Visioni dal confine ultimo.

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ATTILIO IANNIELLO

Il regista Remo Schellino presenta il suo ultimo lavoro “Andare all’Altro Mondo”: «Questo film, che chiude la trilogia legata al nascere al vivere e al morire, è un viaggio in Italia che svela, in parte, il rapporto di noi italiani con la morte», scrive Schellino. «La morte raccontata nella circolarità della vita, come un’uscita dal mondo e un’entrata in un altro mondo. Nulla si distrugge del tutto, si esce di scena. Si va in un’altra stanza.
Riti, racconti, testimonianze e conversazioni legate alla fase finale del nostro vivere».
In effetti il regista dopo “Venire al mondo. Le levatrici nel ‘900, un mestiere di donne” e “Stare al mondo, per scelta o per destino”, film che raccoglie il racconto di vita di sette donne [1], chiude la sua ricerca filmica sull’esistenza, sulla vita, con “Andare all’Altro Mondo. Riti, credenze, pensieri e conversazioni”.

Certamente un trittico sull’esistenza umana non poteva concludersi se non parlando della morte, un tema particolarmente profondo, coinvolgente e allo stesso tempo evitato, rimosso da un numero crescente di persone.
Intorno alla morte sono sorti, a partire soprattutto dalla seconda metà del XX secolo, interessanti studi antropologici, psicologici, sociologici, storico-filosofici, per non parlare poi dell’interesse della medicina per il fine vita. Tuttavia tale interesse rimane d’élite mentre il contesto sociale generale fa di tutto per rimuovere il tema dalle normali riflessioni sull’esistenza. Da avvenimento biologico e naturale, la morte diventa qualcosa da esorcizzare, da nascondere, anche se, in particolari circostanze, per esempio la morte di un personaggio importante, i mass media ne esaltano i dettagli, per certi aspetti rendendola spettacolo tra spettacoli.

Questa rimozione viene sottolineata con lucidità da Philippe Ariès nel suo saggio “Storia della morte in Occidente: dal Medioevo ai giorni nostri” (Milano, 1978) quando, per esempio afferma: «Nel XIX secolo era dappertutto presente: cortei funebri, abiti da lutto, estensione dei cimiteri e della loro superficie, visite e pellegrinaggi alle tombe, culto della memoria, ma questo eloquente scenario di morte si è dissolto nell’epoca nostra, e la morte è divenuta l’innominabile. Ormai tutto avviene come se né io, né tu, né quelli che mi sono cari, fossimo più mortali» (pag. 75). Persino il lutto, il dolore in una società consumista, edonista diventa un tabù, un atteggiamento riprovevole, come sempre Ariès nel suo saggio sottolinea: «Una causalità immediata salta subito all’occhio: la necessità di esser felici, il dovere morale e l’obbligo sociale di contribuire alla felicità collettiva evitando ogni causa di tristezza o di noia, dandosi l’aria di esser sempre felici, anche se si tocca il fondo della desolazione. Mostrando qualche segno di tristezza, si pecca contro la felicità, la si rimette in discussione, e allora la società rischia di perdere la sua ragion d’essere» (pag. 74).

Remo Schellino guarda oltre questo imposto silenzio sulla morte, e con la sua macchina da presa va alla ricerca di riti, riflessioni, credenze sull’Andare all’Altro Mondo, mettendo in gioco se stesso, in primis, e certamente tutti coloro che sapranno guardare il suo film.
“Andare all’Altro Mondo” è un viaggio sul confine ultimo dell’esistenza, una sorta di percorso iniziatico dove ad ogni tappa ci si arricchisce di un valore, di una conoscenza nuova, di una piccola risposta alla nostra sete d’essere; ed è anche un vero e proprio viaggio attraverso città e paesi in diverse regioni italiane.
Sono dodici le tappe del percorso, quasi ad indicare una completezza (i mesi dell’anno, le costellazioni, e così via) non chiusa in se stessa ma dinamicamente circolare tanto che il film inizia con una citazione tratta dal libro di Tiziano Terzani e Folco Terzani “La fine è il mio inizio”: «Tutto quello che nasce muore e tutto quello che muore nasce. L’inizio è la mia fine e la fine è il mio inizio. Il tempo è circolare».
Dodici tappe, cinque dedicate a pensieri e conversazioni e sette a riti e credenze.

