Sere d’estate

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GABRIELLA VERGARI

Il mattino ha l’oro in bocca,  recita il proverbio.

[…] Ma anche un pomeriggio può essere capace di riservare dolcezze impreviste, come ad esempio il permanere di quella bifora, frammento ormai avulso nell’incastro di edifici piuttosto anonimi e moderni (un bar e una palestra) ma ancora integro (seppur in fondo vacuo) residuo della casa paterna, quella che ha accolto il nonno alla luce e l’ha ospitato bambino.
Chi abbia mai preteso l’inserimento di tale preziosismo architettonico nel prospetto di un’abitazione borghese, non è dato saperlo, né il nonno lo rammenta.
L’importante è invece che la bifora non abbia ceduto al tempo e si trovi ancora lì come una volta, appena alle spalle del paese, intatta nel decoro della sua colonnina tortile centrale e l’armonioso sviluppo delle arcate, quale unico testimonio superstite di storie e vite andate.
Ultimo ma irriducibile alfiere di fronte al mutamento, è un’autentica, commovente sorpresa per tutti.
Ma principalmente per il nonno che, appena giunto a Noto, è andato dritto dritto in cerca della sua casa natia ma si  è avvicinato al luogo trepidando, sicuro di  non ritrovarvi più niente di proprio.
Né si è sbagliato di molto, visto che tutto il resto della costruzione originaria è in effetti scomparso da molto, inghiottito dall’avvicendarsi dei proprietari, il variare delle esigenze, il ritmo del quotidiano, il sovrapporsi delle ristrutturazioni.
La casa interiore, quella legata ai ricordi e all’anima, è  però  lì, sempre ben salda. E pulsa di vita. Si anima di voci, presenze, colori, assume contorni dapprima sfocati e poi sempre più nitidi.
Già il nonno risente il profumo dell’infanzia, addentrandosi fondo fondo nel suo passato.
Ed ecco la cucina, enorme stanzone sempre ribollente di traffici e mantali, con la mattonella che lievemente basculava ad ogni suo passaggio, producendo quell’inconfondibile suono fesso.
Quindi il corridoio, con le fotografie dei parenti defunti, vero vestibolo a quel che immaginava allora dovesse essere il Purgatorio.
Là invece l’armadio, perennemente odoroso di sapone di Marsiglia e lavanda.
E subito dopo la stanza di Peppe, il fratello maggiore, coi suoi segreti di piacente ventenne  (chi  l’avrebbe mai detto che sarebbe vissuto ancora per poco?), e quella delle sorelle, frullo costante di vesti.
Poi, all’improvviso gli sovviene della Lurda , laida e segaligna dirimpettaia dalla ferinità primitiva e selvatica […] e perfino della maestra, pedagoga d’elezione, che, pur abitando ad un isolato di distanza, serrava con violenza tutte le sue imposte, quasi a ritirare un virtuale (e virtuoso) ponte levatoio all’affacciarsi di quella megera.
Gente andata. Gente venuta. Gente passata.
Che fine avranno ormai fatto tutti quanti, e perché mai gli sia toccato di conoscerli un giorno, per poi perderli definitivamente di vista e quindi ignorarne le sorti?
O forse, chissà, il senso dell’esistenza sta proprio in questa continua ricerca di senso e davvero viene spesso spontaneo d’interrogarsi sulle cose.
Meglio comunque non attardarsi in riflessioni siffatte che, dopo settantacinque anni d’onorata militanza sulle barricate della vita, il nonno ha bene appreso la sostanziale  inutilità di certi quesiti e sa ormai frapporre le sue brave barriere alle perniciose sirene del rovello […].
Nell’accommiatarsi dalla bifora, il nonno non riesce tuttavia a trattenere nuovi ricordi, legati questa volta alle sere d’estate, trascorse a quello strambo ma ragguardevole osservatorio a pascersi della frescura o a gustarsi, bambino, gli scintillanti racconti del cielo e della luna, col vento fresco sulla pelle affamata dal giorno.
Senza  poter mai certo immaginare che, su quello splendido tondo ialino, l’uomo avrebbe  di lì a non molto camminato, quasi approdandovi come ad un porto qualunque. Né che lui, quello sbarco, l’avrebbe poi seguito davvero in diretta, con il fiato incollato ad un video, insieme a milioni d’altri uomini, chiedendosi, soggiogato dalle conquiste della scienza, se quel progresso mirabile non sapesse però anche un po’ di profanazione.
E se quell’ineffabile crisma d’infinito non avrebbe di lì in poi perso qualcosa nel rivelarsi arido pianeta anzi che magica sfera.
O se, malgrado gli squarci al mistero, avrebbe pur sempre prevalso la notte, continuando a mostrarsi affabile di requie e madida di sogni, incantamenti, malie.
E se, chiamandola di tanto in tanto gruviera, la luna loro, i bambini l’avrebbero ancora disegnata con il naso di profilo, oppure con il faccione sorridente di ciglia frangiate.
Ḕ giusto comunque che tutto si avvii al cambiamento, ché nel moto c’è la vita, come lui ha sempre del resto sostenuto, anche se a certi cambiamenti  non è agevole da recente tener dietro: tra genoma e donazioni d’organi, nonne-mamme e mamme-bambine, uteri in affitto, navigazioni in rete e clonazioni, gli sembra anzi che il mondo stia proprio diventando un gran calderone, un pasticciaccio globale, più pasticciaccio di quanto non sia mai stato in passato.
