Il corpo crudo di Valeria Bianchi Mian

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Il corpo crudo (Edizioni del Capricorno, Piemonte in Noir 2023 per La Stampa)

Recensione di Fabrizio Ago

Cosa può mai essere successo di tanto efferato al n.105 di via Ormea, a Torino, una via peraltro tranquilla, abitata da gente ammodo, senza la confusione della parte più a nord di San Salvario, con i suoi mille affollati e chiassosi locali aperti fino a tarda ora, e la forte presenza di extracomunitari che fanno un po’ storcere il naso ai tradizionali abitanti borghesi? Il palazzo è uno dei più eleganti della strada, dai balconi finemente decorati a stucco, con putti danzanti tra lussureggianti foglie d’acanto, le finestre ornate da ghirlande e grandi stemmi araldici, e la rinomata macelleria Olmotti al piano terreno. Certo, i paurosi mascheroni pagani e i rapaci che costituiscono le altre decorazioni della facciata, insieme al mormorio che da qualche tempo si è andato diffondendo tra gli abitanti, dovevano pur aver lasciato supporre che non tutto risultasse limpido tra quelle mura.

Se poi all’orrendo delitto che vi verrà consumato al primo piano, aggiungiamo le ripetute aggressioni a ignari passanti da parte di un animale feroce, forse un lupo, un lupo mannaro che spalanca le fauci ululando alla luna e terrorizza l’intero quartiere, l’atmosfera si fa veramente cupa; perfetta come sfondo per questo singolare giallo, di Valeria Bianchi Mian, della serie Piemonte in Noir, Edizioni del Capricorno.

Protagonista e vittima sacrificale è Bruno Sirio, un fotografo di grido molto pieno di sé, che si fa chiamare nientemeno che ‘Dio+’, intollerante alle relazioni sentimentali, tanto da vedere solo piombo fuso nel luccichio del desiderio delle giovani donne che vorrebbero avere una relazione fissa con lui.
“Incurante della pioggia che, irridente e appuntita, gli solleticava la pelle nuda delle braccia e il volto, Dio+ si beò dell’energia temporalesca che si era infine decisa a invadere Torino (…). Si era tuttavia svegliato in preda al timore di un pericolo incombente.”
E in effetti il libro si apre proprio sulla macabra scena di un delitto, con lui, Bruno, che viene trovato privo di vita, probabilmente ucciso da un disgorgante da cucina fattogli ingozzare a viva forza. Il suo cadavere, atrocemente mutilato, è poi stato abbandonato là nel suo studio, nudo e legato a un pesante mobile, sotto una gigantografia porno, con alcuni dettagli anatomici, che attraggono lo sguardo degli agenti venuti a investigare, più che la stessa straziante immagine della vittima.

La Bianchi Mian, che in fondo è una masca benevola, uscita da un Medio Evo aggraziato e magico, non può indulgere troppo su scene macabre; così con eleganza distoglie l’attenzione del lettore, a tratti immergendolo nell’atmosfera boschiva ricca di anfratti del parco Leopardi, che si veste in ogni stagione di colori brillanti; a tratti portandolo a seguire il volo di una zanzara, che si poggia proprio su quella gigantografia porno, o quello di una farfalla cui viene attribuito un ruolo premonitore. Sì, perché il libro è ricco di presenze animali, quasi salvifiche, che danno persino il titolo ai vari capitoli; altra caratteristica che subito salta agli occhi.
La scrittura risulta scorrevole ed elegante, capace di catturare l’attenzione del lettore, benché concentrata quasi esclusivamente su pettegolezzi di quartiere e, soprattutto, su quanto avviene all’interno del condominio di via Ormea 105, attardandosi su coinvolgenti paesaggi interni, fino a lasciarlo sopraffatto dall’acre e nauseabondo puzzo di detersivo che quotidianamente ne satura le scale.

