Discorso aulico

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LORENZO BARBERIS

Esaminando in questi giorni dei libri di storia per ipotetiche nuove adozioni dei testi, mi sono imbattuto in un’immagine di aula del passato nemmeno troppo remoto, dei primi del Novecento. Un piccolo scorcio metatestuale – un’aula di scuola in un libro di scuola – che mi ha ispirato qualche piccola annotazione aulica, non nel senso di “elevata”, ma nel senso di “discorso circa le aule scolastiche” ieri ed oggi.

Ad essere elevata, ho notato subito, è la cattedra, tramite apposita predella con tanto di scaletta. Ah, già, la Predella! Mi è venuto da esclamare.

Paola Mastrocola, scrittrice che apprezzo ma portatrice di una visione intenzionalmente (e ironicamente) conservatrice dell’istituzione scolastica, nei suoi romanzi fa pretendere alla sua professoressa investigatrice una predella che ne ribadisca il ruolo di fronte a una classe di spilungoni che altrimenti la sovrastano (la trasposizione RAI in “Provaci ancora prof” trasforma la collega indagatrice Baudino da sabauda a romanesca, incarnandola nella brava Veronica Pivetti che torna ad essere la classica prof di buon cuore che la TV tanto ama).

Ma se la Predella tutto sommato colpisce, è perché per il resto le differenze sono più sottili, e un fine pedagogista eleverebbe una geremiade sulla scuola che non cambia. Vero, i banchi sono antiquati, scomodi e claustrali, ma anche la cattedra è molto più austera delle mie cattedre, e anche la sedia è meno comoda della mia poltroncina imbottita media. La lavagna è più o meno quella, ma ha smesso di essere centrale per farsi affiancare dalla LIM: però questo non è ancora un tratto tipico, è solo il mio istituto che è un ITIS informatico ad alto tasso di modernità (in altre scuole c’è solo un’aula LIM, anche se negli ultimi anni sono credo aumentate).

Sparito il Crocifisso (ma credo che – nelle pieghe delle normative – negli ITIS non sia mai stato obbligatorio, dato che sono istituti creati dopo le leggi regie che lo rendevano obbligatorio nelle elementari e nei licei), e al suo fianco due ritratti canonici: quelli di un giovane Vittorio Emanuele III, ora nostro gradito (o sgradito, dipende dai punti di vista) ospite monregalese presso il Santuario di Vicoforte,  e al suo fianco quello della regina Elena di Montenegro, figura molto più degna, che nel ventennio sarà sostituita (non so se proprio dal 1922, probabilmente più avanti: dal 1926, col pieno Regime? probabile) dal ritratto di Mussolini.

Da allora, gli antifascisti diranno a mezza bocca (o così almeno mi raccontavano i miei nonni) che Gesù era crocifisso tra i due ladroni, come era appropriato che fosse (una storiella che fa il paio con la reclame dei Fratelli Lazzaroni, a Milano, prontamente rimossa nel 1933, in occasione della visita di Hitler al suo modello Mussolini: ci sarebbe stata benissimo alle loro spalle, ma non volevano fare figure da cioccolatai).

Insomma, questo stacco di cento anni ci restituisce un’aula scolastica trasformata ma in fondo riconoscibile. Un male, diranno gli innovatori, percorsi da un fremito di sdegno tecnologico o montessoriano. Un bene, sospireranno i nostalgici conservatori, intrisi di sentimentalismo deamicisiano.

Chissà come vedranno le nostre aule, comunque, i posteri che eserciteranno il mio mestiere negli anni 2110. Come un reperto modificatosi nel passar del tempo ma tutto sommato riconoscibile, come noi, o come un evidente segno di un passato ormai del tutto perduto?