Francesca Innocenzi, tre elegie dell’uomo comune ed altre poesie

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FRANCESCA INNOCENZI
[tre elegie dell’uomo comune]
I.
inoculando
banalità del male
l’uomo comune
si dà un senso
il covid non c’è, però
i negri lo hanno
*
II.
i mantenuti
dallo Stato negli hotel
con cellulari
costosi – gabbie
di sproloqui su mondi
che non si sanno
*
III.
gli zingari, i rom
pensa che sono ladri
e delinquenti
pensa che sono
cromosomi erranti
alla deriva
*
quando la pioggia
si frantuma sui coppi
e cade in basso
l’eclissi di te
si inacqua e dona luce
alla grondaia
*
[dittico della puella]
I.
un grande buco
vuoto l’adolescenza.
come perversi
cenni di vita
gli attacchi di panico,
unica nota
*
II.
il greco antico
fu un amore saggio
e corrisposto.
un miracolo
di aoristi a sanare
solitudini

Nota di lettura
di Giuseppe Vetromile
Cimentarsi in forme poetiche diverse da quelle usuali, come l’haiku,  denota non solo un grande coraggio, ma soprattutto una grande conoscenza e competenza di stile. Ne è sicuramente consapevole Francesca Innocenzi, esperta poetessa marchigiana e profonda conoscitrice di culture tardoantiche. La raccolta poetica di cui qui brevemente parliamo, Canto del vuoto cavo, è infatti costituita da 40 senryu e da 20 tanka, come recita il sottotitolo, a maggiore chiarimento del fatto che la nostra autrice ha voluto utilizzare una forma che solo per certi aspetti ricorda il tradizionale haiku giapponese, ma che in realtà utilizza di questo soltanto la formula di base (tre versi di cui il primo ha 5 sillabe, il secondo 7 e il terzo di nuovo 5), avendo in sé un più marcato senso di contenuto. Anche il “tanka”, utilizzato dalla Innocenzi nella seconda parte del libro (ma non vi è segno di una netta separazione), è una forma particolare di poesia formata da 5 versi.
Leggendo in modo continuo tutte le composizioni, si evidenzia un filo conduttore basato sul titolo: canto del vuoto cavo. Vi è sottolineato un senso di ricerca esistenziale da attuarsi attraverso l’isolamento dalla folla e dai rumori del mondo, per concentrarsi su se stessi nel silenzio della meditazione: in questo modo, l’utilizzo di forme poetiche simili è perfettamente aderente e consono alla cultura e alla filosofia orientale. I pochi versi di ciascuna composizione sono intensamente significativi, racchiudono tutto un mondo e tutta una storia: poche parole ben “sistemate” che armoniosamente dicono un attimo ma raccontano l’eternità e l’infinito. Immagini della realtà, memorie, luoghi, che si trasformano in simboli di vita universali. E come dal vuoto cavo, privo di movimento e di storia, immobile in sé, non sortisce alcun disturbo, alcuna distrazione, così in questi versi della bravissima Innocenzi il vuoto interiore, cavo, limpido, genera un canto sublime ed infinito, mai più frastagliato o inquinato dalla materialità del mondo esterno.

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Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). È laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012), Non chiedere parola (2019), Canto del vuoto cavo (2021); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011); il romanzo Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche. È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con il sito letterario Poesiadelnostrotempo. Ha ideato e dirige il Premio letterario Paesaggio interiore.