L’Abominevole Moro

01 Carro del Moro

NUMBERSIX.

(Un breve racconto di orrore nella tenebrosa cornice de “la Lancia Spezzata”).

A.D. MMIX M. X

Il respiro si calma mentre finalmente mi accomodo sul sedile del treno. Mai, e certamente non al momento del mio arrivo in quella stessa stazione poche ore prima, avrei immaginato di voler abbandonare la città di M** e rapidamente fuggire. Eppure sono perfettamente conscio che gli eventi delle ultime ore, ben lungi dal poter essere semplicemente cancellati da un viaggio in treno, mi accompagneranno, ahimé, per ben lungo tempo e che ciò che vidi riaffiorerà nei miei turbati sonni notturni.

Ritengo, però, che sia bene andare per ordine e ricapitolare gli eventi, in modo tale da poterli registrare in questo mio piccolo diario con dovizia di particolari affinché questi eventi possano essere un monito a tutti coloro che si troveranno in futuro a percorrere le vie di questa città ed un avvertimento a chi in queste vie ignaramente abita.

Mi accorgo, però, di essere turbato. La mia mano trema ed il mio cuore batte in affanno, mentre continuo a scrutare il capotreno, sperando che dia presto il segnale che mi porterà lontano da queste terre… mai troppo lontano e mai troppo velocemente tuttavia. Ed io so benissimo che non potrò sfuggire neppure ai ricordi che hanno marchiato la mia anima… eppure spero ancora.

E la mia speranza sembra illuminare il segnale di via libera, accolto con un fischio del capotreno che rimette in movimento il mezzo di trasporto, che scivola via tranquillo nella notte serena.
Ben presto il treno raggiunge la velocità di viaggio ed interpone chilometri tra me ed il teatro degli ultimi eventi. Mentre vedo sparire le ultime case della città, inizio a rilassarmi realmente e con mano più ferma, per quanto lo renda possibile il costante movimento del mio mezzo, scrivo sul mio fido blocco notes gli eventi degli ultimi giorni.

E’ uno sforzo di una certa difficoltà. Mi sento stordito e confuso, ma dovrò riorganizzare gli eventi in mio possesso ora e subito, prima che vengano ancora più modificati dal passare del tempo. Solo così potrò avere il quadro della situazione in maniera chiara. Solo allora potrò far luce sugli eventi e magari chiedere l’aiuto della Polizia, senza passare per un folle mitomane.

E pensare che solo pochi giorni fa avevo raggiunto questa città con gioia e spensieratezza.
Volevo assistere alla sfilata delle maschere che si sarebbe tenuta nella terza domenica di febbraio e restare qualche giorno in città per partecipare ai celebrati Veglioni della fine del Carnevale, di cui tanto spesso si parla negli annunci pubblicitari della città. Mi si torce l’anima dall’angoscia. Perché l’ho fatto? Cosa pensavo di trovare?

Avevo sentito parlare della città di M** tempo fa. Era il primo anno di università quando conobbi l’incantevole Lara Bressani. Mi colpì sin dal primo momento. I capelli ramati, caratterizzati da riccioli ribelli, la pelle candida con lentiggini, occhi vivaci del color della giada, un bel viso dai lineamenti regolari. La bellezza di Lara risultava accentuata dalla simpatia e dalla vivacità che la caratterizzavano in qualsiasi momento. Entusiasta, colta, spiritosa, bella. Ne rimasi affascinato subito, anche se all’epoca non sapevo chi fosse o cosa facesse, né da dove provenisse.

Ricordo i tentennamenti, i tentativi falliti di avvicinarmi a lei, a conoscerla meglio. Vi era sempre qualche evento che mi allontanava da lei. Qualcosa che sembrava congiurare contro di me affinché non potessi conoscerla meglio.

Ah, se solo avessi dato retta a questi ammonimenti, ora non mi troverei questo peso nell’animo.

Lara! Lara! Lara! Perché?
Gli occhi mi si gonfiano di lacrime e non sono in grado di scrivere. Devo interrompere per un po’ la mia narrazione.

Mentre il treno riparte da una stazione che aggiunge altre decine di chilometri di distanza alla mia partenza, recupero l’equilibrio che avevo perso.

La città di M** mi era stata nominata più volte. Ero stato invitato da alcuni amici a visitare la città, ma non avevo mai trovato alcuno stimolo prima di qualche giorno fa. L’idea di dover prendere il treno o l’auto e di trascorrere del tempo in viaggio mi sembrava piuttosto inutile. Non avevo voglia di sprecare tempo senza un valido motivo.

Una incredibile combinazione di eventi mi diede la motivazione per il viaggio.
“Lara è di nuovo single” mi dissero Gianni e Franco, due miei compagni di studio che ben conoscevano la ragazza ed il mio interesse nei suoi confronti “potresti cogliere l’occasione dei giorni di festa e con una scusa andare da lei a M**…”
“Non sono sicuro che si tratti di una buona idea. Sapete, in questi casi, forse è bene non fare passi troppo affrettati.” soggiunsi io, timoroso di rovinare i rapporti con Lara.
“Se lo dici tu…” mi rispose Gianni con fare deluso liquidandomi con un’occhiata distratta.
“Fossi in te, andrei. E poi durante il Carnevale è lecito impazzire… chissà cosa nasconde dietro gli occhialini da intellettuale e le lentiggini da studiosa, la cara Lara!” affermò Franco facendo l’occhiolino.

Non avrei dovuto dare loro ascolto! Se solo avessimo immaginato quali segreti nascondeva la città di M** ed i segreti della stessa Lara, mi sarei tenuto alla larga… ma così non fu.
Rimuginai sulle parole dei due consiglieri, guardai alcune indicazioni sul computer di casa collegato ad internet e mi segnai alcuni appuntamenti festivi della città di M**.

Quel giorno, una settimana fa, sentii Lara. Composi il suo numero di telefono e sospirai prima di chiamarla. Immaginavo lei nella sua cittadina, a passeggio, mentre andava a fare acquisti, la vedevo a casa mentre studiava ed intenta a fare esercizio fisico in palestra.

