“Il sorriso del tulipano” di Emilio Paolo Taormina

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GABRIELLA MONGARDI

I tulipani selvatici, dai fiori gialli con striature rosso-arancio, crescevano all’inizio dei tempi sulle pendici del Pamir – e ancora oggi crescono in montagna, anche sulle Alpi.
A partire dall’XI secolo sappiamo essere coltivati nei giardini di Baghdad e di Isfahan ed essere cantati dai grandi poeti persiani: nei giardini europei sono arrivati dall’Oriente, con l’avanzata militare turca e l’aiuto di un diplomatico fiammingo, attorno alla metà del XVI secolo. Da allora sono stati gli olandesi a coltivare in migliaia di varietà i tulipani e commerciarne bulbi e fiori quasi in regime di monopolio, tanto che il tulipano è diventato uno dei simboli dei Paesi Bassi e oggi a primavera rallegra con il sorriso dei suoi colori brillanti e la molteplicità di forme delle sue corolle, raccolte in mazzi o fiorite nei giardini, tutte le case…

Da botanica dilettante ho pensato a questo, innanzitutto, di fronte al titolo, luminoso e misterioso, dell’ultimo libro di poesie di Emilio Paolo Taormina, uscito nel 2020 presso l’editore Ladolfi, credendo di trovare magari in esso poesie su questi splendidi fiori, regali, “sorridenti” e umili a un tempo. Invece la flora presente nei versi nitidi e musicali di Taormina è flora mediterranea, soprattutto ulivi e aranci ma anche oleandri e limoni, ginestre e rose, gerani e garofani – e il sorriso è perlopiù quello dell’amata.

La natura, la sontuosa natura siciliana è il vero fil rouge della raccolta, è uno spettacolo che non ci si stanca di contemplare, il tema che si intreccia a tutti gli altri temi – amore, tempo, musica, poesia – una natura da cui il poeta attinge a piene mani le sue metafore accese e le sue similitudini, ma che a sua volta personifica e umanizza.
Così «la sera avanza / tra i limoni / appoggiandosi / a un raggio di sole / ha un garofano / rosso all’occhiello / passeri e colombe / si posano / sulla spalla / della sua giacca / sdrucita […]», oppure: «gli ulivi accovacciati / tra le rocce / sono pazienti / nelle gobbe celano / le bastonate delle bufere / nelle cavità nidi di bisce / la brezza di mare / la sera / salendo verso / le mandrie delle colline / si ferma nell’ultimo sole / a chiacchierare / porta notizie / di golette naufragate / di marinai che / si struggono / di amori perduti».

Nelle numerosissime poesie d’amore la natura è di volta in volta teatro per l’apparizione della figura femminile, sfondo su cui si proietta il sentimento del poeta, strumento musicale in cui vibra la sua stessa anima: «sono l’ombra / che ti segue / quando cammini / verso il sole / il mare increspato / che ti sorride / con mille bocche / quando ti affacci / al balcone / sono la rosa / che rabbrividisce / quando tu / l’annusi […]». In questa identificazione dell’io lirico con la natura non si avverte tanto il panismo del superuomo dannunziano quanto piuttosto una forma di simbiosi, o meglio di osmosi tra esseri viventi, tra elementi tutti ugualmente “naturali”, uomo compreso: «faccio / come gli alberi / in autunno / per non / abbassarmi / a raccogliere / le foglie / resto nudo».

È la natura che la poesia cerca di eguagliare: «ti ho regalato / in un verso / il rumore del mare / come un segnalibro / da tenere / tra i tuoi pensieri», con una tecnica simile a quella del pointillisme in pittura: nei versi brevi, senza punteggiatura né maiuscole, le parole sono piccole pennellate dinamiche, frementi di vita, impazienti di dipingere notturni e albe, meriggi e tramonti, incontri e addii, attese e ricordi, per fissare gli attimi dell’esistere come farfalle in una collezione.

Il titolo Il sorriso del tulipano richiama alla mente anche i tulipani di Sylvia Plath, ma si tratta di poesie e di poetiche completamente diverse, oserei dire antitetiche: quanto si inabissa nel male di vivere quella della Plath, tanto vola in alto nella gioia del canto questa di Taormina.