Ché almeno ai tempi c’era pure qualche pensatore, magari un Platone, un Kant o un Cartesio, a fornire risposte o dare indicazioni e oggi invece, eccezion fatta per comitati di bio-etica, guru, opinionisti e veggenti, si è per lo più lasciati al fai-da-te, a confrontarsi con questioni novelle e straordinarie, mai prima immaginabili o da alcuno immaginate.
Come a dire dal Big Bang al Grande Boh, attraverso un inesauribile Bla Bla, mentre le domande fondamentali sfilano ancora tutte lì, irrisolte come sempre, a irridere l’umana pochezza: lo dice persino una canzonetta in voga che prima si nasce e poi si muore, dipende, tutto dipende.
Così si prova per lo più a godersi l’intervallo, e a vivere, che come qualcuno ha sostenuto resta pur sempre la cosa migliore da fare, quaggiù.
Solo che, a volte, si ignora persino in che, la cosa, propriamente consista.
Ma come per repentina, subitanea rivelazione, nell’osservare quel gruppetto di familiari che, un po’ sparso, un po’ spazientito, lo sta in questo giorno di festa accompagnando alla festa di S. Corrado a Noto, e attende variamente che lui se la sbrighi con la nostalgia e acconsenta a riprendere il cammino, il nonno sente tutt’a un tratto di saperlo esattamente.
D’averlo in realtà anzi sempre saputo.
E che le sue risposte le abbia tutte (o quasi) lì con sé, davanti agli occhi.
Racchiuse in quella donna robusta e tenace, che gli è  accanto da più di nove lustri; in quel figlio lungo lungo, impetuoso, attivo e passionale, che non lo ha mai scontentato; in quelle nipotine morbide e zuccarate, colme di tutte le promesse; in quei cognati e quei due amici, che da tanto gli stanno a parte del bello e del brutto; in quella nuora dall’abbigliamento francescano che lo segue nonostante.
Eccola lì, la summa del suo cammino, partito da quella bifora e a quella bifora oggi approdato per casualità di combinazioni: sta là, semplicemente, tutta condensata in quegli affetti e in quelle otto anime attualmente vaganti (e, a dire il vero, anche un po’ sbuffanti).
Se i bilanci gli piacessero, non potrebbe certo trovare occasione migliore per il proprio.
Ma è giusto che i bilanci non gli piacciono e gli pare persino che portino un po’ iella. Meglio quindi  lasciarli alla fine, al fondo del fondo, che per quello c’è sempre tempo (almeno si spera).
Ora, invece, è davvero il momento di andare e ringraziare S. Corrado per le belle opportunità che gli sta offrendo.
E pure per il dono di questa non richiesta ma sopraggiunta conferma, che è sempre consolante, per un uomo, la consapevolezza di non aver sprecato il proprio tempo e che tutto, gioie, sofferenze e sacrifici, non sia stato invano ma abbia avuto in fondo uno scopo.
Chissà se tra le rupi e i dirupi del suo eremo rotto e selvaggio, anche S. Corrado non sia mai andato  a dubitare delle sue scelte e ad interrogarsi sull’opportunità di fare, del rifiuto del mondo, l’unico suo modo per starvi.
Certo è che il mondo ha poi comunque riconosciuto la sacertà della sua ascesi, ecco perché Netini e non Netini si affollano adesso, in preghiera, dietro la vara che ascende pian piano al Cianazzo.
Né si tratta di colore o di sola tradizione, che la devozione invece è grande e il silenzio totale, avvolgente, autentico e sincero, solo interrotto a tratti dallo squillo di qualche cellulare.
E i fedeli sono tanti, che il Santo è assai miracoloso, e si muovono composti, reggendo candele.
Nulla certo a che fare con i cili, sgargianti di trafori, che vengono dopo e fiancheggiano il procedere delle varie Confraternite, coi loro mantelli viola, verdi  oppure rossi.
Uno spettacolo solenne.
No, austero, ecco  il termine, e il nonno sorride compiaciuto della sorpresa che vede piacevolmente disegnarsi sul volto dei suoi, soddisfatto di non aver sfigurato davanti ai loro occhi esigenti, abituati a tridui ben più magni e cittadini.
Lenti e contegnosi sfilano tutti e vanno, tra ali di folla, finché anche l’ultimo crocifisso non scompare alla vista, mentre man mano le ombre si allungano preludendo alla sera.
Anche per quest’anno la festa si è svolta  e ormai non ne restano che le fasi estreme. […].

Non serve quindi prolungarla oltre il dovuto.
Giusto invece benedirla per quella che è stata e non chiederle di più di quanto non abbia già dato, che potrebbe all’improvviso rovinarsi.
Meglio riprendere le macchine e sfruttare al massimo la luce residua, così da evitare sorprese sulla via del ritorno e consentire alle nipotine  di addormentarsi quanto prima.
Eccole infatti che, stanche come sono,  reclinano le testoline  mentre i primi chilometri  prendono a sfilar via veloci.
Cala quindi il silenzio.
E nel silenzio trova, il nonno, tutto l’agio per riflettere.
Ripensare alle tante altre storie riaffiorate, ai visi rivisti e a quelli mai più rivedibili, al volto della modernità, alla Noto attuale e a quella d’un tempo, alla sua giovinezza e a tanto, tanto altro ancora.
Ma, come è ormai da molto sua abitudine, nel silenzio ha soprattutto modo, il nonno, di ritrovare se stesso e, fatto alquanto insolito, di assopirsi piano piano.
E mentre sente il sonno scivolargli addosso dolcemente, gli viene proprio fatto di sorridere, sorridere, sorridere…

Tratto dal racconto Recherche in L’Isola degli elefanti nani, AG edizioni, Catania 2003