Subito dopo il ritrovamento del cadavere viene ovviamente proposto al lettore di fare un passo indietro, per svelargli come l’assassino/a sia arrivato a compiere quell’orrendo delitto.
Si parte dalla presentazione della sua ‘quasi fidanzata’, Maristella, che non può esserla a tutti gli effetti, anche se lui non disdegna di vedere come si trasformi ogni volta “in una tigre del materasso”. Il punto è che il suo amor proprio ne risentirebbe troppo ad avere un legame fisso; finirebbe per perdere il suo carisma e la sua libertà. Così lei, devota sacerdotessa dell’amato, può solo accontentarsi degli scampoli di attenzione che le vengono concessi, a dispetto dei ripetuti consigli dell’amica Dorina, neo laureata psicologa, che vorrebbe vederla liberata da quell’amore tossico, e che di continuo le suggerisce di ribellarsi: ”Qui ci va una psicoterapia, ecco quel che ci va”.
Lei nel frattempo diviene sempre più ossessiva, gli manda messaggi romantici di notte, incombe di continuo con meschine necessità, tanto da far dire all’amica: “Hai così tanto odio dentro di te che potresti davvero eliminarlo, ma non ne hai il coraggio!”

Altro interessante personaggio che viene presentato, sempre con leggerezza, è la seconda moglie del padre di Bruno, Greta, decisamente più amante che matrigna, anche un po’ perversa, tuttora attraente, malgrado gli anni, e gli scarsi risultati dei vari lifting cui si sottopone di continuo. È lei che lo ha introdotto nel giro dei fotografi di grido; lei che gli fa da agente e che lo considera un po’ di sua proprietà. Ora, sentendolo sfuggire, aveva pensato di riportarlo a sé, covando fantasie romantiche, facendolo tornare a vivere con lei.
Poi però conosce un architetto, cinquantenne brizzolato, l’occhio blu scuro… “E proprio adesso che abbozzavo i primi passi di una nuova vita, lui viene a farmi il diavolo a quattro per convincermi ad accettare il suo trasloco…”. Si sente comunque al centro esatto del tempo e dello spazio, “sovrana senza età nell’universo dei quanti.”

Vi sono poi altre figure femminili da ricordare, come la prosperosa signora Olmotti, moglie del macellaio un po’ invadente, cui non dispiacerebbe riuscire a intessere un rapporto più consistente con il Dio+, e che cerca scuse per intrufolarsi in casa sua. “Sei di fretta? Non ce l’hai un minutino per Filomena, eh?”
O la figlia di lei, Ambra, convinta vegana, che considera i genitori dei tremendi assassini di creature senzienti. “E io sono complice, complice! Perché sono figlia vostra!”. In un sorta di sua personale crociata, li scongiura di chiudere la macelleria, e di aprire al suo posto una bella drogheria, ove dispensare piatti vegetariani, preparati solo con materie prime biologiche e a chilometro zero.
Ma anche delle apparizioni sporadiche, come la proprietaria della Libreria Trebisonda, “taglio corto sale e pepe, aria sveglia ed efficiente”.

Venendo ai personaggi maschili, vi è innanzi tutto il macellaio Olmotti, che passa le serate a vedere il programma: ‘Scienza per tutti’, o a sfogliare cataloghi di banconi da negozio;, sensibile alle rimostranze della figlia, inizia a guardare con tremolante certezza la sua abituale attività di squartamento di tanti poveri animali.
“Abbozzò un’imprecazione mentre si alzava con rabbia dal water… Da quando Ambra lo chiamava assassino, qualcosa si era mosso in lui e aveva cominciato a vedersi diverso (…). Il suo sguardo incappò in quello, triste e vitreo, nonché, così gli parve, giudicante, di un maiale decapitato che attendeva il proprio destino sopra un tavolo di marmo.“

