Selva di luce, un romanzo poetico nel Perù del XVIII secolo

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ROBERTO MALINI

Nel mese di aprile 2020 è uscito nelle librerie italiane (in formato cartaceo, ebook e audiolibro, quest’ultimo recitato da Alberto Angrisano, voce ufficiale di National Geographic  e doppiatore di Idris Elba) il romanzo poetico Selva di luce, scritto a due mani da Roberto Malini e Steed Gamero, autori pluripremiati in Italia e all’estero. L’opera sarà al centro di alcune importanti iniziative rivolte agli studenti costretti all’isolamento da coronavirus. “Come ha dimostrato la Cina nelle settimane in cui si è trovata costretta ad affrontare la pandemia,” spiegano gli autori, “la creatività, il gioco di ruolo letterario, la scoperta della bellezza sono, per i giovani, elementi utili alla resilienza necessaria per affrontare solitudine e riduzione dei contatti sociali”.

L’azione di Selva di luce si svolge due secoli dopo la fine dell’Impero Inca – Tahuantinsuyo, in lingua quechua - nel villaggio immaginario di Chaupi Llajta, ai margini della selva peruviana, dove i giovani indigeni Sinchi e Crispín si trovano a vivere il rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta affrontando l’insidia invisibile di un morbo che si propaga nel loro villaggio, consumando le vite dei loro cari e dei loro vicini. “Sembra storia d’oggi,” scrive Malini nell’introduzione, “e invece, mentre scrivo questo testo che presenta l’opera, la città in cui viviamo Steed e io, Pesaro, è in quarantena e l’epidemia di COVID-19 si diffonde attraverso il nostro pianeta, rivelandoci per l’ennesima volta nella storia come l’umanità sia vulnerabile di fronte alla veemenza di alcuni fenomeni naturali”.

La struttura di Selva di luce è quella di un “poema non cantato”, i cui versi liberi hanno la voce dei racconti leggendari. L’opera di Roberto Malini e Steed Gamero, in effetti, ha fondamenta storiche, perché si svolge nel Perù del XVIII secolo, un’epoca drammatica per il popolo quechua; tuttavia essa ha contemporaneamente una natura mitologica, perché i suoi eroi agiscono in una dimensione che appartiene alla tradizione religiosa degli Inca, secondo cui il mondo degli esseri umani, Kay Pacha, è sempre connesso a quello degli dei, Hanan Pacha, e a quello dei morti, Urin Pacha.

“Steed Gamero, poeta italoperuviano, ha origini quechua,” scrive Malini nell’introduzione. “Ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza a Lima, la Città dei re, ma la sua famiglia è originaria di Quipán, che il mito locale ricorda come ‘la più antica città dell’universo’. Da anni ci accomuna l’interesse verso le civiltà precolombiane e in particolare il Tahuantinsuyo, che dal XIII al XVI secolo fu artefice di una civiltà straordinaria, che ci incuriosisce e affascina ancora oggi. Steed e io abbiamo iniziato a parlare di questo progetto letterario a due mani oltre dieci anni fa. Volevamo esprimere il nostro legame con le culture indigene, perseguitate e massacrate nei secoli. E contemporaneamente con l’ambiente delle nostre origini, minacciato ora più che mai dal sovrasfruttamento delle risorse, dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. Non a caso, vi è un punto del testo in cui il passato si affaccia sul nostro presente e sul futuro che ci attende.  Se la cultura contemporanea ha perduto quasi totalmente la forma e i contenuti delle composizioni degli arawicus, i poeti erranti dell’Impero Inca, grazie ai frammenti citati nelle cronache dell’epoca sappiamo come fossero importanti per loro le allegorie sacre, il retaggio di saggezza tramandato dagli antenati, la presenza del divino nei cicli naturali e in ogni azione, in ogni pensiero degli esseri umani. Selva di luce eredita quella profonda affinità fra noi e il cosmo, quella sincronicità ineffabile che solo il linguaggio della poesia narrativa è capace di esprimere”.

Oltre che poeti, gli autori sono difensori dei diritti umani. “Conosciamo la vulnerabilità dei popoli di minoranza di fronte al potere, perché abbiamo vissuto a stretto contatto con comunità perseguitate a causa della loro diversità. E abbiamo operato per tutelare i loro diritti, insieme ai più importanti attivisti, autori e testimoni impegnati a difesa dei popoli indigeni, dei diritti delle minoranze etniche e della loro memoria”.

L’introduzione si conclude con le parole di Rigoberta Menchú, Premio Nobel per la Pace 1992, che gli autori hanno incontrato a Pesaro nel 2008:

“Il mondo non deve dimenticare i genocidi che hanno colpito i popoli indigeni e le minoranze etniche. È una parte fondamentale delle nostra storia che non possiamo permetterci di smarrire, pena che la menzogna, l’avidità e la crudeltà vincano ancora, condannandoci a ripetere le atrocità del passato. I popoli più deboli sono colpiti ancora oggi da intimidazioni e violenze ed è importante che i responsabili di tali crimini siano perseguiti e condannati nei tribunali. Politica, giustizia, cultura e informazione devono essere unite nelle denuncia e nella condanna dei delitti contro le minoranze etniche. Se non vi è giustizia, la dignità, la memoria e l’esistenza stessa delle vittime sono messe in pericolo e le convenzioni internazionali che proteggono i popoli più deboli perdono qualsiasi efficacia, mentre trionfano l’abuso e l’iniquità. Chi espropria e perseguita i popoli indigeni lo fa sempre per un interesse economico e ritroviamo spesso i responsabili di quegli abusi tra le fila del crimine organizzato e nel sistema della corruzione. Non esiste altro modo, se vogliamo salvare le minoranze indigene, che quello di garantire loro il diritto alla terra, alla salute, all’istruzione, alle tradizioni. Nelle tradizioni vi sono la spiritualità di una comunità etnica, il suo rapporto con gli antenati e i miti delle origini. Proteggere le tradizioni di un popolo significa proteggerne l’identità più autentica”.

Malini e Steed Gamero, Selva di luce, Lavinia Dickinson Edizioni, Pesaro 2020 (versioni cartacea ed e-book); LibriVivi, Caronno Pertusella 2020 (audiolibro).

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