Nel frattempo il telefono componeva il numero e ben presto una voce squillante e nota rispose con un tono neutro:
“Sì, pronto?!”
Era lei “Lara? Ciao sono Michele dell’uni…” ma venni subito interrotto.
“Miki! Ciao, come stai? Che piacere sentirti!” il tono della ragazza era diventato molto più amichevole e sembrava veramente contenta della telefonata.
“Ti ringrazio, sto bene. Stavo facendo una pausa. Oggi proprio non riesco a studiare…” risposi.
“A chi lo dici. In questi giorni non riesco proprio a fare nulla. E’ da un paio di settimane che in città qui da me c’è aria di festa e tra sfilate e serate mi sembra di non aver più dormito da anni…” si interruppe brevemente, poi con una risatina “ma la colpa non è solo mia. E’ Valeria che mi spinge a fare tutto questo. Lei adora il Carnevale. Mi ha visto un po’ giù e così fa a gara a portarmi in giro per svagarmi…”
“Ho letto del Carnevale della tua città. Ne parlavano sui giornali e su internet. Ci sono state le maschere veneziane…” iniziai
“Oh, sì! Bellissime… vengono tutti gli anni. Alcune sono molto antiche, sai?” incalzò la ragazza
“Poi ho letto che ci sono quasi tre settimane di appuntamenti e svaghi…” continuai.
“Già, è proprio così anche la mia stanchezza può concordarlo…” aggiunse ridendo “ma ora volge al termine. C’è una sfilata più grande, quella conclusiva domenica e poi due veglioni lunedì e martedì, poi tutto finito… per il dispiacere di Vale che vive anno per anno in attesa della festa!”.
“Ah ah. E’ vero probabilmente Vale si stanca talmente in questo periodo dell’anno da dover recuperare nel resto dell’anno…” ammiccai, facendo riferimento alla nostra comune amica.
“Verissimo… è una cara ragazza, ma alle volte non la capisco… va beh!” fece una pausa, come per spostare il telefono da una mano all’altra poi riprese “Pensavo… ti ispira venire a vedere il Carnevale da noi? Se non hai altro da fare, ovviamente. Se vuoi ti cerco anche un biglietto per i veglioni.”
Il cuore iniziò a battere veloce “Non mi dispiacerebbe. Tu sfili domenica?”
“Sì, l’ho promesso a Vale. Altrimenti mi graffia se non vado…” scherzò Lara.
“Quasi quasi potrei venire. Mi devo però cercare un hotel, soprattutto se mi fermo anche per il veglione…!” iniziai offrendo la possibilità di presenziare.
“Ci penso io se vuoi. Per il veglione serve il costume, ma puoi anche affittarlo in un negozio qui vicino.” rispose la ragazza con tono entusiasta.
“Perfetto! Ci sentiamo ancora per i dettagli.” conclusi forse in maniera un po’ sbrigativa a causa dell’emozione.
“Sì, provo a sentire in giro e ti dico appena so qualcosa. Ora provo a studiare qualcosetta, sennò il prossimo esame non lo passerò mai!! Ciaooo” disse in uno slancio del suo usuale entusiasmo.

Nei giorni successivi ci sentimmo spesso per organizzare. Mi disse degli orari dei treni, del posto dove dormire e del negozio dove affittare il costume. Mi spiegò della sua città, delle locazioni principali e di come raggiungerle. Il tempo passò molto veloce e la domenica giunse presto.
In verità avevo contato gli istanti che mi separavano dal giorno in cui mi sarei recato nella cornice che vedeva protagonista Lara.

Partii il mattino della domenica. Una giornata come tante nel mese di febbraio, con una luce incolore riflessa su un cielo di un grigio esausto, punteggiato qua e là da sporadiche nubi dall’aspetto vagamente minaccioso.
Fu proprio a queste ultime che si rivolse il mio pensiero mentre lasciai, uno zainetto sulle spalle, la mia abitazione per dirigermi in stazione. Le implorai di non insidiare l’esito della giornata e di lasciare che il timido sole ancora rischiarasse il giorno e permettesse agli abitanti della città di M** di poter degnamente festeggiare gli ultimi giorni del Carnevale. Realizzo soltanto adesso l’errore in cui in incorsi. Le nuvole ed il maltempo sarebbero state provvidenziali e mi avrebbero tenuto lontano dall’orrore che provai e di cui, non potendolo più dimenticare, sono silenziosamente ed inconfessabilmente testimone.
Giunsi a prendere il mezzo di trasporto con largo anticipo, in quanto era grande il desiderio di non perdere l’occasione di far breccia nella vita privata della mia musa. La macchina di metallo riposava muta sul binario come in attesa che venisse riportata in vita da una qualche forma di magia e successivamente guidata come un animale riottoso dalla mano dell’uomo verso la destinazione.
Il binario si stava affollando di persone intenzionate a cavalcare la creatura artificiale e sedute sul dorso rimirando il paesaggio a farsi tranquillamente trasportare altrove.

Mi accomodai serenamente sul sedile, morbido e consunto dagli anni, il cui aspetto suggeriva l’eccessivo utilizzo cui erano sottoposti gli arredi. Le tende apparivano immobili, come se si fossero arrese a non essere più utilizzate e ormai pendessero tristemente ai bordi del vetro che avrebbero dovuto coprire. Le macchie del sedile di fronte permettevano di scorgere il disinteresse dei passeggeri nel trattare con sufficiente benevolenza i beni pubblici. Alcune pubblicità spiccavano sulle vuote ceste dei portabagagli inutilizzati e ammiccavano, da chissà quanto tempo, verso il viaggiatore messaggi destinati a non scuotere il minimo interesse e a restare quasi un segreto inconfessato.

Ben presto, una vibrazione regolare e costante mi avvisò dell’accensione del mezzo, che tutto intorno a me prese vita, oscillando e rumoreggiando, quasi si stesse stiracchiando per riprendersi da un lungo sonno.

In quel preciso istante ricevetti una chiamata inattesa sul telefono.
“Vale!” esclamai nel ricevitore rispondendo alla chiamata “come stai?”
Dall’altro capo una voce, con tonalità vagamente onirica e pacata, cosa che peraltro non mi stupì affatto, morbidamente mi rispose “Buon mattino Mik”, inframezzando le parole con due pause di troppo ed un’inspirazione che mi ricordava un buffo tentativo di coprire uno sbadiglio “mi hanno detto che oggi saresti venuto da noi…”
“Come corrono le voci, eh?” incalzai con fare solare “si, sto per partire ora con il treno. Dovrebbe partire… ecco sta partendo proprio ora!”
“Bene, bene. Mi ha detto Lara dei dettagli del tuo viaggio. Non so se potrò venirti ad aspettare in stazione perché devo sistemare ancora alcune cosette…” disse con fare, per una volta, vivace.
“Ma non è necessario” feci io, con voce sicura e ferma “apprezzo fare due passi, così posso meglio vedere la vostra città.”
“Beh, allora vedi di non restarne deluso!” rispose la mia interlocutrice “tu vieni da una grande città, mentre noi siamo provinciali. Non ci sono grandi locali, la gente si arrangia come può o va a cercare locali altrove” effettuò una pausa come se non volesse proseguire “e la gente è un po’ chiusa. Non stupirti se vedi che sono poco socievoli. Ed in particolare, sai com’è, i ragazzi della nostra compagnia…” tentennò “potrebbero non esserti molto simpatici, anche perché, sai com’è, alcuni hanno sempre cercato di avvicinarsi a Lara senza esito, capisci, no?”
Il tentativo della mia amica mi lasciò sfuggire un sorriso di tenerezza “ma certo che capisco. Succede un po’ da tutte le parti, in tutte le compagnie…”
“Immagino di sì” disse la ragazza e con un cambio di tono mi augurò un buon viaggio, accomiatandosi.

