Erre

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PATRIZIA GHIGLIONE

Dice che se non passerà il test di lingua, non le concederanno il permesso di soggiorno. Non se ne accorgerà nessuno, d’altra parte, esce poco e non è proprio vistosa.
Era analfabeta, quando è arrivata qui dal suo Paese non sapeva né leggere né scrivere: ora ha imparato, scrive l’italiano, bene sotto dettatura. Solo che non lo capisce. Distingue perfettamente le “e” dalle “i”, cosa quasi impossibile per un marocchino, anche altamente alfabetizzato. Ma si tratta di lettere che stanno dentro a delle parole per lei sconosciute.
Eppure, parla la nostra lingua in un modo speciale. La parla già al mattino presto, quando si alza alle sei e comincia a pulire la casa; quando prepara con cura i pasti per un marito e tre figli, ormai grandi e affamati. Quando pulisce, lava, stira e cucina. Fa tutto con una bella energia e con un certo successo, senza dare fastidio, contribuendo ad un’armonia casalinga che mantiene uniti e preserva dalla deriva. La parla quando, al supermercato, sceglie accuratamente i prodotti esposti, preoccupandosi dell’economia e della salute insieme. Quando cuce i vestiti e gli arredi della sua casa. La parla in quel modo tutto particolare, ma efficace, in cui la parlavano le nostre donne di una cinquantina di anni fa, quelle che conoscevano solamente il dialetto ma sulle cui spalle si sono appoggiate intere generazioni. Quelle che avevano imparato le lezioni pratiche della quotidianità più che le teorie della scuola. Che arrivavano dal sud o dalle campagne, mute e spaurite, nelle città o chissà dove; un attimo dopo già organizzavano la casa, i suoi contorni, i suoi dintorni. Di lì scappavano di rado, non si vedevano, ma, pur invisibili, davano un senso e una qualità alla esistenza di molti.
  
Ci sono i giorni in cui al mattino esce per seguire le lezioni di italiano. Ha imparato la strada, ormai, ci va da sola. Sa già in quale stanza si deve recare; apre il quaderno, prende la matita, che si può cancellare, e diligentemente scrive: sotto le sue mani i suoni che ascolta si tramutano in lettere, poi in parole. Inesistenti. Unico elemento inesistente di una vita tanto concreta. Fa questo da anni, con metodicità e precisione, serena e fiduciosa: prima o poi, pensa, il miracolo avverrà.
Dicono che tanti anni fa qualcosa di simile sia successo sulla strada di Damasco. Era per uno scopo alto, dicono, per salvare l’umanità; anche in questo caso, comunque, si tratterebbe di preservare un piccolo numero di umani.
Il test non lo passerà, i miracoli non accadono. Del resto, lei stessa lo ammette; china la testa da un lato, sorride e pronuncia, un po’ vergognosa: “io non capisce, io non capisce niente”.     

Fotografia Di Bruna Bonino