Per correttezza sottolineo che l’articolo che segue vuole solamente raccogliere per cenni le suggestioni, i rimandi letterari, filosofici, e non solo, che la visione di questo film ha suscitato in chi scrive.
Sulle rive del Po a Torino inizia il viaggio, precisamente ai Murazzi. Il fiume scorre indifferente e lo sguardo del regista ne coglie le sponde, la prima collina torinese, il Monte dei Cappuccini, dove i frati seguono ancora le orme di colui che per primo cantò le lodi del creato chiamando la morte sorella. Qui si incontra la giovane dottoressa Maddalena Albera, laureatasi con una tesi sulla morte digitale.
L’uso quotidiano del web e, per esempio, dei profili Facebook fanno sì che le persone lascino all’interno della Rete una quantità considerevole di informazioni riguardanti la propria vita. Informazioni che possono rimanere anche dopo la morte dei detentori dei profili, una sorta di “immortalità digitale” che in qualche modo affascina, anche se, aggiunge Albera, non verrà mai meno la necessità di un contatto fisico con i nostri cari defunti attraverso, per esempio, la visita alla tomba, l’accarezzare la foto sulla lapide e così via.
Forse nei confronti del digitale dovremmo accogliere la messa in guardia del filosofo Byung-Chul Han: «Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale. Niente è più attendibile e vincolante, nulla offre più appigli» [2].

Tuttavia è proprio il viaggio, i diversi luoghi toccati dalla ricerca di Schellino che ci introducono in un reale dove terra e cielo si uniscono senza confondersi l’una nell’altro.
Sono i paesaggi dei riti e delle credenze dall’Alta Langa di Paroldo alle argille di Pisticci, da Barbagia e Gallura alle pendici dell’Appennino irpino, dalla provincia torinese alle terre foggiane.
Emerge con forza il ruolo delle donne, la cura delle stesse per il morto attraverso il lavaggio, la vestizione, il canto funebre, la preparazione del cibo da condividere tra i parenti e amici nel corso della veglia funebre, la chiusura simbolica e rituale dell’ombelico. Anche la figura dell’Accabadora, a cui è dedicato un museo a Luras (SS), ci interpella attraverso testimonianze e la danza ipnotica dell’Associazione culturale olistica “Kerkos”.
Segni di intere piccole comunità che attraverso ritualità ancestrali e valori umani vissuti partecipano collettivamente agli eventi sia gioiosi che, come in questo caso, dolorosi, salvaguardando inoltre la loro cultura.
Ed allora tutto appare nella sua vera essenza; i riti, le credenze sono certamente elementi importanti di spiritualità e di desiderio di preparare al meglio colui o colei che partono per l’ultimo viaggio, quello per l’Altro Mondo, tuttavia sono manifestazioni di solidarietà collettiva a chi resta, al suo dolore, manifestazioni in qualche modo di celebrazione della vita anche in uno scenario di morte.

Il regista al lavoro

Il regista al lavoro

Remo Schellino ha saputo raccogliere in un’ammirevole unità d’insieme non solo le testimonianze di riti e credenze per la maggior parte ancora vivi ma anche i pensieri di alcuni protagonisti della vita culturale del nostro Paese.
A Castel Boglione nell’Astigiano si incontra la teologia di Enzo Bianchi, che con semplicità ripercorre non solo la sua storia familiare e personale, ma presenta brevemente il suo ultimo libro “Cosa c’è di là. Inno alla vita” dove, tra l’altro si legge: «Noi non possiamo pensare alla vita senza pensare alla morte, così come non possiamo pensare alla morte senza pensare alla vita. Tuttavia in questo nostro pensarle insieme ci chiediamo anche chi avrà l’ultima parola, la morte? O questa sarà sopraffatta da una potenza più forte di lei che dimora in noi? Non possediamo certezze, eppure questa speranza come un lampo, a volte come una convinzione attraversa i nostri pensieri e i nostri sentimenti. Soprattutto la vittoria della vita nella morte s’intravede quando viviamo il miracolo dell’amore» [3].
Tenere presente il limite, la morte, verso cui andiamo, non deve renderci tristi, al contrario dovrebbe accendere ancor di più la nostra vita stessa scegliendo di essere grati per tutto ciò che ci dona.
Una scelta di felicità direbbe il filosofo Roberto Mancini: «Perché mediante tale scelta si aderisce alla pienezza della vita e si scopre che la felicità stessa non è mai gratificazione egoista, ma è vita equa, generosa e sensata. Vita condivisa con gli altri e armonizzata con il creato» [4].

Dall’Astigiano si passa poi nell’Appennino pistoiese dove a il regista incontra Folco Terzani in quella che fu l’ultima dimora di Tiziano, suo padre. Una dimora semplice, spartana, una sorta di ashram nei boschi di Orsigna. Qui Tiziano ha avuto modo di dialogare col figlio Folco nel corso degli ultimi suoi mesi sul senso della vita, sulla circolarità del tempo come è vissuto dalla natura, sulla capacità di vivere concentrandosi sul “perennialismo” sulle cose eterne, sulla consapevolezza di cosa significa chiudere il cerchio della vita. Un atteggiamento che risuona nel paragrafo 21 del Dhammapada: «La consapevolezza ricettiva apre alla vita / la fuga nella distrazione / è un sentiero di morte / chi è consapevole è totalmente vivo / chi è distratto / è come fosse già morto» [5].