Il tragitto venne percorso serenamente e seppure un po’ lungo non mi pesò molto. La vista era piacevole ed, a parte alcuni banchi di nebbia, il paesaggio mostrava una piacevole campagna caratterizzata da pianure e colline, costellate da costruzioni di dimensioni non eccessive. Anche i centri abitati in cui si interrompeva il nostro viaggio per far salire o scendere nuove persone mi parevano meno grigi e severi del mio luogo di residenza. Non vedevo grossi palazzi e grandi costruzioni dalle alte mura scrutarmi altezzosamente con fredda severità e le strade non erano invase dalle centinaia di piccole armature colorate delle automobili.

Pochi minuti prima del termine del mio percorso, in corrispondenza di un gradevole paesaggio collinare dove un fiume placido faceva capolino da sotto ad un ponticello, mi giunse la chiamata di Lara.
La voce della ragazza sprizzava entusiasmo a dir poco contagioso.
“Ciao Miki!!” esclamò non appena accettai la comunicazione “volevo chiederti se il viaggio stava procedendo bene ed avvisarti che è tutto a posto. Ho il costume per il veglione e l’hotel ti può ricevere già stamattina. Ti dico tutti i dati appena ci vediamo in stazone”.
Ne fui piacevolmente sorpreso. “Pensavo che fossi impegnata con i preparativi della sfilata e non potessi venire. Vale…”
“La raggiungo dopo, non mi pare corretto far attendere un ospite. Gli altri possono aspettare e poi avremo modo di vederci con loro più volte nei prossimi giorni” constatò rapidamente, per poi ritornare sul primo argomento della chiamata “il treno è in orario? Vengo in stazione all’orario giusto?”
“Si è in perfetto orario. Ci vediamo tra una ventina di minuti in stazione. Grazie Lara!” risposi.
“A dopo allora, grazie a te!” concluse chiudendo la chiamata.

Il viaggio era ormai concluso ed a breve sarei giunto alla mia destinazione. La campagna attorno alla città di M** mi osservava placida dal finestrino, mentre le abitazioni si andavano addensando verso l’ingresso della stazione.
Entro breve arrivai e scesi sul marciapiede accanto al binario. L’aria fresca era piacevole, dopo il viaggio e mi guardai intorno in attesa di vedere Lara.
La prima cosa che mi colpì fu la particolare configurazione della città.
Dinanzi al mio sguardo si stagliava un colle, che dominava l’intera città con l’autorevolezza distinta ed antica di un vecchio regnante, la cui corona appariva consunta e ridotta ad un diadema da cui emergevano due uniche gemme.
Ed infatti, con fare imperioso e potente, due torri dal colore ramato scuro sfidavano il cielo e con fierezza si ergevano dalla cima dell’altura proiettando la loro presenza sulle abitazioni del quartiere sottostante e sull’intera città assisa ai piedi dell’altura.
Immaginai che quel quartiere e le due costruzioni che lo caratterizzavano fossero visibili da lunga distanza e che tale profilo si stagliasse non solo nello spazio, ma anche nella mente e nei cuori degli abitanti della città.

Abbassai nuovamente lo sguardo alla ricerca della mia amica, ma non scorsi alcuna persona ad attendermi. Decisi di incamminarmi verso l’uscita, rimirando nel frattempo la stazione in cui mi trovavo.
L’architettura della costruzione sembrava un impianto risalente a non meno di una settantina di anni prima ed era tenuta mediamente bene. Un giardino curato dalla particolare forma triangolare e decorato con una scultura di legno intagliata in un albero caduto attirò la mia attenzione, mentre al telefono la mia ospite mi avvertiva che avrebbe tardato leggermente.
Approfittai dei minuti a disposizione per osservare meglio la struttura. Le stanze erano decorate con motivi floreali di gusto inizio novecentesco, differenti in ogni sala ma sostanzialmente affini.

La mia osservazione venne interrotta da una persona della cui presenza non mi ero assolutamente accorto.
“Le consiglio di osservare bene la sala della prima classe. E’ veramente la parte più gradevole di questa stazione” affermò con cordialità l’uomo.
Si trattava di un signore distinto vestito in maniera molto curata, dall’espressione gentile e disponibile. Era abbigliato in maniera classica, con un vestito di colore scuro ed una camicia di una tenue tonalità azzurra, su cui spiccava una cravatta di colore cangiante. Lo sguardo era accogliente e brillava di entusiasmo e di interesse per la propria cittadina.
“Grazie molte, è un buon consiglio. In effetti stavo proprio guardando…” iniziai, ma fui subito arrestato dalle parole dell’altro.
“A molte persone piace tanto questa stanza. E’ decisamente un interessante esempio di decorazione allegorica. Guardi nei particolari. Sono degni di interesse e necessitano di uno sguardo attento. Mi domando come mai nessuno abbia mai scritto uno studio specifico sul contenuto di questa sala. Eppure qui c’è il Politecnico, c’è la Facoltà di Architettura. Ma nulla! Non c’è interesse per gli angoli nascosti e storici della nostra città. Si occupano tutti di altri progetti e di altre cose e le uniche fonti sulla nostra città sono libri vecchi di decenni, di cui i miei concittadini ignorano l’esistenza…” fece una pausa, accorgendosi di aver fatto un monologo e con minor foga si presentò “perdoni l’ardore, mi accendo sempre quando penso ai miei concittadini che sono disinteressati alle meraviglie della nostra città e vanno cercando altrove quanto si ha anche qui da noi. Io mi chiamo Paolo Cipolla e sono il bibliotecario di questa città.”
“Molto lieto. Io mi chiamo Michele R** e vengo dalla città di T**” risposi, riscontrando la netta credibilità di quell’uomo, tale da ispirare fiducia in me che ero sempre piuttosto restio a parlare con gli estranei.
“Benvenuto a M**, allora. Spero che la città le piaccia. Forse è qui per il Carnevale, ma la inviterei a gustarsi anche il panorama ed i monumenti. Abbiamo opere di tutto rispetto! E se poi ha del tempo può anche recarsi in un comune qui vicino a vedere il noto santuario.”
In quell’istante giunse Lara.

Non mi aspettavo di vederla già parzialmente truccata per la sfilata e per me fu una vera sorpresa. Per quanto indossasse abiti normali, la preparazione del viso era già stata conclusa. I capelli erano raccolti in un’acconciatura dall’aspetto rinascimentale. Il colore degli occhi era accentuato da una esperta scelta di colori che li rendeva come due gemme di incomparabile lucentezza, che spiccavano vivaci. La bocca era leggermente arrossata e nascondeva lo splendore candido dei denti, che in quel momento venivano scoperti da un dolce sorriso. La pelle del viso assumeva nella luce di febbraio un colorito leggermente dorato che dava alla figura un’importanza quasi sacrale.

Il mio interlocutore si voltò verso la ragazza “Oh, la cara Laretta! Come stai? Tutti bene a casa? La mamma è poi riuscita a trovare quel testo che non trovava per tuo fratellino?” e prima che la ragazza rispondesse riprese “ti trovo benissimo e sono contento che una così splendida stella brilli nella sfilata di oggi. Hanno fatto bene a sceglierti per il ruolo della Bella” affermò tutto d’un fiato, con viva cordialità.

