La Renault di Aldo Moro

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LUCA ARIANO

Cosa racconti domani a scuola
professor Emilio?
Questa volta ci credevi…

«Tanto non ascoltano…»
«Hanno altri valori…»
«Sono tutti uguali!»
«Tutti rubano!»

Tuo padre sul divano
non si arrabbia più…
attonito guarda i risultati.
Lui sì, avesse trent’anni di meno,
partirebbe…
Tu cosa aspetti Emilio?
Una chiamata… una telefonata…
Non come l’Andrea che nella cabina
ha votato un sogno…
forse un sogno mai esistito.
A casa dirà «Tutto a posto!» come sempre…
Domani sentirai un sole primaverile
che lascia un frizzo sulla pelle
ma pensi che non bastano pochi raggi
per una nuova stagione.

***

Poverètt professór Emilio,
t’han ciapà per i fondelli:
ogni volta dici che non voti più,
ma poi…
in fondo, sei sempre tu a perdere.
Come tuo padre che non vota da anni,
quando vede la Renault di Aldo Moro
scuote la testa.
Ti hanno venduto titoli inutili,
pagati con notti di lavoro…
Cammini per il viale di tigli
verso il cimitero… per portare un fiore
a tuo nonno:
ripensi ai suoi racconti di guerra…
miserie… macerie, eppure lo invidi
sfiorando pratoline senza badarci.

***

In un giorno di alberi…
presepi… professor Emilio
voti alle primarie:
la sera sbraiti sul partito.
Al telegiornale la statua
di Lenin sbriciolata:
rivedi tuo nonno a pugno chiuso
parlare di rivoluzione… capitale
ma la domenica a messa
dai pret… con la nonna.
Avrebbe sentito «puzza di Fascio»…
sarebbe sceso a combattere?
Questa notte pensi a Maria…
collega che a stento saluta:
mani rigate da rughe,
macchie sulla pelle… la ricrescita…
eppure cosa daresti per un bacio?
Abbracciarla quando cala la nebbia
e amanti si stringono per le strade.

Luca Ariano, La Renault di Aldo Moro, Prospero Editore, 2014.

Dalla Prefazione di Guido Mattia Gallerani:

E quando il procedimento dogmatico è assunto
dal potere politico come mezzo di governo,
la resistenza contro il dogmatismo
e la difesa dello spirito critico diventano
per l’uomo di cultura un dovere,
oltre che morale, politico,
che rientra perfettamente nel concetto
di una politica della cultura.