La coscienza della morte se apre panorami spirituali religiosi o laici, apre anche ad interessanti conoscenze scientifiche. Queste ultime ci vengono presentate in un paesaggio innevato: sullo sfondo i calanchi di Clavesana e più vicino lo scorrere del Tanaro sulla cui superficie scivola una foglia. Su questa riva il dottor Mauro Milanesio, studioso delle esperienze di premorte, racconta con semplicità e rigore scientifico le trasformazioni chimico-fisiche che accompagnano colui che si trova sull’ultimo confine dell’esistenza.
Un racconto affascinante, una descrizione minuziosa dei fenomeni che precedono la morte vera e propria, come, per esempio, le visioni di luce, il vedersi dall’alto come se si fosse fuori dal corpo, la visione in un istante dell’intera propria vita.
Mauro Milanesio ferma il discorso scientifico sulla soglia della morte vera e propria, oltre non si può andare se non cambiando registro, se non cercando in un linguaggio altro, come la poesia, una bozza di risposta. La nostra vita è come una goccia di pioggia che cade dal cielo e che come goccia certamente sparisce nel fiume o nell’oceano, ma come acqua diventa il fiume, diventa l’oceano.
Questo diventare fiume, diventare oceano, metafora di una sorta di vita fuori dal tempo, di eternità, possiamo declinarlo, comprenderlo pienamente nell’intelligenza del cuore oppure anche in altri orizzonti?
Troviamo un cenno di risposta a questa domanda nelle parole del filosofo Massimo Cacciari. Remo Schellino lo incontra a Milano nel santuario di San Bernardino alle Ossa.
In chi non ha prospettive religiose ultraterrene il bisogno di eternità si manifesta nel «bisogno di fare cose eterne», di vivere intensamente nel fare cose buone, nell’avere un buon rapporto con gli altri. Nel “fare cose buone” c’è traccia d’immortalità, donata a tutti.  «Non si muore, è assurdo pensare alla morte come qualcosa che pone fine o che è oltre alla vita.  Si muore vivendo». Nonostante la difficoltà del “mestiere di vivere”, è nell’apertura all’altro, nella solidarietà, nella capacità di vivere una speranza collettiva di cambiamento, che si è radicalmente vivi, direbbe Ernst Bloch [6].

Il viaggio è terminato; Remo Schellino, e le persone che ha incontrato, con le loro esperienze, racconti, riflessioni, rivelano la morte, ma rivelare vuol anche dire rimettere il velo.
Rimane il mistero della morte ma rimane ancor di più l’amore per la vita; allora il film “Andare all’Altro Mondo” si conclude con un canto. È il cantautore Andrea Parodi ad abbracciare con la sua voce e musica quanto è stato detto, visto prima.
Dopo i titoli di coda appare una scritta: «Andrea Parodi muore il 19 ottobre del 2006. Secondo il desiderio da lui espresso, nel corso della cerimonia funebre ha avuto luogo anche il battesimo di sua figlia Lara».
La fine e l’inizio.

Note:

[1] La cuoca del Presidente Einaudi, un’emigrata dalla Calabria negli anni ’60, una vedova di un disperso in guerra nel 1943, una maestra diventata primo Sindaco donna in Piemonte, una staffetta partigiana, una suora, la titolare di un dancing.

[2] Byung-Chul Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Trino, 2022, pag. 6.

[3] Bianchi Enzo, Cosa c’è di là. Inno alla vita, Bologna, 2022, pag.33.

[4] Cfr. Mancini Roberto, Utopia. Dall’ideologia del cambiamento all’esperienza della liberazione, San Pietro in Cariano (VR), 2019, pag. 76.

[5] Il brano del Dhammapada, antico testo buddhista, è citato in Candiani, Chandra Livia, Il silenzio è cosa viva, Torino, 2018, pag. 106.

[6] Si veda L’utopia della vita compiuta: Ernst Bloch; in particolare il paragrafo Oltre la morte, in Mancini Roberto, Filosofia della salvezza, Macerata, 2019, pp.190 – 200.

La prima assoluta della proiezione del documentario “Andare all’altro mondo. Riti, credenze, pensieri e conversazione” di Remo Schellino si terrà martedì 4 luglio 2023 alle ore 21,00 presso il parco del Castello di Rocca de’ Baldi. Manifestazione organizzata dal Comune di Rocca de’ Baldi, dal Castello Museo di Rocca de’ Baldi e dal Comizio Agrario di Mondovì.

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