Lara sorrise timidamente e bisbigliò un ringraziamento “grazie Paolo, sei sempre gentile. Ti ringrazio anche per aver tenuto compagnia al mio ospite, mentre stavo arrivando.”
“Stavamo proprio parlando un po’. Della nostra città e dei suoi posti. Portalo a vedere la Torre, il Palazzo e non dimenticare l’automa del moro ed un giro in funicolare, eh!” aggiunse, tacendo del fatto che era stato un monologo più che una discussione.

Mentre ripenso a quei momenti così spensierati mi si stringe il cuore, richiamando quanto sarebbe successo in seguito.
Lara ed io ci accomiatammo dal bibliotecario e ci recammo fuori dalla stazione. La mia amica mi raccontò un po’ di lui e dei luoghi menzionati, quindi ci incamminammo verso l’hotel.
“Studio spesso in biblioteca” iniziò lei con incedere calmo “e lì ho fatto conoscenza del buon Paolo. Ha una vastissima cultura, specialmente sulla storia locale”.
“Me ne sono accorto, mi ha raccontato alcuni spunti interessanti” dissi in tono scherzoso “sulla vostra città e sul fatto che voi abitanti non le dedicate abbastanza interesse” conclusi imitando la caratteristica voce dell’uomo.
Lara rise. Una risata dal suono argenteo, che risuona ancora nelle mie orecchie, coinvolgente. E fu allora che lei si appoggiò a me, intrecciando il suo braccio destro al mio sinistro.
Continuammo la passeggiata col passo rallentato, assaporando quegli istanti ed il contatto fisico derivante da quella vicinanza.
Il momento venne interrotto dalla telefonata di Valeria. Non appena Lara rispose, mi accorsi che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. La voce della nostra comune amica era insolitamente alta e stridente, mentre il viso della ragazza al mio fianco si incupiva. “Arrivo, arrivo” disse sbuffando, quindi si rivolse a me con tono dispiaciuto “Il Capitano mi vuole in plancia… purtroppo devo andare perché sembra che ci sia qualche piccolo imprevisto. Devo proprio scappare… ma l’albergo è quello. Potrai rilassarti prima di vedere la sfilata, inizia soltanto più tardi. Ci vediamo dopo e scusa” concluse e si avvicinò a me, abbracciandomi fortemente e spiccandomi un bacio sulle guance.
La vidi allontanarsi in direzione del centro e rimasi immobile nella strada a guardarla, sentendo ancora nell’aria vicina a me la fragranza del profumo che portava indosso. Ah, se solo avessi scelto quell’istante per tornare indietro ed andarmene. Avrei potuto evitarmi la vista di quanto accadde successivamente. Ma così non fu.

Mi recai nella stanza prenotata a mio nome e mi riposai, pensando alla dolce ragazza. In breve fui pronto e mi mossi verso il centro per assistere alla sfilata.
La gente sciamava lieta verso il centro. Famiglie con i piccoli vestiti in maniera più o meno curata si univano al fiume di persone diretto verso le strade principali dove si sarebbe tenuta la grande sfilata.
Camminai insieme alla folla, sentendo a poco a poco portare dal vento le note di una melodia divertente e scanzonata. Alcuni giovani della città che conoscevano il motivetto cantavano sopra qualcosa, nel dialetto locale, che aveva il senso di “ecco arrivan le maschere… ecco arrivan le maschere… facciamo tutti un brindisi al carnevale” poi veniva nominato un personaggio, il Moro, che era il re del carnevale. Avevo letto su internet di questa figura bizzarra, forse un principe saraceno, che, giunto da terre esotiche, veniva a reclamare la sudditanza della fiera città. A lui venivano date le chiavi del borgo, evento metaforicamente ripetuto all’inizio del carnevale, e non solo. La leggenda narra che gli fosse consegnata anche in sposa una nobildonna locale ed in concubina una giovane e graziosa popolana.
A questo punto la leggenda pare offuscarsi e prendere i toni della tragedia, in quanto parrebbe che lo stesso venisse poi assalito dai concittadini dopo aver aggredito la giovane concubina, in un eccesso di gelosia, e punito con l’evirazione.
Sicuramente per quanto sinistra fosse la leggenda, mai avrei pensato di poter constatare di persona come la realtà sappia essere ben più cupa e angosciante.
Immerso nel clima della festa raggiunsi da ultimo centro, che era baciato da una benevola luce solare. Le strade erano state chiuse ed erano stati collocati carri allegorici e gruppi mascherati secondo l’ordine di partenza. La banda musicale ripercorreva alcune canzoni divertenti, ritornando di quando in quando sulla canzone caratterizzante della manifestazione.
In mezzo agli spettatori vidi l’uomo che avevo incontrato in stazione, mentre chiacchierava fittamente con un anziano dall’aspetto signorile.
Mi avvicinai ai due, cogliendo un vago cenno del loro discorso. “…congiunzione planetaria che segna l’inizio della ricorrenza” affermò l’anziano mentre l’altro di rimando “non saprei, certo che le coincidenze ci sono tutte…”. “Non si tratta di coincidenze o congetture, ma di fatti. Li analizzi e li ricontrolli, arriverà alle mie stesse conclusioni” asserì l’altro con un tono quasi di rimprovero.
Non appena il bibliotecario mi vide, mi sorrise e mosse un passo verso di me, voltandosi a salutare il suo interlocutore che voltatosi nella mia direzione per salutarmi con un cenno del capo, si allontanò subito dopo nella folla festante.
Venni raggiunto dall’uomo che avevo conosciuto poche ore prima, il quale prese ad illustrarmi alcune usanze cittadine nei giorni di festa.
Fu allora che gli domandai della canzone e dei particolari sulla figura del moro. In quell’istante, la musica si fece più forte, mentre la sfilata iniziava a procedere in un crescendo di movimenti, suoni e colori.
La manifestazione coprì la voce del mio interlocutore, che mi parve un po’ a disagio in relazione alla mia domanda, e decisi di restare in silenzio ad osservare i gruppi che passavano.
Ad un certo trattato, dopo le maschere vidi il carro su cui partecipavano Lara e Valeria. Mi accorsi subito del motivo per cui la mia amica era stata convocata in anticipo. Aveva dovuto sostituire l’altra ragazza nel ruolo della principessa cittadina data in sposa al moro. Gli abiti che aveva indosso richiamavano la moda rinascimentale, pur con delle invenzioni romanzate degli anni sessanta, ma erano di assoluto impatto e parevano accentuare il fascino della bella Lara.
La musica ed i suoni durarono per alcune ore, invadendo la città con un buon umore multiforme e variegato, che pareva diffondersi a tutti gli abitanti e non solo ai partecipanti direttamente coinvolti nella manifestazione.