Norberto Bobbio

In una recensione a Contratto a termine (FarePoesia, 2010) mi soffermavo sulla discreta valorizzazione della materia quotidiana nella poesia di Luca Ariano: discreta perché umile nel dettato, perché la retorica del passato è fuori dalla poesia, perché nei suoi testi il confronto tra l’oggi e la storia è un accostamento di distanze, non il loro appianamento in un inutile indistinto. Ariano resta fedele a uno sguardo lirico su una materia che lirica non è più. Potremmo ancora parafrasare La Renault di Aldo Moro come una plaquette all’interno del progetto di poesia neo-civile che Ariano porta avanti da una decina d’anni, a partire da Bitume d’intorno del 2005. Assieme provammo a intendere poesia neo-civile come quella corrente lirico-referenziale della poesia italiana contemporanea, ritracciabile nella prima decade del nuovo millennio e composta per lo più da poeti nati tra gli anni Settanta ed Ottanta che si fondava su un’assenza (forse oggi particolarmente colpevole) di portato ideologico rispetto al quotidiano e si poneva in contrasto o almeno in dialogo critico con la poesia prettamente civile sorta nella seconda metà del Novecento: soprattutto la sostituiva con uno spiccato uso di argomenti sociali nello scopo di ricreare una condivisione comunicativa tra l’esperienza dei “poeti della poesia” e quella propria del pubblico, ma in una ricerca scevra d’intenti militanti. Oggi questa visione è forse superata, come lo è certamente l’etichetta neo-civile. La crisi finanziaria ha allontanato ogni possibilità di condivisione tra le persone allargando (come sempre avviene durante le crisi economiche e/o finanziarie) la forbice sociale e, di conseguenza, la distanza tra i diversi linguaggi sociali, collocando la lingua della poesia agli antipodi del quotidiano discorso delle persone. Di nuovo la poesia è chiamata alla sfida di non perdere il contatto con la “realtà”, se vogliamo riprendere questo termine in omaggio a un “nuovo realismo” che ha suscitato molto dibattito in quanto corrente filosofica, ma che rimane per lo più inesplorato in poesia, forse perché lo stesso concetto di realtà perde spessore letterario e si pone ormai soltanto come problema pratico. Più che altro queste nuove poesie di Ariano registrano una radicalizzazione dei sentimenti quotidiani, cercando di cogliere lo spirito di un tempo, il materiale immaginario dall’inconscio collettivo, nella lingua del popolo italiano. Potremmo anche segnalare lo sguardo “neorealista” di questi testi. Ariano si preoccupa dell’osservazione corale dei propri personaggi, come per mezzo di una cinepresa posta sopra la Padania attraverso un intero secolo, intrecciando lentamente tra loro destini e biografie fittizie, ma che per ognuno di noi potrebbero registrarsi come verità tra le conoscenze personali. Un ulteriore aspetto merita di essere segnalato. La poesia di Ariano cancella ogni autorità dalla voce lirica. L’autore non s’infila mai tra i propri testi con la voce interiore del poeta che interviene a commento. Anzi, il legame tra poesia e storia, di pasoliniana memoria, funziona proprio perché è semplice ed esplicito, senza il bisogno di un manierismo linguistico di raccordo a costituirsi ingranaggio della poesia. La sfida della lingua di Ariano è proprio l’unione dentro il limbo di uno stile quotidiano di due prospettive storiche lontane, l’oggi contingente ma ignoto nel suo corso progressivo e il passato novecentesco colto invece nei suoi dati fondamentali. L’assassinio di Moro è uno di questi. Come già in Leonardo Sciascia de L’affaire Moro (1978), è quell’evento che apre una voragine storica e quindi è già evento suscettibile di narrazione. Di fronte a questa interpretazione la poesia rinuncia alla trasformazione simbolica o allegorica. Ritroviamo così le interrogazioni dell’Emilio, divise tra il senso di un impegno civile e il benestare letterario della lirica: da una parte una sanguinaria morte rimossa ma latente, che sfugge proprio perché ormai è storia, e dall’altra il sentimento colpevole del soggetto che lo riporta alla propria debolezza attraverso un sentimento lirico nuovamente borghese, tra prati e fiorellini: “Come tuo padre che non vota da anni, / quando vede la Renault di Aldo Moro / scuote la testa. / Cammini per il viale di tigli / verso il cimitero… per portare un fiore / a tuo nonno: / ripensi ai suoi racconti di guerra… / miserie… macerie, eppure lo invidi / sfiorando pratoline senza badarci”. In tal senso questa raccolta potrà avere particolare interesse nella poesia futura di Ariano. Perché rappresenta chiaramente la distanza tra i due tempi, tra un prima e un dopo. Una composizione antitetica della poesia che viene riprodotta all’interno di ogni testo. Generalmente una prima parte è coniugata al passato, ma come riletto da una fotografia ingiallita; la seconda al presente, che esprime proprio il contemporaneo stato d’incertezza sentimentale. Talvolta lo stile nominale cancella l’azione, privata del suo vero: così Ariano esprime chiaramente l’incapacità di creare una rappresentazione attiva e concreta dei suoi personaggi, sempre più inetti lungo un loro romanzo familiare-fallimentare. Si potrebbe anche dire una poesia in presa diretta, allo stadio zero del poetico. Anche questo deve fare la poesia d’oggi: recuperare una connessione sentimentale con la realtà, attraverso uno stile umile ma in grado d’innalzare un senso dalle macerie: una nostalgia controllata come quella di Teresa quando ricordando la propria giovinezza estiva e spensierata ci ricorda anche chi siamo e da dove veniamo: “Teresuccia scendi le scale / accompagnando tua madre: / il passo pesante dell’età / pensando a quando scendevi / gradini verso il mare”.

Luca Ariano su Margutte: L’altrove di Luca Ariano