Il canto della megattera

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CHRISTIANO CERASOLA

Elio diceva sempre sì due volte, una per sé e una per chi gli faceva la
domanda.
Seduto sulla sedia di ferro, arrugginita, guardava il bicchiere vuoto,
con ancora in bocca il sapore del succo di mele, l’ombra dell’albero lo
proteggeva dalla calura estiva, soffiava il maestrale e il vento smuoveva
i rami puntellati di foglie lasciando intravedere spazi di cielo azzurro,
indossava pantaloncini corti che gli lasciavano scoperte le cosce e calzava
dei brutti sandali di pelle, alla tedesca.
Osservava il frutteto, nella sua florida esplosione estiva, il frinire delle
cicale era un suono costante che raggiungeva picchi acuti e si smorzava
lievemente solo quando gli si sovrapponeva il cinguettio di qualche
uccello minaccioso.
Il frutteto era ai piedi di una collina, poco al di fuori del paese, ci si
arrivava serpeggiando per un muretto di mattoni rossi e consumati. Il
cuore della terra viveva nella pace, tra radici e segreti, sassi e polvere,
lucertole e lumache.
I pochi rumori in quella giornata estiva conciliavano i pensieri, tutto
appariva fermo e quieto, c’era una specie di presuntuosa serenità nell’aria:
un sentimento la cui rivalsa nei confronti dello schifo del mondo
aveva aperto una breve parentesi allineando tutti gli elementi, anche se
per un tempo determinato.
Era giovane Elio, aveva sedici anni, arrampicato su gambe dritte e
snelle, con le ginocchia sporgenti, si reggeva in piedi come una bandiera
al vento, il collo lungo in mezzo alle spalle strette, da adolescente, il
viso appuntito e il naso curvo, aristocratico, cosparso di lentiggini somiglianti
alle costellazioni che si vedono nei cieli estivi. I capelli indomabili,
le mani nervose e grandi, da adulto, con le unghie corte e rosicchiate.
Il desiderio di vivere gli faceva sudare le mani, ingoiare gli inconvenienti,
inciampava sugli errori per trasformarli in quell’esperienza che al
momento mancava, oscillava tra piani inclinati, privo di armi di attacco
o da difesa, con le spalle spioventi lasciava che gli eventi lo investissero
per poi scivolargli addosso senza trovare alcun appiglio al quale
aggrapparsi. Era un ragazzo che sbagliava spesso, era curioso, emotivo,
distratto: confondeva le strade, perdeva gli oggetti, si dimenticava di
lavarsi la faccia la mattina. Anche per questi motivi, quando diceva di
sì lo faceva per ben due volte, una per sé e una per ribadire il concetto.
Gli occhi pieni d’immagini difficili da catalogare, istantanee confuse
che separavano i sorrisi dai contrattempi; la benevola immaginazione
dei fanciulli, predisposta alle cose puerili ma che fugge da ciò che provoca
dolore o ansia, frammenti temporali che alternano la spensieratezza
al desiderio di crescere, la sicurezza del presente all’incognita di
quello che accadrà, la radiosa innocenza contrapposta al buio del suo
sguardo, quando si faceva serio. Una spirale di vento da assecondare
senza l’obbligo di rimanere saldi sotto il cielo. Ormeggiato alle illusioni
arancioni dei pomeriggi d’estate, al tempo viola delle ore della notte, al
bianco dei giorni di festa, al sapore di succo di mele.
Era arrivato con i suoi genitori, e la nonna, ad abitare lì, un paio
di anni fa, quando capiva di meno, quando non riusciva a spiegarsi il
motivo di dover abbandonare l’appartamento in viale Famagosta, per il
fatto di aver assistito a quell’incidente, proprio fuori da casa.

***

Comincia così l’ultimo romanzo di Christiano Cerasola.
Nato nel ’68, italo-scandinavo, figlio di hippies, viaggiatore prima per piacere, poi per lavoro.
Già autore di tre romanzi: “Ossigeno”, “Il Musicista”, “Il Gigantesco abbaglio”, editi da Elmi’e World e di un racconto lungo “Il Custode Di Izu”, ediz. Elmi’s World, oltre che di una raccolta di racconti brevi “Uova Sbattute” (in ristampa sempre per  Elmi’s World).  Sono usciti nel 2018 anche tre racconti: “La geometria del disordine” (Aulino editore) e “Apologia di un ciccione “ (Babbomorto ediz.), “Azzurro”, nell’antologia: “Racconti d’Estate 2018” (Edizione Ensemble).