L’Immateriale e l’Immaginario

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LORENZO BARBERIS

Nei miei ricordi scolastici, un posto particolare merita la monumentale antologia di italiano, “Il materiale e l’immaginario” di Lidia De Federicis e Remo Cesarani, che cercava di analizzare l’immaginario collettivo della letteratura (e non solo) confrontandolo con le “basi materiali” su cui essa nasce. Antologia complicatissima, odiata dalla maggioranza non troppo silenziosa del conservatorismo scolastico, ma molto pregnante nelle sue analisi.

Materiale e Immaginario mi sono riapparsi fusi in un unico titolo nella mostra “(Im)materiali” in svolgimento a Cuneo, presso il complesso di San Francesco, dopo la chiusura dell’esposizione del CuNeoGotico
(che prosegue, invece, ad Alba).

Im-materiali è infatti una mostra che riflette sulla rielaborazione concettuale (immateriale, appunto) operata sui più disparati materiali di base. Una riflessione che è il fondamento stesso dell’arte, per molti versi; ma che proprio per questo si rivela particolarmente proficua come fondamentale e periodico “ritorno alle basi”.

Il rischio, specie in una realtà come la nostra, è quello di una concezione da parte del pubblico dell’arte come ancora ancorata alla “forma quadro” in modo esclusivo, o al massimo alle forme della scultura nel senso ottocentesco più convenzionale.

Non appare un percorso così strettamente codificato nella mostra, e questo forse è un bene, perché la maggiore libertà consentita allo spettatore lo invita a seguire il filo dei propri pensieri, raccogliendoli come il gomitolo d’Arianna fino ad uscire dal labirinto di quadri e di idee.

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Colpisce subito, però, un materiale molto inconsueto come questo portellone di Renaut 4 rossa di Guido Palmero, che rimanda ovviamente alla macchina omologa coinvolta nel tristissimo affaire Moro, nel 1978.

Un modo per dire al visitatore, con un salutare shock iniziale, che tutto può divenire materiale d’arte, se ha in sé i germi di una potenza comunicativa forte, sapientemente dosata dall’artista.

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hristian Costa, artista che ho sempre molto apprezzato (ho una sua bella maschera pirandelliana, una delle sue ricerche più affascinanti) rielabora il legno in sfere che divengono “mondi”, in forme sferiche di grande eleganza impreziosite dal contorno in oro dei continenti.

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Il legno come eleganza, dunque. Ma il legno rimanda anche a Gilardi, che invece  nel suo Aigues Tortes ci mostra il legno in una forma vicina a quella essenziale. Il tronco object trouvé naturale che ha in sé la massima forza dell’essenzialità della forma, un po’ come, in paragone ai marmi scolpiti, si potrebbe dire della Pietra allo stato puro, intagliata solo dal caso della Natura.

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Similmente ai levigati legni di Costa avviene coi marmi finemente levigati della Guggisberg (e di vari altri scultori) che generano forme essenziali e raffinatissime come questa Manta, esaltando nella semplicità della linea la forza delle venature del materiale; altrove è il metallo a scaturire la presenza della Forma Pura, fino all’apice dell’Oro, il Materiale Prezioso per eccellenza.

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In questi casi abbiamo Forma (forme) allo stato puro, che esalta la fisicità del materiale specifico. Altrove, appare la figura, ma sempre con un occhio di riguardo al materiale che la condiziona.

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STMGroup lavora ad esempio sulla terracotta, per restituirci un risultato di grande inquietudine, piccole sculturine, homunculi che richiamano accentuandola la fissità delle bambole in porcellana ottocentesche, in forme e posizioni eterodosse.

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La figura appare ovviamente meno in questa riflessione sui materiali; e quando appare ed è efficace, è spesso inquietante, come i lupi di questo pointillisme che ragiona sul dripping puntinistico del colore, o queste svuotate figurine di stoffa a grandezza naturale (tra l’altro, le crea di fatto uguali un serial killer della recente serie TV Luther, quello dalla seconda puntata della terza stagione per chi segue il serial).

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a ricerca sul materiale (come già nel significativo portellone di Moro…) in fondo del resto mette in crisi la dicotomia figurazione/astrazione. Se la ricerca non è volta, infatti, a un materiale comunque consuetamente artistico, spesso va nella direzione di un object trouvé decontestualizzato, spesso almeno potenzialmente aggressivo e inquietante (tanto più quanto la funzione è suggerita ma non compiutamente svelata, come in certe opere di Imberti).

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La figura, come in queste altre sculturine (gessi, forse, non ricordo), si interfaccia poi con la figura presente sullo sfondo della splendida cornice della mostra, aggiungendo l’inquietudine del contrasto tra due differenti austerità.

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Tra i monregalesi è presente Corrado Ambrogio, che da sempre opera una riflessione sulla materia. Questo suo schieramento, che richiama la falange con cui era stato selezionato alla Biennale di Venezia del 2011, costituisce un modulo che, forse in modo indipendente, forse per suggestione, ritorna molto in questa esposizione: lo schieramento, l’esercito, formato da una serie di aggetti verticali paralleli, tutti uguali o quasi.

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Altro autore dell’area monregalese è Claudio Diatto, attualmente con atelier a Dogliani, che presenta in questa mostra il suo affascinante lavoro sul Papercut che era stato esposto a Mondovì nel 2012.

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Le carte di Diatto interpretano la materia in un segno giocoso, vitale, colorato, come anche le opere di Coco Cano e di Cesare Botto, che tuttavia, pur pregevoli, sembrano meno collegate in senso stretto all’indagine sulla materia (presente in modo forte in Diatto per via del lavoro sul taglio della carta, non semplice supporto per il disegno).

