Il mestiere lieve di Maria Del Vecchio

arimanere

È uscito per l’editore Internopoesia “Arimanere” di Maria Del Vecchio, con Prefazione di Maria Grazia Calandrone e Nota di lettura di Sonia Bergamasco.

Arimanere

Se tutte le acque del mondo
volessero piovermi ora
se tutte le acque del mondo
venissero ad inondarmi
io – ferma – non temerei
il diluvio.
Se tutte le acque del mondo,
ma io e te guardiamo la poiana
nella strada che porta
a una casa
né mia, né tua,
né nostra.
Se tutte le acque del mondo,
ma io e te guardiamo la poiana
e prima era stato il falco
quando ancora non sapevo
il tuo dolore,
quando il freddo era
un salasso d’amore.
Sono il cortile soffocato dalle viole
l’alba non si apre dentro di me,
è solo il bastone
che sbarra il portone.
Mi rannicchio, mi chiudo,
le gambe tese emanano strazi
i denti si insidiano
le corde del collo sono pronte
solo per i tuoi baci.
Chi sono stata?
Chi sono?
Chi abitava il vestito
che ora sembra d’una altra?
A chi appartengo,
a quale luogo davvero?
A quale mano di uomo?
Del tempo rintanato
in questo spazio costretto
tu sei il salvatore.
Dilati il respiro
lo segui e lo innalzi
ai disegni delle nuvole.
Manca l’aranceto.
Mancano le tartarughe.
Manca il colle arioso.
Mancano i volti sconosciuti
e le lingue del mondo.
Ma conosco a memoria il vicolo
e l’arco con la malva;
so come la luce s’appiccica
al tufo,
riconosco nel tuo nome
la sedia ancorata al pavimento
della classe;
ascolto un verso, un ritornello
che recita in un fiato solo
arimanere,
a rimanere
a rima nere
ari ma(ni) nere.
Resta una sola mano nella notte nera,
la tua.

*

Simulacro

Ho fabbricato con queste
mie mani
(quelle stesse che per anni
t’hanno scelto, accarezzato,
succhiato qualche organo)
una statua di te
simulacro del mio disamore.
Di notte,
nel grano bagnato
striscio come una serpe
mi arrosso le gambe,
arrivo ai tuoi piedi
e col piccone ti abbatto,
ma lieve è il mio mestiere
perché solo tu possa
sapere il perdono.
Non devi pagare le mie pene,
ne sono ancella e custode gelata:
io rido.

*

Acquaragia

Quanto franare provoca una felicità;
Sorridere: ridere sotto, sotto di me,
la bocca è un solco, la guancia si tende come
gola ripida nella vallata.
Mentre attaccavi l’edera al filo,
ho avvertito il desiderio di scrivere
una poesia, eccola:
vento di vita venuta a
giustificare il sonno.
Stanchezza, rumore di sveglie, dolori
regolari come gocce di un rubinetto
lasciato aperto (a fatica) di nascosto
da un bambino dispettoso.
Leggo quattro libri contemporaneamente,
traduco amemus, congiuntivo esortativo,
assieme alla ragazza dagli occhi color liquirizia.
Dico: tutta la vita e l’amore strabordano da
un modo verbale. Lo senti?
Mi libero dalle scarpe dietro la porta
appena chiusa; guardo al terrazzo
come si guarda a un giardino.
Mi fisso in un solo pensiero:
bisogna immaginarsi felici,
prima di esserlo.

«Eccezionalmente per la nostra poesia contemporanea, nelle poesie di Maria Del Vecchio ricorre la parola “gioia” e, altrettanto eccezionalmente, viene ripetutamente dichiarata un’inclinazione alla gioia della persona scrivente, un muovere “a favore del sole” e “a scapito della notte”.
Del Vecchio ha il piglio fiero di chi ama le sfide: sa che la tristezza è tanto più accessibile, che la dotazione di lacrime è a portata di mano, che essere felici è un’ardua impresa e richiede pure uno sforzo iniziale d’immaginazione (“bisogna immaginarsi felici / prima di esserlo”) ma, proprio per ciò, trova doppiamente attraente la felicità: per la difficoltà del cammino – visto che nei suoi testi non mancano momenti di dolore puro, straziante, di equivoci e di assenze – e per il premio finale, l’ottenimento di qualcosa che ha il coraggio di non temere, ovvero: “Quanto franare provoca una felicità”.»
(Dalla Prefazione di Maria Grazia Calandrone)

Maria Del Vecchio è nata a Lucera (FG) nel 1988. Laureata in Lettere Classiche presso l’Università “Tor Vergata” di Roma, insegna materie letterarie presso un istituto privato. È alla direzione artistica del “Festival della Letteratura Mediterranea” di Lucera. Arimenere è la sua prima opera in versi.