C’era una volta la rivista…

Intervista a Wanda Osiris

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CLAUDIO SOTTOCORNOLA

Lontano mondo di paillettes e fantasia ingenua, sfarzo e bigiotteria, schermaglie tra boys e girls a colpi di eleganza e seduzione: per la rivista è nell’aria una dinamica nostalgia, come testimonia una recente pubblicazione di Enrico Vaime, «Il varietà è morto», nel quale l’autore sostiene invece che esso è più che mai vivo. Per ricostruire gli esordi di quel mondo abbiamo incontrato l’ultima, incontestata regina della rivista italiana, Wanda Osiris, che ha superato gli ottant’anni con agilità e dinamismo, e vive in un elegante appartamento a Milano, vicino a Piazza San Babila.
«Sentimental, questa notte infinita… sentimental, com’è dolce la vita…», cantava la Wandissima fra le ovazioni del pubblico, mentre scendeva le scale con fasci di rose rosse, illuminata da un riflettore. Altre sono venute dopo di lei, come l’enigmatica Dorian Gray, ma il nome di Wanda Osiris, nata a Roma e adottata da Milano, dove ha recitato con Totò, Macario e Dapporto, è rimasto nella leggenda: con lei è nata la rivista italiana negli anni ’30, e con lei è finita nel ’59, quando si è ritirata dalle scene.

Signora, si pente di qualcosa?
«No, non mi pento di niente. Guardi, è difficile rimanere un mito, è difficile essere ricordati come lo sono io oggi. Ricevo ancora lettere come se lavorassi ogni giorno».

Com’è nato tutto questo?
«Da bambina rubavo le lenzuola a mia madre, ci giocavo e andavo davanti allo specchio a fare la cretina. Mi impiegai per un po’ alla Cassa Navale e presso le Assicurazioni “L’Abeille”, ma per me era terribile. Ho incominciato a lavorare nella rivista a quindici anni e mezzo, sostenuta da questa grande passione per il teatro, che a me pareva un tempio».

Si dice che la Osiris, sino alla fine della guerra, si spalmasse la faccia e il corpo di un fondotinta marrone, che contrastava molto con i suoi capelli biondo platino: «Sì, succedeva un po’ alle prime armi, mi mettevo una cipria marrone per creare un personaggio», minimizza lei. Ad ogni modo la chiamavano «cioccolatino». Ma il maquillage marrone sporcava l’attaccatura dei suoi capelli chiari, e lei non ammetteva pacchianerie. Ogni giorno shampoo, messa in piega, bagni, magari con l’acqua fredda, per togliersi la tinta. «Era tutto un lavoro in funzione dello spettacolo – spiega la Osiris – dalla mattina quando mi alzavo, fino a notte inoltrata quando andavo a dormire. Rispettavo moltissimo il pubblico, sia della grande città che della provincia, per cui dovevo essere sempre in pieno ordine». Culto del corpo? No, ascesi dello spettacolo: «Io ho rinunciato veramente a tutto per il teatro. Dovevo scegliere fra due possibilità: tenere il mio lavoro bene in mano o fare la mezza calza…».
Forse qui sta il segreto del sacrificio che si consuma nella sua persona. L’uomo che ama e dal quale ha una bambina, Osvaldo Rivolta, pone come unica condizione per il matrimonio che lei lasci il teatro, e Wanda pone come unica condizione di continuare il suo lavoro. Ventitré anni di vita in comune ma, forse, un grande amore incompiuto.
Perché l’unico grande amore che la Wandissima ha consumato sino in fondo è il teatro. E dalla compagnia di Michele Galdieri passa, nel 1938, a quella di Macario: «Follie d’America» è la sua consacrazione.

Com’era Macario?
«È lui che mi ha lanciata. Era un grande direttore artistico, che sapeva nel modo più assoluto quello che poteva dare un’attrice o un attore: lo capiva immediatamente, da come camminava, parlava o gestiva. Ma era anche molto severo, e noi eravamo come i militari: dovevamo andare dritti alla meta».