Al termine del pomeriggio, mentre il sole stava tramontando la manifestazione principale era giunta alla conclusione e la folla si stava raccogliendo in una piazza principale per assistere agli ultimi festeggiamenti, culminanti nelle premiazioni dei partecipanti.
In quell’occasione decisi di cercare Lara per potermi complimentare con lei per l’ottima riuscita della sua performance, tanto piacevole quanto imprevista.
La gente accorsa sul luogo era molto numerosa e sembrava essere per ogni dove. Anche i partecipanti, raccolti sul posto, sembravano un numero veramente superiore al numero visto durante la sfilata. Occasionalmente tra la folla mi pareva di scorgere qualcuno del gruppo cui faceva parte Lara, ma non mi pareva di scorgerla da nessuna parte.
Durante uno dei miei giri, vidi da lontano Valeria. Rimasi colpito, poiché non sembrava riconoscermi. Aveva lo sguardo duro e deciso, differente rispetto al solito. Ritenni che fosse dovuto alla stanchezza e incurante, mi avvicinai per salutarla, ma ben presto sparì nella folla.
Fu soltanto alcune interminabili ore dopo che vidi finalmente Lara.
Era in mezzo agli amici e stava parlando concitatamente con Valeria e chi interpretava il moro.
Provai ad avvicinarmi, ma venni rallentato da alcuni membri del loro carro, che con fare goliardico si frapponevano fra me e le altre persone. Cercavano di non farmi passare sbarrandomi il passo con le braccia tese o con alcuni oggetti che avevano in mano, canzonandomi sul motivo per cui volevo passare ed avvisandomi che era meglio andarmene, tanto lei non era per me.
Ritenni che fossero ubriachi e per evitare problemi, chiamai Lara a gran voce.
Le persone davanti a me scossero la testa in senso di diniego, mentre Lara si voltò e si mosse verso i me seguita da Valeria e dagli altri due.
Quando mi raggiunse lessi la stanchezza sul volto e quella che poi compresi una forma di preoccupazione. “Ciao Miki… grazie per essere venuto… ti chiedo scusa, ma non mi sento granché bene e pensavo di andare a casa appena ho finito di parlare con loro… ah, ti presento Carlo, che per quest’anno è il moro…” affermò con voce debole.
Egli si avvicinò verso di me, fermandosi a breve distanza, con una posa imperiosa e di sfida. “Ciao, piacere di conoscerti” disse con un tono che tradiva un pensiero esattamente opposto, mentre gli occhi, resi ancora più visibili dal trucco, luccicavano di fastidio.
Intervenne allora Valeria che con voce aspra mi comunicò “siamo tutti stanchi per la sfilata, Miki, anche tu immagino lo sia. Grazie per essere passato, ci vediamo poi…” invitandomi bruscamente ad andare, mentre altri loro amici mi ronzavano attorno.
Osservando lo sguardo triste di Lara e come si mettevano le cose, decisi di allontanarmi. Con un certo fastidio salutai tutti e mi spostai fuori da quella zona. Dalla distanza, vidi Lara discutere animosamente con Valeria e Carlo e poi tentare di andarsene ed essere fermata da Valeria stessa.
Se solo avessi saputo di cosa si fosse trattato non avrei agito così. Invece, ferito nel mio orgoglio e pensando che fosse l’ennesima triste ripicca di un ex fidanzato geloso mi allontanai a grandi passi, deciso ad andarmene il giorno dopo.

La notte trascorse tranquilla ed il risposo mi ristorò a sufficienza. Il mattino dopo vidi sul telefono una comunicazione di Lara che domandandomi scusa per il comportamento dei suoi amici, mi invitava a far colazione con lei per parlare della questione.
La vidi meno di mezzora dopo in un locale grazioso non distante dall’albergo. Era vestita in maniera molto sobria e mi stava aspettando seduta ad un tavolo in una saletta più riservata. Non appena mi vide mi sorrise e si alzò per venirmi incontro. Ci abbracciammo fortemente per alcuni secondi. Sentii il cuore di lei battere contro il mio petto, mentre il suo respiro mutava insieme al mio, come se si stesse liberando della tensione accumulata. Le baciai la fronte e prendendole le mani tra le mie, la invitai a sedersi.
Allora notai l’espressione tesa che aveva sul volto, associandola alla stanchezza del giorno prima non dissi nulla.
“Ti devo delle scuse per il comportamento dei miei amici” iniziò “alle volte durante il carnevale si diventa un po’ troppo festosi e si è su di giri. In effetti, mi hanno detto di chiederti se ti va di partecipare stasera al veglione a casa di Valeria…” affermò tenendomi le mani “ma se dopo quello che è successo ieri non vorrai venire, sappi che hai tutta la mia comprensione!”
“Non ti preoccupare, Lara” dissi con tono rassicurante e conciliante “verrò senza dubbio”, mentre scorsi sul viso di lei un’ombra di preoccupazione.
Nel pomeriggio mi portò a visitare la città, mostrandomi il centro, che in parte avevo visto durante la sfilata, in cui spiccava la chiesa col campanile dove un automa ad effige di moro batteva le ore da centinaia di anni, ed il quartiere alto, raggiungibile mediante la funicolare, che con un ingegnoso sistema di contrappesi univa idealmente le due parti della città collocate a diversa altezza.
L’acropoli era sicuramente molto affascinante. Ogni angolo appariva pulsare di storia ed evocare fatti antichi. Visionammo alcuni palazzi antichi, le cui famiglie avevano indistricabilmente legato le proprie sorti con quelle cittadine, tra cui la residenza dei Della Riva, dei Durantes, nonché la storica abitazione degli avi di Lara stessa, che parevano avere origini tanto lontane da perdersi nei meandri della storia locale.
La città appariva seria e attenta ad ogni nostro commento, come se fosse fiera della propria antichità e volesse dissuaderci dal trattarla con importanza minore di quanto le doveva spettare.
Da ultimo raggiungemmo il giardino che sorgeva ai piedi di quella torre che avevo visto dalla stazione. Il punto più alto della città. Si poteva vedere lontano e quasi in tutte le direzioni. Sembava che tutto il mondo si dispiegasse dinanzi a noi… e forse era per quello che la città appariva così maestosa.
Improvvisamente mi accorsi che Lara appariva come infreddolita al mio fianco e mi voltai verso di lei per abbracciarla “stammi accanto, ti prego!” mi sussurrò con gli occhi spalancati e lucenti. “Certamente Lara” la rassicurai, incurvandomi per avvicinarmi di più a lei. Fu allora che lei alzò le mani verso le mie spalle e mi attirò ancora verso di lei, alzando il capo verso il mio, per poter portare le labbra a contatto con le mie.

Infine giunse la sera e ci preparammo per andare al veglione presso l’abitazione di Valeria.
Indossammo gli abiti per la festa in maschera.
Lara era splendidamente vestita in stile veneziano, con pizzi e ricami in sfumature chiare ed una maschera che emulava l’aspetto della Luna crescente, coprendo interamente il volto della fanciulla. L’insieme era decisamente incantevole e rendeva onore alla bellezza della giovane, aggiungendo al suo fascino in maniera decisamente contenuta ed affatto vistosa.
Il mio abito, come da scelta della mia ospite, richiamava l’uniforme prussiana di fine settecento e pareva uscita da uno dei quadri dell’imperatore Federico II, per i colori tendenti al blu scuro, le onorificenze sul petto ed il tricorno.

