Le arie che mi do – 3 (Mozart)

balbis-copertina-frontaleGIANNINO BALBIS

Madamina, il catalogo è questo

(Wolfgang Amadeus Mozart, Don Giovanni, atto I)

Comicità e tragedia sono i marchi di Don Giovanni, le due facce del suo destino, ora in primo piano l’una ora in primo piano l’altra nell’opera di Mozart, ma sempre l’una all’altra legata e sottintesa.  Ne è prova una delle arie più famose – la cosiddetta “aria del catalogo” – dove il buon Leporello, per dar modo a Don Giovanni di sfuggire all’infuriata Elvira, non trova di meglio che rivelare alla donna la natura libertina di Don Giovanni, snocciolando l’elenco delle sue conquiste (Eh consolatevi: non siete, non foste, e non sarete né la prima, né l’ultima… Ogni villa, ogni borgo, ogni paese è testimon di sue donnesche imprese). È una scena di sicura comicità, da autentica opera buffa.

Ma con ombre di tragedia. A suo modo tragica è la figura di Leporello, che insieme condanna e celebra le avventure di Don Giovanni, ne disprezza il comportamento ma in fondo lo ammira e lo invidia. Tragico, soprattutto, è il contrasto fra l’allegra e provocatoria baldanza del catalogo (merito anche degli abili versi di Da Ponte) e la disperata situazione di Elvira, già sedotta e abbandonata ed ora posta sadica-mente di fronte alla pessima identità del proprio seduttore.

Se Don Giovanni è l’emblema della vita estetica, come sostiene  Kierkegaard, per le sue vittime devono valere invece i principi della vita etica. Vita estetica contro vita etica: questo è il dramma di fondo.

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Là ci darem la mano

(Wolfgang Amadeus Mozart, Don Giovanni, atto I, duetto)

Fra tutte le avances amorose di Don Giovanni (che, secondo il catalogo di Leporello, hanno fruttato più di duemila conquiste), quelle alla contadinella Zerlina sono le più sfrontate e gratuite. Un autentico capriccio. Zerlina e Masetto, freschi sposi, stanno festeggiando il matrimonio con parenti e amici, quando s’imbatte nella loro festa – e vi si abbatte come un temporale – Don Giovanni, reduce da ben altre imprese: ha tentato di sedurre Donna Anna, ne ha ucciso in duello il vecchio padre, il Commendatore, ed è in fuga dalla furia di Donna Elvira, sedotta e abbandonata. Ne avrebbe a sufficienza per quel giorno. Ma è Don Giovanni: non può tradire il proprio destino – comico e tragico nello stesso tempo – di libertino scettico, cinico, impenitente fino all’ultimo istante di vita, destinato senza scampo alle fiamme infernali (“sulla strada per l’inferno c’è sempre un sacco di gente – dice Bukowsky – ma è una strada che si percorre in solitudine”).

E allora fa sfoggio di tutta la sua arte di seduttore per conquistare Zerlina, che all’inizio è ritrosa e diffidente, ma non tarda a cedere alla sua retorica, lusingata dalle promesse (Io cangerò tua sorte)… Sarebbe pronta a seguirlo, se non sopraggiungesse Donna Elvira a metterla in guardia.

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Il mio tesoro

(Wolfgang Amadeus Mozart, Don Giovanni, atto II)

L’amore è “un sentimento inventato”, scrive Gesualdo Bufalino nel Malpensante: “ciò che conta è solo il gioco della seduzione”. Don Giovanni è il campione per antonomasia di questo gioco, ma più che giocatore pare schiavo di un’ossessione compulsiva: continua imperterrito a mietere imprese amatorie anche quando il suo destino ha imboc-cato la china discendente.  Lui non lo sa o non se ne cura.

Si cambia d’abito con Leporello, affinché questi distragga Elvira e lui possa corteggiarne la cameriera. Ma tutti sono sulle sue tracce, in cerca di vendetta: Masetto, Zerlina, Donna Anna, Don Ottavio, Elvira… Neppure il buio della notte, neppure il cimitero, dove cerca rifugio, sono dalla sua parte: la statua funebre del Commendatore si mette a parlare e, prima di accettare il suo beffardo invito a cena, gli preannuncia la fine: Di rider finirai pria dell’aurora.

Frattanto Don Ottavio, che non ha più dubbi che sia stato Don Giovanni a tentare di violentare la sua promessa sposa, Donna Anna, e poi ad ucciderle il padre, è partito per uccidere a sua volta Don Giovanni. Ma non prima di aver chiesto agli amici di andare a consolare Donna Anna e ad asciugarle le lacrime.