Viaggio letterario in Val Bormida

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MANUELA ZANOTTI

Fatta una sola eccezione un paio di anni fa (prima della pandemia), avevo visto la Val Bormida solo dal treno, di passaggio.
Quest’oggi ci sono tornata. Madre e figlia sulle orme di alcuni scrittori…
Il primo paese toccato è stato Camerana.
Attratte dal sottile castello dall’altissima torre, abbiamo raggiunto il centro storico del paese, in alto.
La chiesa parrocchiale era aperta: opera dell’architetto Francesco Gallo è una chiesa molto luminosa, grazie alle ampie finestre poste al di sopra del cornicione. Un buon barocco piemontese, all’interno chiaro e delicato, soffuso di tenui colori, molto mariani. Poco lontano, l’ex chiesa dei Battuti, adibita ormai ad uso profano con la vecchia facciata in matto-ni, e, come due palpebre ammiccanti in uno sbadiglio, a mezz’altezza, le tapparelle anni ‘60 di due finestre.
Per ora mi manca uno scrittore per questo paese…
Sulla vicina Saliceto si sono invece versati fiumi di inchiostro e questa è la patria di Guido Araldo, che ha scritto molto sugli affascinanti misteri del luogo, ma pure di Giorgio Baietti, nato nella vicina Cairo Montenotte, nei cui scritti, assieme ai misteri della Val Bormida ligure, Saliceto ci fa la sua bella figura con sotterranei da brivido e preti assassinati (Giorgio Baietti: “Buio come il vetro”, “I guardiani del tempo”).
Ma stavolta la meta era Monesiglio, patria della scrittrice Maria Tarditi. Abbiamo quindi seguito la valle in direzione di Gorzegno e Cortemilia…luoghi per me, pur avendo girato mezzo mondo, ancora immersi nelle pieghe dello sconosciuto.
Ai tempi dell’infanzia di mia madre, anche se nata e cresciuta a Murazzano, un paio di colline più in là, erano luoghi lontani, di cui si sentiva appena parlare da chi ci andava per commercio, o saliti alla ribalta come nel racconto fenogliano “Un giorno di fuoco”, quando da oltre la collina arrivavano solo il vento, le notizie e talvolta anche gli spari…

casa Tarditi a Monesiglio

casa Tarditi a Monesiglio

Il bel castello e la chiesa parrocchiale di Monesiglio erano inaccessibili per lavori, ma la casa natale della scrittrice è stata una bellissima sorpresa: un piccolo “museo di Langa” sempre aperto ai visitatori.
Così, varcata la porta e cercando di adattare gli occhi alla semioscurità abbiamo visto la stalla, luogo di lunghe veglie invernali, dove oltre alle povere sedie c’era anche una mac-china da cucire per non perdere tempo, e lavorare durante la vijà.
Qui, in questo luogo buio ed angusto, umile come la stalla di Betlemme e preceduto da un vero ‘cesso’ diviso dal resto della stalla da una porta di legno, hanno preso vita le bellissime “Storie di Masche” che intessono il paese e i suoi dintorni di mistero.
Già scendendo da Sale Langhe verso Bormida, siamo scivolate indietro nel tempo, lasciandoci alle spalle le preoccupazioni e le angosce dell’oggi, ma entrare nella casa museo della Tarditi, è stato come entrare in un mondo non solo suo, ma dei molti miei avi di Langa.