Dopo un breve viaggio in autovettura, raggiungemmo l’abitazione della nostra amica Valeria.
La villa era dotata di un grande giardino, fittamente coltivato con alberi ad alto fusto, nel mezzo del quale sorgeva la struttura principale, pressoché invisibile dall’esterno.
Da una certa distanza, però, si potevano scorgere le luci che decoravano tanto l’abitazione quanto i padiglioni collocati nel giardino e l’atmosfera risultava festosa, poiché giungeva continuamente una musica allegra.
Avvicinandoci potevamo riscontrare la presenza di un gran numero di invitati, tanto che alcuni, lasciata la vettura nelle strade limitrofe, si avvicinavano a piedi al cancello di ingresso.

Anche noi ci incamminammo nella stessa direzione, unendoci idealmente all’allegra fiumana di persone dirette alla stessa meta. Tutti erano abbigliati con tenute fantasiose, molti indossavano maschere sul volto e la sensazione di allegria e divertimento pareva spandersi intorno. Non avrei mai potuto immaginare che ben diverse erano in realtà le cose.

Raggiunto il cancello, ne osservammo la grandezza e la maestosità. Antico oltre quanto avrei pensato, era stato recentemente restaurato con maestria e finezza. Le insegne della villa campeggiavano sul cancello sopra al cognome di famiglia di Valeria iscritto sopra una placca marmorea di età indefinibile.
“Non avrei immaginato che Valeria abitasse in una casa così…” affermai per rompere il silenzio. Lara mi rispose “Si, la sua è una famiglia molto antica, lo sostengono anche gli studi di Carlo…. suo fratello” affermò, come se stesse soppesando le sue parole, forse imbarazzata per via della scena che era successa durante la sfilata proprio con quella persona, che ignoravo essere il fratello di Valeria.
Annuì e proseguimmo innanzi. Il cancello era aperto e schiudeva un sentiero che biforcandosi abbracciava il folto degli alberi, contornandoli in maniera circolare. Lungo entrambi i lati del percorso erano collocate ad intervalli regolari fiaccole inserite su appositi appoggi che erano fissati al terreno. Occasionalmente alcune persone erano ferme nei pressi delle luci, per dare indicazioni sulla dislocazione del servizio di catering, che era collocato in più parti del giardino stesso ed infine in casa, al piano terreno.

La festa proseguì serenamente per buona parte della sera, mentre si svolgevano i balli e la gente andava e veniva dall’interno all’esterno dell’abitazione.
Ad un certo tratto, annunciati da una diversa musica fecero il loro ingresso Valeria e Carlo.
I due fratelli, che poi appresi essere gemelli, erano abbigliati nello stile rinascimentale che caratterizzava gli abiti della sfilata, ma con una sontuosità ancora maggiore.
Valeria vestiva un modello nobiliare, impreziosito da gioielli e pietre preziose, e portava sul viso una civettuola maschera dalla forma allungata che scopriva solamente parte del mento ed il collo, che, tracciando apparentemente lineamenti diversi dal volto, pareva renderla molto più affascinante ed intrigante della persona che ero solito conoscere.
Carlo indossava invece la versione più elaborata ed elegante dell’abbigliamento in stile moresco con cui l’avevo visto in precedenza, con la variante che quanto portava comprendeva un esotico turbante a cui era legato un velo che copriva la parte bassa del volto, lasciando solamente scoperti gli occhi.
Pochi minuti dopo il loro ingresso, vennero nella nostra direzione a salutarci.
Intuii una forma di vago disagio nel vedermi presente, specialmente da parte di Carlo, che fissava Lara con una certa insistenza, mentre Valeria, complice la copertura del viso, appariva più controllata.

La serata proseguì e si inoltrò verso le ore notturne. All’approssimarsi della mezzanotte, l’ambiente era mutato in maniera percettibile. La musica aveva assunto una tonalità ritmata ed oppressiva, mentre i fumi dell’alcool e delle droghe iniziavano ad annebbiare gli animi ed i corpi, che spesso finivano per nascondersi nell’oscurità o nelle pieghe della villa.
Valeria e Carlo regnavano sulla serata e venivano quasi idolatrati da molti degli ospiti, che li seguivano con lo sguardo e mostravano loro rispetto e deferenza. Appresi che Carlo era molto apprezzato dalle donne della città ed aveva ripetutamente tentato di intrecciare una relazione con Lara, che aveva sempre rifiutato e che Valeria sarebbe stata molto felice della questione. Stupidamente pensai che fosse quello il motivo dell’interesse per la mia dama, ma non era affatto così.

Quando dovetti assentarmi per recarmi ai servizi, fui raggiunto da Valeria, la quale si mise a parlarmi con toni conciliativi e rassicuranti, mentre mi porgeva nuovamente da bere. Parlammo per lungo tempo e lei mi fece sapere che la festa sarebbe andata avanti tutta la notte, praticamente fino al mattino, ma che sostanzialmente la maggior parte era stata fatta e che ora iniziava a diminuire.
Inoltre, mi fece capire, che potevo andarmene via serenamente, in quanto Lara si era allontanata con Carlo e che avrebbero fatto sicuramente tardi.
Sulle prime presi la cosa come uno scherzo e mi allontanai da Valeria sorridendole, ma quando vidi che non vi era traccia di alcuno dei due, decisi di chiederle spiegazioni.
Tornai rapidamente dove l’avevo lasciata, ma non trovai né lei, né alcuna traccia che indicasse dove si fosse recata dopo avermi allontanato.
Con una certa apprensione, presi a girarmi attorno, inconcludente come una trottola, guardandomi intorno smarrito e disperso. Non potevo credere a nulla di quanto era accaduto e desideravo solamente trovare Lara, almeno per domandarle una spiegazione.
Avessi avuto buon senso, mi sarei allontanato allora e mi sarei risparmiato la vista di ciò che accadde poi, che mi ossessiona e mi riempie la mente ogni volta che chiudo gli occhi.

Senza meta, mi misi a vagare per un tempo indefinito per l’abitazione, finché non osservai che alcuni degli invitati si recavano ai piani inferiori attraverso una scala immersa nel buio e seminascosta da una tenda.
Immaginando che non vi fossero alternative, reso furente dal nervosismo che mi stava assediando il cuore, mi avvicinai a grandi passi al tendaggio.
Nessuno si curò di me, mentre varcavo la soglia e mi avvicinavo alle scale per recarmi al piano inferiore, poiché molte altre persone si erano dirette in quella stessa meta. Era infatti possibile osservare alcuni invitati seduti sulla scala impegnati in tentativi di seduzione, altri appoggiati alle pareti in preda al sonno derivante dagli eccessi, altri ancora che soli si incamminavano verso le altre stanze a cercare chissà quali esotici piaceri.
Al piano sotterraneo, la situazione mostrò chiaramente i suoi connotati. Abbandonato l’aspetto di una semplice festa in maschera, le sale erano quasi integralmente buie. Nel buio si vedevano però i movimenti percettibili di schiere di persone che si davano a sfrenate orge, nell’aria satura dell’odore che giungeva da alcuni piccoli bracieri accesi.
In tutte le stanze in cui mi recavo, la scena era sempre la medesima, anche se variavano il grado di depravazione cui assistevo. Osservando quanto accadeva nella penombra mi domandavo in quali abissi fossero cadute quelle persone ed in particolare mi accorsi di aver sempre sottovalutato la padrona di casa, Valeria, che avevo sempre visto come una delusa apatica senza particolare personalità.
A quel punto avrei dovuto comprendere cosa fosse veramente dietro alla vicenda ed avrei dovuto scappare senza fare mai più ritorno, ma la situazione mi spinse ad agire per trovare e salvare Lara, che immaginavo, giustamente, in pericolo.

