Le soglie sono dei portenti

Zita Giraudo x Eva Maio

EVA MAIO

Le soglie sono là dove si mettono le porte. Piccole o grandi non importa.
E le porte sono fatte per essere aperte chiuse spalancate socchiuse.
In ogni caso le soglie sono lì.
Soglie sono le palpebre. Soglie sono i “frattempo” tra un momento e l’altro.
Sono i bordi d’una foglia che fan da limite al suo essere con l’intorno.
Sono quell’appena percettibile filo quando un colore transita in un altro.
Le soglie sono quei luoghi sottili dove puoi sporgerti, procedere, tornare indietro o sostare per guardare avanti e indietro.
In ogni soglia s’impara.

Con la coda dell’occhio
le cose di sempre
si fanno leggere
perfino eleganti
nello scorcio preciso
dalla breccia
tra un attimo e l’altro.

A volte
ciò che è vasto
bussa alla nostra porta.
Apriamo
ed è un germoglio vivo
sullo zerbino stanco.

Intercettiamo
sottili fremiti
tra una palpebra e l’altra
di chi ha sceso le scale
nel pianerottolo
dove abitiamo:
è vita.

Perfino lo spazio
silente
tra una pagina e l’altra
ci chiama
a una sosta
per la parola esatta
che ci ha raggiunto
un momento prima.

Il mormorio
di luce
nella stanza accanto
arriva di sbieco
e invita
a nuovi passi.

Dal portone
appena aperto
e non ancora chiuso
del tutto
la fila con mascherine
davanti al negozio
ognuno
con gli occhi appesi
a chissà quali domande
oltre la lista
delle cose da comprare
e scorre
dentro
acuto il vero
del grande e piccolo
che siamo
nella bolla galattica
che ci accomuna.

Che poi ci sono
le porte
da alzare
quelle piccole dei portatili
o le serrande cigolanti
di un garage come tanti.
Vi riposano
l’auto la bici dei mobiletti
tre ganci due scaffali
la rumenta non raccolta
la scopa di saggina
il portaombrelli arrugginito
il passato prossimo
e quello remoto.
Che poi
alzata la piccola porta
del portatile
senza il minimo sforzo
ci si infila dentro
il passato remoto
quello prossimo
l’auto la bici
i mobiletti
a chi
sono appartenuti
le piogge e l’umido
le mani
che hanno montato
gli scaffali
la voce
di chi ha consigliato:
- Metti due ganci
così la bici l’appendi. –

Dal margine
d’una foglia tremula
un reportage
di cortecce marroni
nel loro fitto dialogo
sul mutuo appoggio
di chiari e scuri
in tempi buoni e grami.

Là dove
si smargina il verde
e l’azzurro prende avvio
è tutto un esodo
di puntini e brillii
sfuggenti.

Imprevedibili mansueti
in empatico accordo
col mondo
gli occhi di un bastardino

non ancora uscita
dal negozio
e lui
con la logica paziente
dell’attesa

appena fuori
la porta scorrevole.

Anche le labbra
son soglie per le parole
aurorali
a volte ostaggio
del pudore.
Varcano l’oltre
se l’intorno
ha fatto spazio
al divergente
sentire.

Sul limite
d’una cosa verso l’altra
prende forma
il fragile che siamo
e la domanda di bello
acuta
anticipa i passi
di noi
fuori.
Di quest’imperituro
sporgersi
dal dentro al fuori
le soglie
son testimoni.

Accedo
a un pensiero vivo
nell’attento stare
sugli orli.
Se poi
m’incammino
nei territori del canticchiare
un grazie
sottovoce
o tracciare nei passi
l’eco dell’ascolto
o agisco
il mondo come posso
va bene.

(Foto di Zita Giraudo)