una stanza di casa Tarditi

una stanza di casa Tarditi

Una scala stretta e ripida, come quella del paradiso, portava alla cucina e al tinello con la parca mensa dai piatti spaiati, un vecchio divano, i soffitti bassi, le immaginette alle pareti. Dalla cucina, un’altra scala di paradiso conduceva ad altre due stanze, con i vecchi letti, la coppia dei canterani, un paio di pantofole messe in ordine su uno scendiletto, altre sacre immagini alle pareti.
Vaghi ricordi della casa di Nonna a Murazzano, con quel lavabo ad angolo a metà scala…
Mi è però spiaciuto non vedere il granaio dove la scrittrice, da bambina, era andata a dormire una notte per far posto nelle stanze a parenti arrivati dalla Liguria …
“…tra il ciarpame eterogeneo, c’era una brandina di tipo militare, malandata, con i cordini sfilacciati e la tela frusta, tutta macchiata. In mancanza d’altro, nei casi di sovraffollamento, serviva da letto di fortuna per noi bambini. Io non ci dormivo volentieri. Perché, oltre allo squallore dello stanzone, c’era un grosso svantaggio. L’interruttore della luce era piazzato accanto alla porta, lontano dalla branda. Dopo averlo spento, dovevo attraversare a tentoni tre lunghissimi metri per raggiungere il giaciglio…” (Maria Tarditi, ‘Storie di Masche’) ed aveva trascorso una notte di terrore perché le avevano raccontato che le lucciole erano …gli occhi delle masche!
“…rannicchiata sotto la coperta, recitai distrattamente, e di corsa, le orazioni. Con gli occhi chiusi. Avrei fatto bene a tenerli chiusi. Invece, come spesso succede, li aprii nel buio. Che proprio buio, ahimé! non era. Due occhi di masca palpitavano nell’angolo vicino alla porta del solaio. Eccole!!!, pensai. Mi prese il terrore. Lo spavento che non si può descrivere, che ti blocca il cuore e il respiro, ti strizza il petto in una morsa d’acciaio e ti accende il cervello. Non ero capace di muovere, non dico un dito, ma nemmeno le palpebre. Tenevo gli occhi sbarrati. Più morta che viva…”
Abbiamo lasciato la casa che aveva l’odore della povertà, ma anche evocatrice di una vita semplice, se pur difficile, con il proposito di leggere “Un’infanzia felice”, dove senz’altro questa casa parlerà ancor più di quello che ha già parlato con le sue anguste stanzette e le ripidissime scale.
Abbiamo raggiunto l’auto parcheggiata davanti alla vecchia filanda e qui altre storie di masche, come quello delle filandaie che erano ospitate dalle suore alla Scaffa (credo fosse in quei paraggi) …ma qui c’è l’incontro con un altro filo narrativo, con un altro mondo, quasi agli antipodi, come due venti che arrivano da direzioni opposte a sollevare nuovi profumi: è quello di Gianni Farinetti, che ha ambientato in questa parte di Langa il romanzo giallo “Rebus di mezz’estate”.
Ho intravisto la biblioteca, ricavata nei vecchi edifici industriali, e mi è tornato alla mente un personaggio completamente diverso da quelli che si radunavano nell’angusta stalla di casa Tarditi a fare la veglia.
Nel giallo di Farinetti, la scrittrice di libri di giardinaggio Ione Ramasco, intellettuale dal carattere alquanto spigoloso, scende a presentare il suo libro nella biblioteca di Monesi-glio, che l’autore stesso ricorda esser stata ricavata nella vecchia filanda…
Intanto, su suggerimento della gentile signora cui abbiamo chiesto informazioni sulla chiesa parrocchiale e sulla casa della scrittrice di Monesiglio, siamo scese fino al bellissimo Santuario di origine romanica di San Biagio, o Santa Maria dell’Acqua Dolce.
E per andarci siamo passate davanti al cimitero, dove, tra storie di masche entrano anche le anime del purgatorio. Ma le masche a Monesiglio dovevano essere di casa perché era qui, nei pressi del Santuario dell’Acqua Dolce che di notte, uno zio della Tarditi, Cecu, allora ventenne, tornato da far bisboccia ai Bozzetti, incontra una masca dalle sembianze di capra…
Poi siamo tornate indietro in via Cavour, nel centro di Monesiglio, dov’era l’unica trattoria aperta, preannunciata da alcune sedie e due tavolini nel dehor, e siamo entrate.
E anche qui, il passato ha continuato a trattenerci, distogliendoci almeno per quest’oggi da ansie che rischiano di diventare angoscia.
Ai tavolini del bar alcuni anziani discorrevano in dialetto; di là, sulla sinistra, oltre il ban-cone, la sala da pranzo tappezzata da una perlinatura in legno, i tavoli quadrati, qualche stampa alle pareti. Dagli anni trenta-quaranta della casa-museo, siamo andate avanti di non più di un paio di decenni…
Ad un tavolo tre motociclisti. Ci siamo sedute ad una certa distanza, abituate come siamo ancora alle norme anti Covid- unica moderna novità- È venuto il padrone, una sessantina di anni, ma uomo ancora vecchio stampo, come il semplice ma sostanzioso menù, da operai in pausa pranzo.