Oltrepassai le schiere di corpi che si agitavano e contorcevano nel buio o nei sonni indotti dalle droghe e giunsi ad un’altra scala che portava ancora più in basso.
Dal profondo giungeva un vago chiarore ed un canto sommesso, una sorta di cantilena ritmata.
Incuriosito più che preoccupato, decisi di scendere, condannandomi ad essere testimone di qualcosa che mai avrei dovuto vedere.
La scala che portava al basso era stranamente libera e completamente buia. Mi mossi con estrema attenzione per non incespicare nei gradini e rovinare a terra. Al termine della scala si apriva una stanza dall’aspetto circolare, illuminata da un debole chiarore.
L’area, ad uno sguardo più attento, pareva comporsi di due anelli concentrici, collocati su due livelli diversi e separati da un colonnato di colore scuro dall’aspetto antico e maestoso.
La parte più esterna era lasciata al buio e pareva ospitare un numero indefinito di persone che in piedi ondeggiavano ed inneggiavano la cantilena, di cui non riuscivo ad afferrare il senso, ma che pareva una variazione cupa della canzone che avevo sentito durante la sfilata, in cui non si parlava di divertimento, ma di mutilazioni, sofferenza e sangue.

Allora mi sentii accapponare la pelle, ma fu nulla in confronto a quello che di lì a poco si dispiegò dinanzi ai miei occhi.
Nascondendomi nel buio, mi avvicinai al colonnato, tenendomi distante dalle persone che erano lì vicine, e mi appostai nell’ombra per capire cosa stesse accadendo.
Volgendo lo sguardo verso il centro, osservai che nel mezzo del secondo anello che componeva la stanza, vi era un piccolo rialzo, formato a foggia di parallelepipedo, dell’altezza di quasi un metro e lungo circa due.
Attorno ad esso erano collocati quattro bracieri ed alcuni ceri di una certa grandezza e singolare diametro, tutti di colore scuro, tutti parimenti accesi.
Colsi nelle persone una sorta di trepidazione, che causò un’accelerazione del canto che ad un tratto si interruppe improvviso, facendo calare un tetro silenzio sulla scena.
Vidi nella penombra alzarsi quattro figure che recavano una quinta, trascinandola verso la zona illuminata, mentre altre due figure restavano in piedi fuori dall’area illuminata.
Non appena vidi la luce colpire il primo gruppo, trasalii nel vedere che la figura trasportata era una giovane donna, vestita con una semplice tunica bianca, che non ebbi alcun problema a riconoscere in Lara, malgrado fosse incosciente e con la testa abbandonata di lato.
I quattro la depositarono sulla pietra al centro e le fissarono dei legacci ai polsi ed alle caviglie, sollevandole la testa affinché fosse rivolta innanzi a sé verso gli astanti.
Dall’ombra una voce tuonò “In questa notte speciale, carissimi, siamo qui a festeggiare la Ricorrenza. Ed è un grande onore sapere che questa fanciulla ha sangue nobile e discende da una delle più antiche famiglie della nostra città. Sarà questo il valore aggiunto che renderà prezioso il nostro evento questa sera. Carissimi, ora avvicinatevi.”.

Al termine del breve discorso, la gente si avvicinò ed io mi mossi innanzi, ansioso di sapere cosa avrei potuto per aiutare la ragazza in difficoltà. Mi trovai così pericolosamente nella penombra, mentre le luci danzavano anche sul mio viso, dissipando l’occultamento del buio.
Non appena le persone si disposero più vicine alla struttura centrale, entrarono nel campo ponendosi in piena luce, Valeria e Carlo, ammantati di due tuniche dai colori rossi e neri.
Alla loro comparsa si levò il boato festoso dei presenti, inneggianti nei loro confronti.
Usai tutta la mia concentrazione per non voltarmi ed andarmene, poiché ormai stavo realizzando di aver scoperto qualcosa di più grosso di quanto avessi immaginato.

I due si collocarono a fianco alla ragazza svenuta, mentre uno di coloro che l’avevano portata fin lì appoggiò un fazzoletto sul suo volto, facendole respirare qualcosa che dopo breve la fece riprendere.
Non appena ripresi i sensi, Lara mostrava spaventata e muoveva gli occhi intorno, cercando allo stesso tempo di liberarsi da ciò che la teneva stretta. Con voce tremante iniziò a supplicare di lasciarla andare, pregando ed implorando, piangendo e chiedendo pietà.
Ad un tratto i suoi occhi incrociarono i miei e, per quanto in penombra, ritengo avesse percepito la mia presenza, poiché faceva cenno con la testa di andarmene e la scuoteva in segno di diniego.
Il viso pareva contrarsi ora in un’espressione preoccupata, ora in una spaventata, mentre occasionalmente indugiava con gli occhi nella mia direzione, impegnata in un monito silente.
Carlo e Valeria ridacchiavano alle richieste della ragazza e la rassicuravano, con tono tetro, che presto sarebbe finito tutto e che non avrebbe più avuto motivo di preoccuparsi.
Lara prese allora a strillare di lasciarla libera, mentre Valeria la osservava con una smorfia di sufficienza sul viso. Con un gesto rapido appena colse la bocca aperta della giovane imprigionata, le lasciò scivolare tra le labbra una specie di fazzoletto ripiegato, che ben presto impedì la propagazione di suoni distinti.
A quel punto, tutti i presenti si inginocchiarono e rimasero in attesa. E così feci anch’io per non farmi scoprire.
Carlo rimosse dal viso il velo che gli copriva la parte inferiore del volto, ed insieme a Valeria si tolse la tunica di dosso.
Quel che vidi mi lasciò talmente turbato che balzai in piedi colto dal più profondo timore, quello che coglie chi percepisce la presenza di qualcosa di terribile ed inumano.

Carlo aveva il viso regolare fino agli zigomi. Gli occhi freddi svettavano su un naso regolare e l’ovale del viso era incorniciato da capelli crespi e neri. Ma laddove si sarebbe dovuta sviluppare la bocca, o esservi la mascella, la mandibola e le guance, era ora un orrendo squarcio largo quanto la distanza tra un orecchio e l’altro. La pelle era orribilmente scorticata e, disseccata, si era ritirata scoprendo quell’abnorme configurazione buia, in cui si intravedevano numerose file di denti sottili ed appuntiti, dall’aspetto inumanamente triangolare. Da queste file stillava una sorta di icore verdastra, mentre occasionalmente dardeggiava una lingua dal colorito rossastro, orribilmente allungata e dalla forma a spirale. Il corpo era straordinariamente muscoloso, ma insolitamente deforme ed asimmetrico. Il colore della carnagione era scuro, insano e tendente al livido. Le mani erano adunche e parevano artigli di bestia, del tutto inumane.
Sua sorella, invece, aveva il corpo interamente pallido e chiazzato di macchie dal colore malsano e di bolle purulente. Subito pensai ad una strana malattia, ma poi compresi subito che la situazione era ben diversa. In un terribile istante vidi che quelle ritenute macchie ritmicamente si aprivano e si dischiudevano, mostrando di essere in realtà tante piccole bocche, posizionate come le ventose su tentacoli.