Durante la guerra Wanda Osiris lavora anche con Carlo Dapporto, che viene dall’avanspettacolo bolognese, ma ormai è lei a esibire il grande nome di successo in cartellone, per riviste di clamore come «Che succede a Copacabana?». A guerra conclusa, incomincia a fare degli spettacoli di Garinei e Giovannini «completi di testo, di artisti, belle donne e bravi attori, una compagnia di grandissimo complesso». Del resto, per la Wandissima è sempre stato così. Le lavorano accanto tutti i più grandi comici del dopoguerra.

Come li ricorda?
«Rascel, oltre ad essere attore, è stato un grande fantasista. Bramieri ha una comicità molto semplice, molto immediata, che va dritta al pubblico, un milanesone insomma. Raimondo Vianello è un gran gentleman dello spettacolo, Nino Manfredi è dotato di grande simpatia e Lionello, a suo tempo, ha dato un grande tono alla rivista».

«Doppio rosa al sex», nel ’59, è l’ultimo spettacolo di rivista che Wanda Osiris porta in scena. E finiscono i tempi della rivista, quando la Wandissima appariva da sotto un abat-jour che illuminava i suoi abiti color pastello, o danzava su di un grande disco d’argento che girava sotto i suoi piedi, o ancora si muoveva con felpate movenze, facendo ondeggiare gli esotici e variopinti uccelli che sosteneva il suo strascico.

Che cosa pensa della fine della rivista in Italia?
«Sono stata in America, in Francia, dappertutto. E l’ultima ballerina lì è un’artista, perché c’è una grande scuola, una grande passione, e soprattutto una grande serietà. Queste cose non mancano in Italia, ma la questione è che gli attori hanno preferito lo spettacolo Tv, che consente una popolarità e un guadagno più facili. Per noi, una volta, i soldi erano l’ultima cosa».

Come vede il varietà televisivo?
«Sono tutti bravi. Penso che più che altro manchi il testo, perché non si possono mandare all’arrembaggio delle belle donne e dei ragazzi come si fa ora. Da anni si parla del declino di “Fantastico”: eppure gli elementi bravi ci sono, ma l’impostazione è sbagliata, non c’è canovaccio, e allora si fa un po’ troppo varietà inutile, riempiendolo di numeri, di attrazioni che perdono il loro interesse».

Quali sono i personaggi dello spettacolo che ammira di più?
«Fra i comici vedo che va per la maggiore Benigni: è uno che si butta forte! Nel varietà la Goggi sa fare di tutto e la Carrà ha molta personalità. Fra le nuove leve, la Parisi è completa, una grande ballerina. Quanto alla canzone bisogna ritornare alle primedonne nate negli anni ’60: Mina è sempre la numero uno; Rita Pavone è bravissima e molto musicale, un animale da teatro; Milva è chic e canta bene; la Vanoni mi piace perché è vera».

È quasi ora di salutarci, e la conversazione si fa più personale… Signora Osiris, lei è religiosa?
«Sì, sono molto cristiana. Mia madre mi ha insegnato a credere in Dio. E questo mi dà la gioia di poter vivere, di sentire che forse, in tutto quello che ho fatto, sono stata molto aiutata, e che sia veramente il Padreterno che mi ha guardato addosso».

C’è qualcosa che vorrebbe dire al pubblico che la ricorda con affetto?
«Guardi, le dico una cosa. Quando sono le nove di sera ho un gran magone, perché penso al mio spettacolo, penso al teatro che mi ha portato via completamente l’anima. Adoro il teatro e quando è sera mi illudo, per un attimo, di poter dare ancora con grande gioia quello che ho dato».

La sera scende su Piazza San Babila. Si dice che la Wandissima accenda a una certa ora tutte le luci del suo appartamento. Tanta luce le ricorda la luce del teatro, della rivista, il suo mondo. Un mondo divorato dalla TV, dalla fretta e, talvolta, dai film a luci rosse. Un mondo lontano fatto di ingenuità e fantasia, di uomini e donne semplici che percorrevano la penisola coi loro sogni da carrozzone.

Pubblicato per la prima volta in Il Giornale di Bergamo Oggi, 12 gennaio 1990. Oggi in: Claudio Sottocornola, Varietà. Taccuino giornalistico: interviste, ritratti, recensioni, approfondimenti, ricerche su costume, società e spettacolo nell’Italia fra gli anni ’80 e ’90Marna editore, 2016. Margutte ne parla QUI)