Qui alcuni personaggi come Ione Ramasco, l’antipatico signor Nava o gli ospiti radical chic del matrimonio vip del romanzo di Farinetti non si sarebbero di certo seduti, ma altri sì, come il simpatico Sebastiano Guarienti o gli invitati del matrimonio dei ‘poveri’, anche se per la festa di nozze avevano trovato un più grande ristorante a pochi chilometri, ma già in provincia di Savona, il ‘Cinghialone’.
Comunque, nella vecchia e verace trattoria di Langa c’erano ‘cavatappi’ al sugo di carne o al pesto, pollo arrosto o milanese o polpettone, carote o patatine.
Abbiamo preso il secondo di carne con contorno , abbondante, e il caffè : otto euro a testa.
Il bagno era ancora uno stanzino dal basso soffitto che dava su un disimpegno che portava anche fuori, su un vicolo, la porta con diversi tipi di vetro smerigliato. Poco o nulla deve essere cambiato negli ultimi trenta o quarant’anni…
Proseguendo lungo la statale abbiamo raggiunto Gorzegno, il paese immortalato da Beppe Fenoglio nel lungo racconto “Un giorno di fuoco”, ma anche da Gianni Farinetti nel romanzo giallo già citato.
Qui correnti di scrittori molto eterogenei si incontrano in un vortice di pagine …e volano anche proiettili.
Sì, quelli famosi sparati da Gallesio contro cui, dalle testimonianze dei presenti, si erano mobilitati cento e più Regi Carabinieri e da San Benedetto Belbo l’auto di Placido, il padrone della ‘censa’, per due lire portava i curiosi ad assistere alla pericolosa caccia all’uomo…(Beppe Fenoglio, “Un giorno di fuoco”)
Ma altri proiettili, e pure questi mortali, rimbombano tra queste colline, risuonando tra i calanchi ed uccidendo il Sig.Nava, l’antipatico antiquario torinese, mentre era seduto tra amici sulla terrazza di una vecchia casa amorevolmente ristrutturata da un’ospitale signora…(Gianni Farinetti, “Rebus di mezza estate”)
E nella piazza di Gorzegno, fanno la loro comparsa gli sposi ‘poveri’, tra i commenti del paese, mentre quelli ricchi parcheggiano le loro lussuose auto intorno al Santuario della Madonna dei Monti di Niella Belbo (“Rebus di mezza estate”).
Anche a Gorzegno la chiesa era aperta, più barocca e ridondante di stucchi di quella di Camerana, poi siamo andate a vedere le spettrali rovine del castello, con la vecchia cin-quecentesca cappella a croce greca di San Martino.
“Ci vorrebbe una scappata a Gorzegno: la casa per sempre muta dei Gallesio, dove s’è fermato il fumo degli spari, il castello spettrale, l’acqua violacea della Bormida avvelenata”. (Beppe Fenoglio, da “Diario XXV”)
Forse in questi paraggi un po’ isolati era la casa di Gallesio…quello che ha dato fama di “matti” a tutti gli abitanti del piccolo paese langarolo!
Poi sulle orme di Farinetti, una deviazione al Robertiero, dove abita Umberto Brizio uomo solo a causa di vicissitudini familiari
“Entra in cucina, non grande, pulitissima, confinante col tinello non grande, pulitissimo. Si versa un bicchierone d’acqua dal rubinetto. Ha già pulito l’insalata, prende due uova dal frigorifero, le mette a bollire in un pentolino. Guarda senza vederlo il quadretto raffigurante Padre Pio con un rametto di ulivo infilato nella cornice, la fila ordinata delle presine ricamate da Dina, sua moglie…” (“Rebus di mezza estate”)
La casa di Umberto l’ho vista, ma accanto al castello, e abbandonata, comunque la cucina era quella, e le stanze vecchie e dal soffitto basso le sue…
Infine, sulla via del ritorno, abbiamo voluto fare la ‘strada delle masche’ attraverso le borgate di Noceto Sottano e Soprano. Strada stretta, da fare con prudenza, ma che lascia soddisfatti. Infatti, qui tornano le “Storie di Masche” di Maria Tarditi.
Certo, Maian, il fabbro, per raggiungere da Monesiglio la chiesa di San Luigi di Mombarcaro e prendere le misure per una cancellata, si era fatto una bella tirata!…sì che era un ex alpino, ma strada facendo aveva incontrato le Masche lì…”sotto la tòpia, al fresco…Cesca, grassa come una ghina, Tàvia, secca come un’acciuga, e Milda, gobba come un cammello… le tre masche più maligne di tutte quelle di là da Bormida…”
E gli avevano gettato una tempesta con pioggia e grandine sulla testa, mentre altrove brillava il sole!
Alla fine, appare il Santuario di San Luigi, meta agognata. Poi siamo tornate passando dai Bragioli, stessa strada di ritorno dello sfortunato Maian, ma noi ci siamo dirette verso Ceva…
E anche qui, lungo la Pedaggera, altri scrittori: Gildo Milano (“Nebbia sulla Pedaggera”), come Fenoglio, ex partigiano e narratore della Resistenza, o un’altra giallista, Cristina Rava, dove, nel suo romanzo, “Di punto in bianco” consacra Sale San Giovanni a buen retiro del Commissario Rebaudengo. Ovviamente, quest’ultimo, nonostante la meritata pensione, si ritrova invischiato in una crudele vicenda che si dipana tra le Langhe, dove troviamo anche Paroldo, Ceva e i suoi dintorni…e qui si incrocerebbero altre storie!