e Snoopy sta andando a trovarla in ospedale. Charlie Brown tuttavia non ne era al corrente e il fatto gli viene spiegato da Linus dopo il ritorno di Snoopy dall’ospedale.

Essendo un cane, non può parlare ma pensa tantissimo. Gli unici che sono in grado di leggerne i pensieri sono gli altri animali, in special modo il suo amico intimo, l’uccellino Woodstock. Una delle stravaganze di Snoopy è che dorme sul tetto della cuccia, piuttosto che dentro di essa e che la cuccia contiene un Van Gogh, un tavolo da biliardo, un affresco raffigurante la storia della civiltà, una biblioteca, un televisore e molto altro. Nelle prime apparizioni Snoopy camminava a quattro zampe, ma poi ha iniziato a camminare su due zampe, come un essere umano. Sa ballare, pattinare, giocare a pallacanestro, e non bisogna dimenticare che Snoopy è anche uno dei componenti della squadra di baseball di Charlie Brown. A Snoopy piace leggere Guerra e Pace, ma per non affaticarsi ne legge una parola al giorno. Snoopy non sopporta i gatti e quello dei vicini è un suo grande nemico che però non si vede mai, come pure il Grande Bracchetto, una autorità canina per il quale Snoopy nutre grande rispetto. Tra i suoi passatempi preferiti vi sono il tendere agguati a Linus per rubargli l’amata coperta e tirare di boxe contro Lucy.

Molti sono i tormentoni in 50 anni di Peanuts, ma ce n’è uno particolarmente duraturo, cioè quello di Lucy che toglie il pallone da football a Charlie Brown. Lei tiene con due dita la palla, lui prende la rincorsa tutto convinto, si sbilancia e cade a terra battendo la schiena. Lucy, ancora una volta, ha tolto il pallone all’ultimo momento.

Schulz ripete questo atto di bullismo per approfondire i caratteri dei suoi due personaggi, evidenziando la crudeltà di Lucy e la cieca fiducia nell’umanità di Charlie Brown. Lucy, modello perfetto di integrazione, molto fiduciosa nelle sue capacità, spietata, rinuncia alla sofferenza attraverso la perdita di ogni forma di empatia. Schulz non fece mai vincere Charlie Brown; quel povero bambino non riuscì mai a calciare il pallone.

Luc Sante, scrittore americano di origine belga, i cui genitori emigrarono negli Stati Uniti parlando pochissimo l’inglese, racconta che suo padre dopo aver conosciuto povertà, guerra, miseria, si era riconosciuto in Charlie Brown: quel bambino dalla testa rotonda gli parlava; leggendo le strisce ritrovava quel senso di spaesamento e sfortuna che aveva provato da immigrato.

Nel saggio del 1936 intitolato The storyteller, il filosofo ebreo-tedesco Walter Benjamin descrive l’inizio della fine della tradizione orale in Occidente: il trauma collettivo della prima guerra mondiale con i suoi effetti collaterali stava rendendo la comunicazione di esperienze condivise, attraverso il racconto di storie, un ricordo del passato. Scrive Benjamin: “Una generazione che era andata a scuola su un tram trainato da cavalli ora si ritrovava sotto il cielo aperto di una campagna in cui nulla era rimasto invariato, se non le nuvole, e sotto queste nuvole, in un campo di forza di torrenti distruttivi ed esplosioni, stava il minuscolo, fragile corpo umano”.

La deriva in un paesaggio sconosciuto, un sentimento che persiste e condiziona il ’900.
Schulz creò bambini dalla strana fisionomia, con la testa grossa in quanto bambini, teste rotonde che erano sì una semplice linea contorno continua, una forma di disegno tipicamente infantile ma quelle teste erano cariche di pensieri: bambini che non si comportano o parlano come fanno i bambini.

Bertolt Brecht avrebbe certamente approvato i Peanuts perché cercò di fare la stessa cosa con il proprio teatro; perché potesse sempre essere riconosciuto come un’illusione non doveva dare una eccessiva impressione di naturalezza altrimenti ci si poteva dimenticare che non si trattava della realtà ma di arte.

Fumetti quindi concepiti per coinvolgere e impegnare, e non essere affrontati in maniera superficiale. La striscia tratta di cose intelligenti, disse Schulz una volta, e non considero i Peanuts un fumetto per bambini. Queste strisce hanno ottenuto un grande successo per la comicità caustica e desolata; un umorismo duro dove i personaggi subiscono la stessa condizione dei protagonisti di Cechov, vivono una vita senza principio e senza finale, vite medie senza infamia e senza lode. Qui i bambini si comportano come adulti e parlano con il loro cane come fa, in un racconto di Cechov, il cocchiere che perde il suo bambino e non sapendo con chi parlare lo racconta al suo cavallo.

Umberto Eco riteneva che Salinger fosse datato al contrario di Schultz, che considerava invece un vero poeta. Nel saggio Il Mondo di Charlie Brown sostiene che le strisce possono essere lette anche come strumento di critica sociale. Il gruppo di amici rappresenta un microcosmo, metafora e risultato delle storture prodotte da una società degradata come quella contemporanea, nel quale ogni personaggio mette in atto strategie per sfuggire alla nevrosi e all’alienazione.
La stessa cosa pensava Vittorini, interrogato proprio da Eco nel primo numero della rivista Linus nell’aprile del 1965.

Charles Monroe Schulz (Minneapolis, 26 novembre 1922 – Santa Rosa, 12 febbraio 2000).