Claudio Salvagno, un esercito di parole

Copertina Salvagno

GIULIANA BAGNASCO.

La poesia di Salvagno emana luce intensa e intermittente, libera il potenziale metaforico degli eventi strappando un barlume di  senso al divenire della vita. Si coglie nelle sue liriche un’etica della scrittura, un umanesimo radicale, gli oggetti liberano una forza visionaria in versi che anelano ad essere soltanto se stessi lasciando dietro il ciarpame del mondo. In istantanee visuali si declinano i memoranda di un attimo  destinato a durare. Una poesia fatta di cose e di silenzi, di abissi: versi omologhi alla sua terra nella rapidità dei trapassi, nel movimento, con uno sguardo velato di pietà per una terra desolata. Nei crepacci dell’animo si intravede un mondo perduto. Il poeta dà voce a ciò che non riesce ad aver voce. Una lingua attinge ai valori più veri, fa parlare le inquietudini, le paure, i ricordi e la memoria “altra”, evoca “altro” tempo: l’armata della vita partigiana, una fucilazione, il silenzio nell’aria, le lacrime, il grido prima della raffica, il bosco muto che ascolta. Poi, la guerra interiore: un esercito di giorni negati assedia il sangue, “riparati dalla morte nessuno è rimasto a guardia dell’amore”. Anche l’armata vegetale dei boschi combatte, da albero ad albero. L’abete” non albero parola, ma immagine che cresce e allunga le sue consonanti al cielo … incorona la linfa ed enumera …”. Generazioni intere sono “passate” attraverso l’alito dell’albero, si sono fatte ombra per perdersi poi in una folla di altre ombre. In onde di infinito si coniugano spazi e tempi, i ricordi accoltellano alla schiena, la parola si erge a difesa di qualche spinosa fantasticheria, la felicità vive soffocata tra il ricordo e i nomi di luogo, nasce e muore dentro le vene della toponomastica. Mentre i giorni “negati” alimentano la guerra, la lingua continua a cercare il corpo e il sangue di un paese che si è perso senza sapere come. L’Occitania vera è un vallone oscuro, sulla soglia delle sue osterie “a fior di pelle o una fiera o una guerra, tra stalla e fienile, avanti e indietro, corpi di legno a pane e latte, donne come sciame d’api”. E’ una musica sotterranea, una forza potente quella che avvicina le cose ai sensi del poeta per poi trasformarle in apparizioni sfuggenti. Un linguaggio che supera i parametri  istituzionali e comunicativi della lingua evoca le cose attraverso il  suono, i salti dei legami logici e sintattici, le associazioni di immagini lontane e sa tradurre vibrazioni di essenze oscure e segrete. Così la borgata dopo i  Santi è “un accampamento disfatto, i tronchi ossa abbandonate, il fumo un totem”. Sfilano figure di memorabile evidenza plastica: Sansone dai capelli corti che alzava un uomo con una mano sola,mentre  il pugnale, lo specchio d’acciaio, evoca il fabbro di Borgo schiacciato da una lamiera, oppure il gigante imprigionato dentro una giacca da bambino caduto  piano, con lo stesso soffio che fanno gli alberi quando  scendono al suolo. Parole catalizzanti circolano liberamente e toccano il fondo dell’essere, penetrano l’indicibile con comparazioni e lievitazioni metaforiche potenti: “l’aia è come la barca di un pozzo dove una voce da lassù sprofonda … la falce, un’arpa appesa al chiodo …, la schiena  piegata come un corsivo al centro di una pagina …”

In uno stile che si accende di scatti passionali, la voce poetica si muove sullo sfondo di un’esistenza che pare venire da un lontano passato, una frizzante vitalità sotterranea scolpisce medaglioni  sinestesici dove  le frustate di luce sono simili a uno schioccare di labbra.

Una lirica dalla singolare forza conoscitiva abbraccia con la propria energia vitale tutte le manifestazioni di un primigenio universo. Un poeta che sprigiona un vigore ancestrale, una pena irrimediabile, ricordi che rimangono chiusi nelle ossa come una vecchia pellicola: memorie care,  poderi abbandonati, cappelle, casolari, osterie dove sibilavano le consonanti  di un chiacchierare bambino: solo così il cielo può rientrare nel cuore che torna a palpitare ridando vita con versi salvifici a un mondo perduto.

Salvagno 2

CLAUDIO SALVAGNO, L’autra armada, Nino Aragno Editore, Torino 2013