E infine vi è lui, il biondino Michele, figlio della colf della famiglia Sirio, diventato poi tuttofare della macelleria. I due sono cresciuti insieme; malgrado le continue angherie di Bruno, hanno stipulato un patto di sangue, compiuto insieme avventurose scorribande nel parco, e la loro potrebbe anche venir considerata una vera complicità e amicizia, che dura anche quando sono uomini fatti, benché ovviamente a Bruno spetti sempre il ruolo di maschio ‘alfa’.
In una recente serie di autoscatti del Dio+, esposti in una Galleria, viene presentata ad esempio una scena di lotta tra loro due, seminudi e prestanti, con Michele che ha la meglio, ma che poi si rilassa, per lasciare che sia l’altro a primeggiare.
Li si può poi immaginare seduti su di un divano, al termine della performance, ancora seminudi e accaldati, a riposarsi e a sgranocchiare noci, sino a quando Bruno dice all’amico: “Ci vediamo giovedì. Scusami. Adesso ho bisogno di staccare.”

Crescendo lui ha però un problema con le ragazze; mentre Bruno, pur figo e stronzo, riscuote sempre successi; a lui le avances finiscono sempre per concludersi con esiti disastrosi. Deve poi occuparsi della madre, ancora forte ed energica, ma malata di Alzheimer, che passa le giornate a vedere soap opere brasiliane. Gli capita persino di lasciar volare via i giorni, senza aver realizzato nulla per se stesso. Finisce così per socializzare solo con il cane dei Sirio, un lupo cecoslovacco, con cui sogna di poter un giorno sparire tra mare e foreste selvagge. Per lui la bestia e l’uomo hanno in fondo molto in comune.

Il resto, ricco di spunti, che per brevità non vengono qui riportati, è ovviamente tutto da scoprire.

Diverse sono le piccole citazioni di via Ormea e dei sui palazzi, dove peraltro l’Autrice abita. Ed ecco, che in una sorta di inserto personale, al palazzo di fronte al civico 105 “appare una donna, dai capelli rossi, che se ne sta fuori al fresco, a digitare un messaggio sul telefonino, mentre i lunghi capelli rossi s’ingarbugliano davanti al suo viso”.

Non manca poi la citazione della fiaba di Cappuccetto Rosso, un must per lei, che coglie l’occasione per svelarvi alcuni di quelli, che tra gli psicoterapeuti vengono definiti: “I mille volti di Cappuccetto Rosso”. È d’altra parte operazione comune che narratori e drammaturghi decidano di raccontare questo mito consolidato, pur con differenze notevoli e secondo punti di vista inediti, per disvelarne i sottintesi nodi psicologici o esplicitarne i tabù più nascosti, con il lupo che non è un vero animale, ma la belva che abita le terre della ferocia inconscia di noi umani.
Il brano che tuttavia mette maggiormente in evidenza l’amore di Valeria Bianchi Mian per gli animali, è quella della scena che si svolge all’interno di un canile.
“Un pastore tedesco con tre zampe e quattro mesi circa di età gli si avvicinò zoppicando… «Nessun pedigree, ma tanta bellezza, dico io», decretò la donna. «Anche lui troverà qualcuno che gli vorrà bene, vero zoppetto?»”

Il lupo, come animale, ma anche come simbolo sciamanico o allegoria di una nostra perversione umana, è molto presente nel libro, a partire dalla stessa copertina.

Si passa quindi all’animale troppo disinvoltamente reintrodotto nel territorio; allo stesso cane con cui gioca Michele, che è un lupo cecoslovacco; fino al citato sfortunato personaggio della fiaba di Cappuccetto Rosso.
Quanto al lupo mannaro, che terrorizza il quartiere, non se ne può qui rivelare di più, per non rovinare il delicato ‘coup de théatre’ che la Bianchi Mian ha messo in serbo per il lettore. Si può solo precisare come quelle che lo concernono siano pagine scritte con un diverso carattere, e come, per il loro garbo, meritino di venir assaporate lentamente.
Il testo, accattivante come accennato, è infine disseminato di piccoli indizi, come la visita a un museo, o le puntualizzazioni su determinati caratteri dei personaggi che circondavano il Dio+, ognuno con suoi particolari tic e perversioni, rancori rimasti troppo a lungo sopiti, intricati intrecci sentimentali. D’altra parte risente della professione di psicoterapeuta dell’Autrice, proponendosi a tratti con linguaggio ‘crudo’, come riportato nello stesso titolo, ma il più sovente umoristico.