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La pittura di Pinot Gallizio, presenza qualificante della mostra (l’artista albese è anche stato oggetto di una affascinante retrospettiva monregalese alcuni anni orsono), si segna per la forza immaginifica della matericità del colore, che giustifica appieno la sua presenza con i pezzi presenti.

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L’altro nome illustre presente in mostra, Ugo Nespolo, è presente invece con questo intervento essenziale. La mia sensibilità gotica mi porta quasi a vedervi un gigantesco paletto usato per trafiggere un ciclopico vampiro; ma è un dato di fatto che spesso i materiali, quando usati nella loro essenzialità, paiono richiamare forme inquietanti, aiutati anche come già detto dalla cornice gotica che li circonda.


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Michelangelo Tallone (presente con una personale alla mostra monregalese del 2010) lavora sul ferro creando strutture che paiono quasi rimandare, a volte, a certe invenzioni deliranti del grande Kevin O’Neil, collaboratore grafico di Alan Moore in molte delle sue produzioni.

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Il Teepee di Bersezio invece mi fa pensare a una sorta di multicompasso tentacolare di stampo massonico, probabilmente di qualche obbedienza degenerata.

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L’uso delle piume di Claudio Signorini mi evoca invece una suggestione di Eyes Wide Shut, confermata dai volti e dai corpi inquietanti che incorniciano.

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Anche questi cristalli assumono un aspetto vagamente esoterico, catalizzatori inconsapevoli di energie astrali.

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I
nquietante, lovecraftiana è anche dal potenza del segno geroglifico, che ricorre nelle opere di Anna Valla (la prima immagine) ed altri. Una ricerca sul segno, dunque, che tuttavia completa adeguatamente il discorso sui materiali, a dimostrazione dell’impossibilità di scindere radicalmente il ragionamento artistico. E molto altro si potrebbe ancora aggiungere all’equazione, avendo qui inserito solo un numero parziale di opere ed autori, ovviamente quelli che maggiormente hanno colpito il nostro interesse ed attenzione.

In generale, una mostra che – con la parallela esposizione di Andy Warhol, di cui diremo in altro apposito articolo – dimostra la vitalità e l’interesse della scena artistica cuneese, in grado di offrirci a San Francesco collettive valide e, se non esaustive, indubbiamente ricche ed arricchenti su varie riflessioni dell’arte oggi: prima il gotico, ora la ricerca sulla materia.

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Da monregalese, uno stimolo a una riflessione, che si distacchi se possibile dall’eterna tendenza mondovita alla geremiade, ma che tragga anche spunto da ciò che avviene intorno a noi per cogliere possibili linee di tendenza. Senza arrivare al livello della mostra di Warhol (o a Casorati, se pensiamo ad Alba), Mondovì offre mostre di buon livello, specialmente ultimamente quando vi è stata una ripresa di discussione sulla vita cittadina anche in ragione del fermento legato alla possibilità di Collisioni in edizione monregalese, legato all’evento di Mondovisioni da poco approvato come budget (e con tanto di sito in progress, che presenta però già la bella grafica del logo). Non sappiamo in quale misura ci si orienterà su eventi letterari e in quanto sulla musica, le due anime della collisione originaria, in quel di Barolo, in Langa: ma è comunque indubbiamente un positivo sommovimento della scena culturale monregalese.

Sul lato artistico, oggi Mondovì presenta mostre pubbliche di livello come quella di Mazzonisosannata da un certo conservatorismo artistico locale quasi in toni di revanchismo antimoderno; ma tale lettura è sicuramente parziale, in quanto la stessa scena artistica tradizionale ricorda (alcuni con apprezzamento, altri no) le numerose mostre passate di Mirò, Dalì, Picasso, Hartung ed altri grandi nomi del pantheon novecentesco. Ancora oggi, inoltre, tra le mostre pubbliche della Città di Mondovì, la bella mostra di Mazzonis è affiancata ad eventi artistici come Equal Access o le “stardust memories” della ceramica, dove appaiono spunti interessanti ed attuali, inseriti in percorsi – quelli del museo della Stampa e della Ceramica, rispettivamente – ormai di una certa solidità.

Però appare meno vitale o perlomeno meno sistematica la presenza di operatori artistici, intesi sia come autori che come realtà espositivo-associative. La galleria de La Meridiana ha ripreso un discorso che rimanda all’omonima galleria attiva negli anni 1960-1980, con slanci anche coraggiosi come la recente mostra sul fumetto. Altri fermenti agiscono nella cornice di Piazza, ma a volte pare mancare un raccordo, e forse la capacità di intercettare, se esiste, la cultura artistica delle nuove generazioni monregalesi, la cui espressione visiva più vitale appare il graffitismo, stencil o wild style che sia.

La realtà associativa di MondoQui, col suo interessante nascente polo culturale in stazione, ha tangenze con quest’area, ma non si è ancora concretata in un qualche evento percepibile in ambito artistico (molti invece in ambito letterario, culturale, musicale). Eppure la posizione in stazione sarebbe indubbiamente interessante anche per raccordarsi agli altri centri urbani della provincia (perlomeno Savigliano e Fossano, da quando la connessione con Cuneo è ormai, da tempo, tagliata).

Per quanto ci è possibile, cercheremo con Margutte di documentare e valorizzare l’esistente, cercando di dare risalto a quanto comunque si muove, nella speranza di aiutare a catalizzare un sogno forse assurdo, ma a cui non vogliamo rinunciare: quello di un possibile rinascimento artistico monregalese.

Le fotografie (autorizzate) sono opera di Margutte