Sussurro dal subconscio, la poesia di Eloisa Ticozzi

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ELOISA TICOZZI

Le mani sono codici
metafore attive della vita

sono grappoli ben inseriti sul corpo
possiedono cielo e terra nei palmi,

sorridono di bugia e di verità
si fingono desideri esauditi,

i loro solchi sono scosse
che incominciano senza preavviso

le loro unghie
proteggono questo minuscolo mondo
di piaceri e di incroci tattili.

*

Linee e cerchi sono fantasie antiche
progetti umani della mente universale
oracoli geometrici dei miei pensieri.
Linee e cerchi
quando abbandoni l’anima
all’albero della vita
quando sei una bambina
che vede tutto senza affastellamento
di immagini
quando sei l’archetipo che vorresti essere.
L’infanzia è quel ponte
che racchiude semplicità
mentre tutto intorno a te
è una fabbrica costruita di volti.

Eloisa Ticozzi, La cura dell’infinito, Il Convivio 2022

Dalla prefazione di Angelo Manitta:

Il titolo della raccolta di liriche di Eloisa Ticozzi, La cura dell’infinito, appare già di primo acchito molto indicativo, lasciando intuire una poesia dell’infinito, concetto vago e indeterminato descritto già Leopardi: «E come il vento / odo stormir tra queste piante, io quello / infinito silenzio a questa voce / vo comparando». La poesia della Ticozzi è, infatti, come il vento che, tagliente, penetra senza perdersi in parole, esprimendo concetti ed emozioni di una tale profondità da coinvolgere il lettore in un percorso intimistico ed esistenziale da una parte, di ricerca e di risoluzione di un perenne dualismo dall’altra, con la sua parola che «divide e lacera nell’intimo / il nord dal sud / il caldo dal freddo / il bene dal male», e, senza rimanerne vittima, spazia dalla scoperta della bellezza dell’anima alla estatica contemplazione della natura, dalla comprensione del mistero dell’esistenza alla meditazione del silenzio, attraverso le «tante voci che spiegano l’infinito» e «cullano alchimie di vita». Ma ciò non illude la poetessa, in quanto sa che al bene si contrappone il male, alla felicità il dolore, alla vita la morte, senza smarrire alcuna speranza, nel tentativo costante di «gravitare in una terra liscia / senza spine, con rose morbide che mi accolgano». Benché spesso la solitudine prevalga e il silenzio diventi l’unico rifugio, infatti, uno spiraglio di salvezza scaturisce dalla parola. La poetessa non si dichiara sconfitta, perché «l’infinito è un grande silenzio che parla col pensiero / alle nostre memorie / una congettura aspra e dolce che sa di frutto». Il silenzio quindi non è annullamento, al contrario è presa di coscienza del proprio essere, della propria individualità, della propria unicità, coscienza che permette di dare voce alle proprie emozioni, lasciando immaginare anche il non detto, che emerge da quel profondo «amore per il silenzio quando fuori / la voce fa regredire l’intimità a qualcosa di illogico». La parola appare quindi espressione di un’intimità candida e pura ma non ingenua, bella e pulita ma non ingannevole, in versi festivi e aurorali che, pur esulando da inutili preziosismi letterari, sanno alternare in un rapporto biunivoco il detto con il non detto, il silenzio con la parola parlante, proprio perché il silenzio a volte dice molto più che le parole stanche, avvilite, abusate. Infatti la poetessa preferisce «cantare il suo silenzio / piuttosto che innalzarlo a Dio», ed ha coscienza che «il silenzio è un’anima / che rende gli esseri viventi misteri unici». Se quindi da una parte subisce la tentazione del silenzio, dall’altra esprime se stessa attraverso la parola che diventa così uno schermo tra lei e il mondo, un vetro opaco che bisogna spezzare per giungere alla realtà.

La poesia di Eloisa Ticozzi è di grande efficacia e, con il suo ritmo rapido o lento che sia, con le sue pause, con il suo sguardo innalzato verso il cielo e con la mente rivolta sempre alla terra, alla quotidianità della vita, al rapporto con gli altri esseri umani, si avvicina ad una mistica meditazione con elevati picchi di intensa liricità che riscatta le tempestose ricadute dei momenti bui. Infatti, anche se «ogni giorno nasce senza sentimenti / come un foglio vuoto / esasperato dal buio», alla fine la poetessa ha il coraggio di accogliere «la metamorfosi dell’anima / nella sua femminilità aperta e armoniosa», con i suoi dolci silenzi che preannunciano giorni felici, senza lasciarsi travolgere da alcuna metaforica tempesta per ritrovare quell’umanità insita in ognuno di noi, né trascinare in un abisso dissolutore, proprio perché l’essere umano è mare, cielo e terra insieme, ma è pure pensiero, emozione e spirito. Il silenzio diventa così occasione per scoprire se stessa, la propria essenzialità ed individualità, con il pensiero sempre volto verso la vita, che è luce, speranza, felicità e salvezza.

(…)

La poesia di Eloisa Ticozzi è quindi un sussurro che scaturisce delicatamente dal subconscio e coniuga la parola con l’emozione nella vertigine di elevati sentimenti, divenendo simbolo di una interiorità trasognante che attanaglia l’esistenza. È la bellezza dell’anima ad emergere, una bellezza interiore che la poetessa trasmette nel cuore di chi legge, bellezza che non può essere vista, ma solo percepita, e non può essere distrutta, in quanto è eterna.

Il punto incessante d’immaginazione in Eloisa Ticozzi