Ciò che però preme precisare, qui in conclusione, è come tutti questi indizi, se non presi troppo alla leggera, possano anche portare lo stesso lettore a risolvere l’enigma, prima di giungere all’ultima pagina. Si tratta di una bella sfida da parte della Bianchi Mian, e di un suo autentico tocco di bravura.
E il lupo mannaro? Le sue non sono in definitiva aggressioni pericolose, tali da mettere in serio pericolo la popolazione. La bestia si limita a dar piccoli morsi sul braccio, o ai polpacci delle sue vittime, senza alcuna colluttazione, per poi subito dileguarsi. Così un giornalista divertito, registra la disavventura di un signore di mezza età: “L’uomo ricorda lo stupore, il dolore, le fattezze della ‘cosa’ pelosa che ringhiava e si agitava sbavando. Ma che cosa ci facesse quel tale in giro alle tre di notte non è chiaro.”

Una televisione locale avanza persino l’ipotesi che si tratti di una burla ben congegnata per la notte di Halloween.

La bestia “che arranca a quattro zampe, ma deve assolutamente evitare le scalinate, in quanto si sa che i gradini si rivelano ostacoli per i licantropi”, continua in ogni caso a manifestarsi ancora oggi e ad aggredire ignari passanti a ogni plenilunio.

Fabrizio Ago è nato a Torino nel 1947. Ha lavorato nel settore museale in Italia e all’estero. Scrive romanzi avventurosi che mettono l’arte al centro delle storie.

Valeria Bianchi Mian  psicologa e psicoterapeuta, psicodrammatista junghiana specializzata presso l’Istituto COIRAG di Torino. Dal 2000 utilizza i Tarocchi e altri mediatori psichici in laboratori espressivi con lo Psicodramma e la scrittura creativa; il suo metodo si chiama Tarotdamma®. Docente per Psicologia.io, piattaforma per la quale cura anche un salotto letterario, e per PoesiaPresente Lab. Conduce corsi e laboratori di scrittura terapeutica con Golem Edizioni ed è ideatrice e co-conduttrice del progetto di Poetry Therapy “Medicamenta – lingua di donna e altre scritture”. È socia di ARAGIP Psicodramma e Referente Piemonte SIPSIOL, Società Italiana Psicologia Online, e OSA – Oltre la Sperimentazione Animale. Scrittrice e illustratrice: tra i suoi libri – “Favolesvelte”, “Non è colpa mia”, (Golem), “Vit(amor)te. Poesie per arcani maggiori”, (Miraggi), “Il corpo crudo”, Piemonte in Noir (Capricorno, La Stampa), “Psicoporno, 12 racconti alla ricerca di Eros” (Buendia Books). Tra le antologie e i saggi – “Utero in anima”, (Lythos); “Amori 4.0”, Alpes Italia; e altri. Ha curato “Maternità marina” (Terra d’ulivi) ed è coautrice in varie antologie poetiche, l’ultima delle quali si intitola “Bestie, femminile animale” (Vita Activa Nuova APS).Redattrice per Versante ripido, con una rubrica dedicata a Note Psicopoetiche, e Oubliette Magazine, sito di cultura per il quale scrive diTarocchi e simbologia. Scrive anche su Psiconline e siti web culturali. Il suo sito: http://www.tarotdramma.com.

(Articolo a cura di Silvia Rosa)