Leggendo Baroni

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PAOLO LAMBERTI

Giancarlo Baroni, Come lucciole nel buio. Dieci riflessioni sulla vita e sulla letteratura. Prefazione di Elio Grasso, Punto a Capo editrice, 2022

Giancarlo Baroni abita a Parma, dove è nato nel 1953. Ha pubblicato due romanzi brevi, racconti, un testo di riflessioni letterarie e sette libri di poesia.
In questo nuovo volume di scritti raccoglie una serie di letture e di suggestioni che variano da saggi di carattere letterario a riflessioni di carattere più personale sul rapporto con la letteratura e la realtà.
Significativo è l’incipit, che stabilisce il tono dell’opera: «a volte immagino che a ognuno di noi, prima della partenza definitiva, vengano dati un foglio e una matita. E ci venga chiesto di scrivere la parola o la frase che riteniamo decisive e fondamentali per comprendere la vita, le cose, il mondo, l’universo. Temo che esiteremmo e che forse riconsegneremmo il foglio pulito e intatto.»
L’alternanza tra tenebra e luce è un Leitmotiv che si coglie in tutto il testo, anzi è la luce il nucleo problematico centrale, come rivela uno degli eserga ai capitolo, di Bartolo Cattafi, ci vuole stomaco/fegato per la luce (Luce).
La luce è la difficile ricerca di una verità universale, «Come i bagliori delle lucciole rimandano a una luce primigenia da cui sembrano originare, cosi le nostre illuminazioni passeggere sembrano per un attimo collegarsi a una verità più ampia e universale», ma l’autore non cerca un’opposizione tra poesia e scienza, al contrario intreccia una fitta rete di richiami che ai poeti associa Galileo, Newton, Rovelli, Einstein.
Anzi la citazione costante di una miriade di autori è un metodo di lavoro e di ricerca, uno specchiarsi nelle riflessioni altrui, figure note e meno note, «mi piace citare di frequente frasi e versi che considero particolarmente espressivi e significativi, a prescindere dalla fama dei loro autori.»
Nel saggio Realtà, Poesia l’autore riflette sulla necessità dei poeti ad essere «spinti e costretti a prendere posizioni nette, a descrivere e a raccontare i fatti nella loro durezza, a denunciare ingiustizie e atrocità, a gridare la propria indignazione e rabbia, ad ammonire, condannare e testimoniare»; ma si coglie una vena di disincanto verso un’eccessiva concentrazione sulla realtà, «crescono inevitabilmente i rischi di enfasi, prosasticità, trascuratezza.» Anzi citare Sartre critico di Flaubert responsabile delle atrocità della Commune perché non ha scritto nulla per impedirle è forse involontaria presa di distanza, visto quanto ha saputo ignorare il filosofo francese.
Baroni è più affascinato dalla scrittura, come si vede nel saggio La faticosa necessità della scrittura; al centro vi è il difficile rapporto tra la fatica dello scrivere, la sua necessità e la sua utilità; dice l’autore: «la letteratura è faticosa e insieme necessaria, probabilmente diventa faticosa perché necessaria. Prima di intraprenderla e di esercitarla converrebbe forse domandarsi se è proprio indispensabile farlo, o se non è invece possibile astenersene.» L’identificare nell’ossimoro la figura retorica che meglio rappresenta la letteratura riassume l’ottica di Baroni.
La centralità della scrittura sbocca negli ultimi saggi, dedicati maggiormente alla critica letteraria; in particolare Classicisti, realisti ed ermetici nella poesia in lingua italiana del Novecento. (Tracce, ipotesi e indizi), che riprende un precedente libro del 2004, mostra un’ambiziosa rilettura del Novecento poetico italiano, riordinato appunto secondo la tripartizione classicisti, realisti ed ermetici: i «poeti classicisti privilegiano la grazia, cioè una misurata, armoniosa, delicata e musicale eleganza, mentre escludono scompostezza ed eccessi principalmente verso il basso… Per i realisti, al contrario, gli argomenti da dire e soprattutto il bisogno, l’ansia di dirli contano più del modo in cui vengono riferiti… Gli ermetici sono infine i poeti oscuri. Nella loro mancanza di chiarezza sta la caratteristica che accomuna autori differenti fra loro come orfici e sperimentalisti.»
Categorie non nuove ma utilizzate per associazioni non banali, visto che tra i primi si trovano i crepuscolari, Gozzano (che mi permetto di escludere dai crepuscolari, a differenza dell’autore), Cardarelli Gatto Pozzi Sereni Penna Caproni Giudici Erba fino a Saba e Bertolucci e vi vengono avvicinati anche Quasimodo, Montale ed Ungaretti; mentre tra i realisti compaiono come vertici Rebora e Pasolini, e principi tra gli orfici sono Luzi e Zanzotto. Come si vede una classificazione inconsueta, con cui si può convenire in tutto o in parte.
Ma leggendo l’intero libro non stupisce la conclusione che «la nostra poesia novecentesca rimane insomma nella sua maggioranza e nella sua sostanza classicistica», e la cosa deve piacere a Baroni.