Mariano Menna: la poesia è una trave portante

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ATTILIO IANNIELLO (a cura)

Breve biografia
Mariano Menna è nato a Benevento nel 1994. Ha conseguito la maturità scientifica presso l’istituto Polispecialistico Gandhi di Casoria. E’ iscritto al primo anno del corso di laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 2012 è risultato vincitore del Concorso Nazionale “Scrittura attiva” di Tricarico, nella sezione giovani, con la poesia La ballata del vagabondo;

Nel 2013: ha pubblicato due raccolte di poesie La grande legge e La pagina bruciata, entrambe edite da Marco Del Bucchia rispettivamente a maggio e novembre; è risultato secondo classificato nella sezione “Giovani” del concorso Nazionale “Città di San Giorgio a Cremano” con la lirica Iris.

È membro cofondatore della corrente artistico-letteraria del Labirintismo, il più grande movimento d’avanguardia del 2000 con più di 200 iscritti.

Nel 2014: si è classificato al 3°posto nella V edizione del premio letterario internazionale “Le parole dell’anima” Città di Casoria (NA) con il libro di poesie La pagina bruciata ; al 2° posto alla IX edizione del Premio Artistico – Letterario Internazionale Napoli Cultural Classic con l’inedita Il crepuscolo.

E’ stato inserito nelle antologie Poesia per Dio, curata dalla casa editrice “La Ziza” con la poesia inedita La scelta (marzo 2014) e Fondamenta instabili, curata da deComporre Edizioni.

Alcune sue poesie sono apparse su blog e riviste online come “L’ombra delle parole” di Giorgio Linguaglossa, “Alla volta di Leucade” di Nazario Pardini, “La distensione del verso” di Sandra Evangelisti, “Le Reti di Dedalus” di Marco Palladini e “Poetrydream” di Antonio Spagnuolo.
 
Quando e come si è avvicinato alla poesia? 
Ho avuto il primo contatto con la poesia intorno ai 10 anni: alle elementari ci chiesero di scrivere poesie per il Natale e la mia fu apprezzata dalle maestre e fatta imparare a tutti i bambini. Scrivere poesie mi piaceva, mi faceva star bene e ho continuato a farlo fino ai 13 anni, quando smisi senza un preciso motivo. Sempre senza un preciso motivo, mi riavvicinai (questa volta in modo più serio) verso i 16 anni: scrissi La ballata del vagabondo, con la quale sono risultato primo nella sezione giovani del Concorso “Scrittura attiva” di Tricarico nel 2012 e da allora non ho più smesso. Chiaramente quello che poteva essere un semplice gioco da bambino, è poi diventato frutto di esperienze, studi e sperimentazioni, ma il piacere che provo nello scrivere poesie è rimasto pressoché immutato.

Cos’è la poesia per lei ?
Sarà un cliché, ma è mi è difficile spiegare a parole cosa sia davvero la poesia per me: come ho già detto, il piacere che ricavo dallo scrivere versi è incommensurabile. La mia vita, probabilmente, sarebbe molto diversa, se non mi fossi “imbattuto” nella poesia. In una sua canzone, Roberto Vecchioni dice: “ non lo so se è meglio vivere che scrivere, so che scrivo perché forse non so vivere […] “; io, personalmente, cancellerei quel “forse”. In un certo senso, la poesia per me è come la memoria per l’uomo: una trave portante. Il presente ed il futuro vanno chiaramente costruiti su una solida base, un punto di riferimento che renda la vita meno disorientata. Molti potranno obiettare che spesso si cerchi di sfuggire al gravoso peso della memoria, dei ricordi; io credo che sia vero fino ad un certo punto. Svegliarsi un giorno senza più passato sarebbe terribile per chiunque, anche per un uomo che cercava di fuggire dal proprio; sarebbe come ricominciare da capo nel bel mezzo della propria vita: un caos! Ecco, potremmo dire che la poesia ha per me la stessa funzione della memoria: “senza memoria, non c’è felicità.”

