Onor delle armi

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GABRIELLA VERGARI
All’improvviso Topolino si accompagna alla musica (che avrei poi scoperto di Dukas), e da apprendista stregone comincia a comandare a bacchetta una scopa.
Me la sto proprio godendo.
Non ho più di otto anni e sono al cinema, avvenimento più unico che raro, con mia madre e soprattutto la nonna. Strano sia venuta con noi e ancora più strano che “Fantasia” l’abbia già visto molto tempo addietro, e prima di me.
In chissà quale vita, penso, e in quali circostanze, lei che esce così di rado e men che mai per vedere dei film. Ma questo è un evento imperdibile, hanno decretato in famiglia, quando si è saputo che ne avrebbero proiettato la versione restaurata e mi sembra veramente curioso che, per un cartone animato, gli adulti si siano dati un simile da fare.
Strano anche pensare che la nonna possa avere avuto un vissuto diverso da quello attuale e che conosco, ma a quanto pare le cose stanno in questo modo.
Né me ne curo più di tanto perché al momento la scena è proprio coinvolgente e la musica trascinante.
Davvero spassoso il piccolo topo che, smessi per una volta i panni dell’infallibile investigatore, va inciampando sul suo mantello azzurro troppo lungo e, in bilico tra le inconfondibili orecchie della sua buffa silhouette, tiene il grande capello a cono bianco che contraddistingue il suo status di giovane mago.
Con l’incalzare e il crescendo delle note, la faccenda si fa però un po’ meno divertente e molto più inquietante. Le scope si dividono e moltiplicano, in una forma parossistica che si rivela frutto di un autentico maleficio piuttosto che di un incantesimo mal riuscito, e comincio ad agitarmi sulla poltroncina del cinema, in preda ad un disagio che potrebbe presto trasformarsi in angoscia.
Esattamente quello stesso che, a distanza di trent’anni, sto provando anche adesso, nel rivedere la sequenza in un’ennesima replica televisiva. Stesse emozioni e sensazioni, malgrado l’età molto più temprata e matura, a riprova che con certi stati d’animo c’è poco da fare, non cambiano con il tempo. Con la differenza che, mentre da bambina volevo che le scope la finissero di replicarsi, dividersi e gettare acqua dai secchi, oggi capisco che quella loro distorta interpretazione del moltiplicarsi voleva essere un formidabile tributo al caos, dal sapore decisamente punitivo.
Dlin,dlon.
E chi sarà mai, a quest’ora?
Mi metto in allarme e corro all’occhiolino, dato che non aspetto nessuno.
Scruto con attenzione il pianerottolo. Nulla.
Come spesso accade, qualcuno avrà scambiato il pulsante della luce per quello del mio campanello.
Mi rassereno e torno sul divano.
Alla tv stanno intanto passando la pubblicità dell’ultimo imperdibile dentifricio.
Saremo in una società liquida, mi dico, ma mai tanto solida quanto alla materialità dei suoi prodotti.
Un continuo accumularsi di roba e di oggetti che contrassegna le nostre vite in modo piuttosto concreto anzi che fluido.
Il dlin dlon successivo mi arriva tra le note del jingle finale.
Se è uno scherzo, l’amministratore mi sentirà, eccome.
Mi rialzo, scruto nuovamente il pianerottolo e lo vedo.
Un libro dalla rilegatura rigida, con un paesaggio accattivante in copertina.
Sarà caduto a qualcuno mentre entrava in ascensore.
Ma intanto non so resistere ad un simile richiamo e scosto un po’ la porta per portare in salvo il derelitto volume nella mia libreria che..
Oh, lo capisco bene che possa sembrare meno difficile da raccontare che da crederci e, insomma, con la coda dell’occhio noto qualcosa intrufolarsi dentro.
Provo a rincasare subito ma due sedie impagliate, un tavolinetto da pic-nic, un cache-pot bombato e cinque stuoini mi sorpassano veloci, imboccando l’ingresso prima di me. Sono stupefatta. E poiché tengo ancora il libro in mano, non faccio in tempo a richiudere l’uscio per serrarmelo dietro, con il conseguente risultato di venir letteralmente inondata da uno stuolo di cose.
Un esercito strampalato e male assortito che però non esita a tirar dritto, come fosse al soldo di un determinatissimo Cesare. Tre lampade di sale, un porta-ombrelli con il decoro a foglie d’edera, sei reggimensole, quattro divisori dell’Ikea, una chaise-longue a strisce aragosta e un appendiabiti bianco fanno da apri-pista e imboccano decisi la soglia, dislocandosi alla buona nel salotto e prendendone possesso.
Un salsicciotto in tweed verde e blu, di quelli con l’imbottitura pesante, mi si para per lungo davanti, a bloccarmi le caviglie e, mentre lotto per levarmelo di torno, un tappeto persiano, tre scendiletti di pelliccetta rosa, un copri-teiera con i volants, un plaid a quadrettoni e una trapunta seguono a ruota.
Penso sarebbero perfetti per arredarci la stanza da letto, con un tavolinetto per il te pomeridiano e mi stupisco di me stessa per l’incongruità della riflessione.
La retroguardia è più lenta e sbrancata, ma anche più imperterrita.
Arranca con fatica per le scale ma si fa largo senza tante cerimonie: una cuccia per cani, uno steccato da siepe, due cesoie da giardinaggio, un paio di guanti di camoscio color tortora, un innaffiatoio di zinco giallo a margheritone bianche, uno spray alla citronella…
Aiuto, dov’è il mago?
E quale formula ho sbagliato? mi chiedo affannata.
Qual è l’abracadabra o dove si trova lo specchio segreto da cui mi stanno spiando per lo scherzo che mi sveleranno a breve? E soprattutto dove sono le note di Dukas? Nessuna elevazione sublime, nessun crescendo, nessuna creazione artistica o catarsi governa questo sfacelo.
Oh Topolino mio, e adesso come ne usciamo?
Seguendo un’ispirazione improvvisa, mi fiondo per le scale.
Tenetevela pure la mia casa.
È una roccaforte che avete conquistato con indubbio valore.
Scappo in strada trafelata e dalla finestra della cucina l’attaccapanni sembra salutarmi sull’attenti, come a riservarmi l’onore delle armi.
Qualcosa mi sveglia.
Mi guardo intorno ancora ansimante mentre il salotto riacquista i suoi abituali contorni.
È tutto in ordine, solo che Topolino ha da tempo ormai lasciato il posto ad uno special televisivo sugli effetti del neo-capitalismo e il connesso problema dello smaltimento dei rifiuti.
Devo essermi addormentata sul più bello, mi dico sollevata e insieme rammaricata di non aver potuto gustare il film fino in fondo.
Pazienza, ce ne sarà un’altra occasione, soprattutto sotto Natale.
Do un’occhiata all’orologio realizzando che devo aver dormito almeno un’oretta e cerco il telecomando per spegnere il televisore.
Ma mentre provo a guadagnare finalmente il letto, mi giunge distinto un suono…
Dlin, dlon…

(immagine di Franco Blandino)