Colpito da tutto ciò venni preso dal panico, mentre i due si avvicinavano alla sventurata Lara che nel frattempo aveva spalancato gli occhi in preda all’orrore più cupo.
Fu allora che decisi di fuggire, incurante di tutto e di tutti, inteso soltanto ad aver salva la vita e maledicendomi per essere finito in una tale situazione. In preda al terrore mi misi a correre lontano dalla villa ricolma di orrori e mi rifugiai tremante nelle strade.
La città mi osservava con freddezza, quasi volesse rimproverarmi per essermi fidato dei suoi abitanti, e si innalzava ovunque attorno a me, con una presenza incombente.
Rimasi fermo per un periodo indefinito, nascosto in una sorta di boschetto, aspettando che da un momento all’altro dalla casa uscisse qualcosa a cercarmi.
La mia mente era provata e continuava a mostrarmi la scena cui avevo assistito poco prima. Ogni volta che socchiudevo gli occhi, rivedevo il viso di Lara, con l’espressione ora spaventata, ora rassegnata e da ultimo il viso teso in una smorfia o gli occhi rivolti verso di me per invitarmi a fuggire e avere salva la vita.
Accovacciato in mezzo agli arbusti persi il conto del tempo e forse persi anche i sensi. Successivamente vagai senza meta nella città sonnacchiosa, che pareva deridermi per la mia follia.
Non so come, ma ad un certo punto mi ritrovai nell’hotel. Mi incamminai verso la stanza accompagnato dallo sguardo impietosito del portiere che vedeva in me un giovane di ritorno dai bagordi notturni.
Mi cambiai, misi sommariamente in ordine la valigia e mi incamminai al piano terra per pagare in fretta e velocemente abbandonare quella terra di misteri.
Ripercorsi con velocità la strada che mi portava in stazione, trascinando il mio bagaglio sul selciato.
Avevo camminato non molte ore fa in quello stesso viale insieme a Lara e l’avevo abbracciata ed ora che avevo assistito a quanto le era accaduto, non potevo trattenere un fremito di terrore.
Giunsi nei pressi della stazione, che si stagliava imperiosa sulla piazzetta, e mi guardava con fare di sfida, come se avesse avuto la conferma di una mia già prefissata sconfitta.
Ogni mattone sembrava irridermi e dire “Nessuno può sottrarre una donna di M** alla sua città: folle è chi pensa di poterlo fare e ritiene di poter fuggire come se nulla fosse!”.
Corsi nella sala, accompagnato dalla spiacevole sensazione di essere osservato e spiato da occhi indagatori. Forse avevo già sentito qualcosa di simile quando giunsi in tale luogo la prima volta, ma tutto questo era ora più forte e pulsava di una vivida ostilità.
Quasi in preda al panico fronteggiai la macchinetta dispensatrice di biglietti, pregando silenziosamente che mi consegnasse quanto mi serviva per tornare a casa subito.
Senza badare a recuperare il resto, mi mossi verso la sala d’attesa e mi accorsi di non essere solo.
Un uomo dall’aspetto miserevole stava dormendo coricato sulla panca in legno dedicata ai viaggiatori in attesa ed una figura in piedi si intravedeva fuori in attesa vicino al binario ferroviario.
Quando entrai nella stanza, l’uomo si voltò nella mia direzione, biascicando e ridacchiando.
“Arrivan… le maschere!” cantilenava con voce roca e sgradevole “ecco arrivan le maschere! Facciamo tutti un brindisi al Carnevale…” soggiungeva imitando con la rozza voce la musica allegra suonata dalla banda musicale della città. Si mise quindi a tossire e, svegliandosi del tutto, si mise a sedere. Accortosi della mia presenza spalancò gli occhi e si passò una mano annerita nei capelli dal color fangoso, quindi una smorfia di disgusto si dipinse sul suo volto “Esci, da qui! Non voglio uno come te… non qui vicino a me! Dannato, dannato!” affermò con tono infastidito e forse intimorito. Alzò la mano e la mosse nell’aria, quindi mi indicò la porta, guardandomi con una certa ostilità.
Allora uscii, per non avere altri problemi e mi spostai fuori.
Faceva freddo e l’aria non era piacevole. Inoltre il treno sarebbe arrivato solo molto dopo, così iniziai a scrivere gli eventi accaduti sul mio diario, davanti ad una tazza di cappuccino caldo.
Seduto al tavolo di un bar, mentre l’alba rischiarava la città, mi sembrava di essere meno in difficoltà della sera prima e mentre la stazione andava riempiendosi di persone, pendolari e studenti, mi sentii lentamente iniziare a crescere in me un po’ di coraggio.
Attesi il treno con impazienza e guardai un’ultima volta le torri che svettavano come una corona sulla città ammantata di una luce rossastra, mentre salivo rapidamente sul mezzo per ritornare nella mia città. Presi posto a sedere, trassi un sospiro di sollievo e continuai la mia opera.

Qualcosa non va. No, non è possibile. Quella figura. Lei… sembra Lei… ma come è possibile… non l’ho vista salire. No, ora devo andare, non possono avermi. Non devono avermi. Devo fuggire, scendere alla prima fermata e correre dalle forze dell’ordine. Sapranno proteggermi. In caso…

“E così si conclude” disse l’agente al suo superiore “la frase è interrotta e c’è solo una macchia di inchiostro. Le pagine sono spiegazzate perché il deceduto le ha strette in mano mentre ha avuto un attacco di cuore. Secondo me e secondo il medico, è possibile che abbia esagerato con i bagordi e questo l’abbia fatto sentire male. Forse qualche droga. Sappiamo come vanno queste feste… tutti casa e chiesa e poi si rovinano con pasticche! E ci scappa il morto…”
“Non so. Qualcosa non mi convince. Perché allora è stato trovato in quella strana posizione? Perché ha ancora provato a scrivere qualcosa? Come mai sul sedile c’era una specie di martello giocattolo? E che significa quell’espressione di puro terrore che aveva in volto?” rispose l’altro.
“A mio parere nulla… forse faremmo meglio a chiudere qui le indagini ed inviare la relazione al Pubblico Ministero, così che si possa archiviare questa brutta faccenda.”
“E chiedere l’intervento di Ingrid?” propose un terzo.
“Non saprei, lei ed i suoi sono così… esaltati… vedono mostri e demoni ovunque.” rispose il primo, sogghignando “E la stampa è sempre pronta a riderci dietro per queste loro… fantasie…” concluse, riponendo il diario in una busta e apponendovi il sigillo di chiusura, mentre gli altri due assentivano col capo.

FINE.

(Foto di copertina: Lorenzo Barberis, “Il carro vuoto”, 2013).