DOPO LA BATTAGLIA
Ispirata all’opera Pulsante, della mostra “Dopo la battaglia” dell’artista Pina Della Rossa, esposta nel 2013 al Museo Pan

Gocce di sangue scrosciano sulla nuda terra,
come un fiume rosso in piena.
I vinti depongono i sogni assieme alle armi,
strisciano fino a rovi intricati,
aculei imbevuti della sconfitta, come frecce.
L’alba inneggia alla quiete e al silenzio.
Dopo la battaglia, il vento soffia sui cadaveri,
corpi scarniti dalla notte ingorda e dai vermi,
un cimitero abusivo sotto le stelle lucenti.
La mente va in letargo, dopo giorni di guerra,
lascia alla carne le urla nel fango.
Ritorna il sereno, crescono germogli,
il nudo si veste di verde e di frutti,
l’uomo si sveste degli inquieti tremori
e dei sospiri affannosi.

***

IL CREPUSCOLO

Muore lentamente tra le acque un bagliore:
è fuoco che si spegne all’imbrunire.
La luce indietreggia al cospetto del tempo,
s’inchina alla notte, elegante signora,
lasciando nel buio le sue lacrime lucenti:
lucciole cosmiche che danzano nel cielo.
Nell’immensa quiete crepuscolare
prendono vita i melanconici pensieri,
infinite tracce dell’umana ragione:
la loro notte calerà col nuovo giorno,
con il risveglio di spaventosi automi,
con i rumori del quotidiano incedere.

***

IRIS
(Seconda classificata al Concorso Nazionale di poesia “Città di San Giorgio a Cremano edizione 2013).

Servirebbe un fiore per ogni lacrima nascosta,
un futile ornamento, che però salva il sorriso
perché il colore dei petali passa su ogni viso:
cancella la tristezza per troppo in noi riposta.

Come l’amore sboccia con un sorriso assecondato,
così un bocciolo nasce grazie ai raggi del sole;
in entrambi i casi non servirebbero parole:
la magia di un attimo è silenzio incontrastato.

Iris a primavera, come un pennello sulla terra,
la natura dipinge con le dita arcobaleni,
sui prati gli innamorati si stringono sereni:
le loro labbra tornano felici a farsi guerra.

Il tempo non aspetta mai le liete conclusioni,
le stagioni passano e cancellano i colori,
ma le ore poi ritornano e con esse pure i fiori:
sbocceranno gli iris e nasceranno nuovi amori.

***

L’EQUILIBRISTA

Cammino schivando pozzanghere e fossi
posti sulla strada e nella vita senza pause.
Il mondo non perdona e non ti spiega mai le cause.
Questa sofferenza? Lascia che col tempo passi.

Mi reggo in equilibrio su una corda sfilacciata,
che forse cederà, rendendo me amico del vuoto,
compagno di avventure di un silenzio poco muto,
quasi un urlo misto a una diabolica risata.

La pioggia mi accompagna sul viale del ritorno:
schivo le mille gocce che cadono dall’alto,
ma non eviterò mai la paura di quel salto
che distanzia il genio dal fallito senza eterno.

Rieccomi a lottare con la gravità e col cuore,
con le mani che tremano per la paura e l’emozione.
Sarà che, così in alto, vedo piccole le persone,
ma aumenta la mia forza e la mia voglia di volare.

Buffone sopra un mondo che da sempre mi sta stretto,
miglioro, come l’albatro, in sembianze e in leggerezza,
stringo la mano al vento, che leggero mi accarezza:
presto scopriremo se son grande oppure inetto!

***
SPLEEN NOUVEAU

Estraneo tra la gente, nei boulevard chiassosi,
mimesi del nulla mescolato all’indecenza,
riverso la mia bile in questi versi rabbiosi:
saranno cancellati presto dall’indifferenza.

L’alloro e la corona per vivande e sovrani,
morta è la gloria dell’inchiostro eterno,
in questi cieli cupi svolazzano i gabbiani:
per l’albatro non c’è più spazio nel moderno.
Non potrà aprir le ali e cadrà sul fondale,
non si potrà rialzare e perciò verrà sepolto,
la vera poesia è finita con Montale,
stracciate queste nere lacrime di uno stolto.

Ritorna il mio pensiero all’uomo che Carjat
immortalò irrequieto come un diavolo afflitto.
Egli mise su carta la sua infelicità:
io scriverò già conscio di essere sconfitto.