Per Maria Lai

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EVA MAIO

“Ho dietro di me millenni di silenzi, di tentativi di poesia, di pani delle feste, di fili di telaio” così diceva della sua arte Maria Lai in una bellissima intervista. Altre volte con sobrietà parlava di giocare seriamente.
Artista a tuttotondo, nata nel 1919 ad Ulassai nell’Ogliastra e morta a Cardedu nel 2019, Maria Lai lascia un’immensa opera di potenti suggestioni che intrecciano il sacro, la manualità artigiana, la bellezza e l’impegno etico di tessere e ritessere i legami sociali sfilacciati.
Materiali umili e visioni di luce, storia personale e cosmo, evocazioni di bellezza e poesia: in tele, stoffe, lenzuoli, pagine cucite, mappe inventate, corde, lacci, impasti, installazioni.
Un lascito che tocca in profondità, rinvenibile oggi soprattutto nelle due istituzioni sarde: La Stazione dell’arte e l’Archivio Maria Lai.

Dedicate a lei queste righe. Indirizzate al suo lascito.
Avvolte dalla sua aura.
Non saprei dire di più.
Ecco, aggiungerei: l’acuta sensazione d’una mancanza.
Mancanza di voglia di tessere in questo tempo bellicoso e prepotente.

Sarebbe il tempo

Sarebbe il tempo dei fili
e delle congiunzioni
di lampade portate
per la notte
e occhi chini
sulle ecografie del dolore.

Sarebbe il tempo
di lasciare vacue discussioni
piantare olivi sugheri tigli
guardare con occhi veri
le fragilità inattese
le piccole primavere.

Sarebbe il tempo
di chiudere coi conti
i trionfi gli affari le glorie
sentire piuttosto i nostri corpi
a registrare ogni lacrima
ogni affanno.

Sarebbe il tempo
di vedere come tutto
s’intreccia s’incrocia
s’ibrida nel cosmo
e nel fiato di noi
nei battiti di ciglia.

Sarebbe quel tempo tuo
dei sussurri dei silenzi dei richiami
del ricamare su strappi
del tendere le mani
e prendere un filo
rubarlo al sole*
e restituirlo in tela.

Disegnare con fili e vuoti e luci
impasti di dolori speranze
ai bordi della storia
con splendida pazienza
nei luoghi di passaggio
in quelli dell’abitare
“micro utopie” di levità d’amore.

Di palpiti solleciti
asfaltare ogni strada
dare respiro all’erba
fare cuciture azzurre e oro
là dove un rivolo
di sangue s’è rappreso
in ombra silente.

Di traversare epoche
col filo dei tremori
della povera gente
sarebbe l’ora
proprio questa piena d’affanni
e dirlo di voce in voce
che non sappiamo niente.

Che non sappiamo
altro che il nostro umano
sudore
lasciar cadere il resto
poi tendere le mani
al sole
tenderle insieme.

Insieme
rubarne un filo
e tessere la bellezza
che possiamo.

Insieme.

*Allusione al libro di Maria Lai Tenendo per mano il sole, 5 Continents Editions