Le biblioteche di Eco e Borges

La biblioteca di Mafra

La biblioteca di Mafra (da Commons Wikimedia)

ANTONIO VIGLINO

L’antagonista di Guglielmo da Baskerville è, nel Nome della Rosa, il venerabile Jorge da Burgos, il cui nome allude apertamente a Jorge Luis Borges. Spesso si legge che questo sarebbe stato un omaggio da parte di Eco al grande scrittore argentino. In realtà questo non è per nulla un omaggio, in quanto così come il venerabile Jorge è l’oscurantista che si oppone ad ogni progresso della conoscenza empirica incarnata da Guglielmo, allo stesso modo la visione del mondo di Eco è opposta a quella di Borges; e proprio il nominare il personaggio “negativo” del romanzo come Jorge da Burgos ha il significato, esplicito, di una critica di Eco alla visione borgesiana. Ma come? — si obbietta — come potrebbe Eco considerare oscurantista uno degli scrittori più fantasiosi non meno che sottili del Novecento?; semmai la critica che Eco rivolgerebbe a Borges sarebbe di segno opposto, che questi sia troppo idealista e sognatore! Il centro intorno a cui ruota, non solo a livello di intreccio, il Nome della Rosa è la biblioteca, ed una delle creazioni più profonde e incisive di Borges è proprio la Biblioteca di Babele: ed è contro quest’ultima che si pone Eco. Nella biblioteca di Babele, che si compone di sale esagonali contenenti libri di 410 pagine, vi sono infiniti libri, tutti i testi che si possano immaginare, testi nei quali le lettere che compongono l’alfabeto — ed ogni linguaggio, vero o possibile — si dispongono in ogni guisa; vi sono libri scritti su qualunque argomento, e le rispettive confutazioni nonché tutti i testi che possono derivare da loro variazioni interne, dai paragrafi di controcritiche alle esplicazioni parziali, al semplice refuso; la sola variazione di una lettera dà infatti luogo a un testo nuovo e diverso: vi sono così anche scritti illeggibili o apparentemente privi di un senso, composti dalla ripetizione di una sola parola o di una o più lettere, in tutte le configurazioni escogitabili, anche questi sono testi. Nella biblioteca di Babele ci sono quindi le descrizioni, 1 quelle veritiere e quelle più o meno false, di qualsiasi oggetto o situazione, le biografie di ogni uomo, fedeli o erronee, le prefigurazioni di qualunque scenario passato e futuro e di essi le numericamente incalcolabili varianti o confutazioni. Nella biblioteca di Borges c’è tutto e il suo contrario ed anche ciò che sta fuori dal tutto, ed essa è infinita perché illimitabile, non esauribile nel logos, essendo la trascrizione della vita stessa, le sue possibilità. Questa sontuosa e profondamente filosofica visione borgesiana del rapporto tra la mente umana e la realtà, costituisce si può dire il pensiero unico dello scrittore argentino, declinato da Tlön, Uqbar, Orbis Tertius di Finzioni fino al Congresso del Mondo; essa si appoggia all’idealismo settecentesco, à la Berkeley, però filtrato dallo scetticismo nietzscheano, ed ha come epigono letterario Saramago, il quale percorre un corridoio parallelo a quello di Borges quando sottolinea che oltre al contenuto di una comunicazione di informazioni altresì decisivo per la sua intelligenza è la varietà di toni e sottotoni in cui esso può venire espresso. E pertanto, risalendo ancora, la poetica di Borges ha il suo patrigno in Platone. Ebbene questo ambito di incertezza conoscitiva, ovvero il riconoscimento della insufficienza delle capacità razionali ed esperienziali di poter comprendere la realtà concreta, è proprio quello che Eco rifiuta e combatte. Eco, professore di semiologia cioè del linguaggio nella sua dimensione formale e significante, affascinato dal pragmatismo dei pensatori nord-americani e dalle filosofie analitiche anglofone, oppone al platonismo di Borges un realismo di matrice aristotelica. Secondo infatti un motto diffuso, che anche spende lo stesso Borges, al mondo si nasce platonici o aristotelici: Eco è appunto di mentalità aristotelica quanto Borges è platonico. La biblioteca di Eco è logica, puramente razionale, l’ordine appare confuso ma ciò non toglie che ci sia una regola, se ci sono enigmi c’è il loro scioglimento, e se non lo si trova, in ogni caso il modo del retto agire umano è sempre e solo l’agire razionale — e a questo atteggiamento razionalistico ad oltranza Eco allude anche con il dire di Baskerville il suo Guglielmo: fu Conan Doyle a impiegare l’adagio che in una situazione complessa tolto l’impossibile quel che rimane, per quanto improbabile, è la verità. 2 Eco ritiene, e in ciò è aristotelico, che l’uomo possa raggiungere una qualche verità, anche meramente riduttiva e riduzionistica, con l’uso della facoltà razionale; per Borges, la verità è non altro che il frutto della pervicacia degli homines di trovare un simulacro di spiegazione, un’illusione confortante, essendo semmai la verità appannaggio di un tipo di conoscenza che trascende le ordinarie facoltà intellettive degli uomini. Eco crede solo a ciò che può toccare con la mano, Borges insinua, ad esempio, che sia stato Giuda colui il quale davvero sacrificò se stesso per il bene dell’umanità, anche questa ricostruzione è possibile, astrattamente vera. Poiché pare che Eco attacchi Borges senza offrirgli un contraddittorio, il che sarebbe inelegante in sommo grado, si deve quindi concludere che per Eco stesso il platonismo di Borges sia davvero e propriamente oscurantismo, in quanto il rifiutare la fiaccola della ragione sarebbe per Eco una colpa, un errore radicale — laddove per i platonici e per gli esoteristi invece è la ragione ad essere un lumicino che fa chiaro giusto a un palmo dal naso, essendo la chiara lux di ben altra natura che non i sillogismi. Non deve ingannare che Eco spesso faccia cenni enigmatici o addirittura iniziatici (ad esempio proprio il venerabile Jorge, nel finale del romanzo, rimbrotta a Guglielmo di non aver saputo trovare la via breve per accedere al segreto), perché ciò Eco fa allo scopo di mostrare com’egli abbia studiato le materie esoteriche, nella forma offerta dal periodo culturale del Medioevo occidentale, senza trovare alcunché di effettivamente illuminante. Al contrario Borges non ha bisogno di alludere a pratiche tantriche o ascetiche per far sorgere nel lettore la fiamma ardente della sete della verace conoscenza. E in questa contrapposizione ancora si rispecchiano gli opposti atteggiamenti dei due scrittori, quello empirico di Eco che non si avvede che cercare di spiegare razionalmente il sacro è un cortocircuito, e quello di Borges il quale l’intelletto oltre-razionale, l’Aleph, cerca di far avvampare nella mente del lettore. Tra queste due visioni, la tendenza alla civiltà della tecnica contrapposta all’apertura verso il sacro, si lascia che il lettore sia portato verso quella che l’attrae. Per altro verso, a sigillo della gigantomachia dell’opposizione di Eco a Borges si può osservare che entrambi gli autori trovarono accoglienza nei 3 volumi artistici e ricercati di Franco Maria Ricci, editore di Parma, il primo con il Beato di Liebana, che esamina i testi miniati delle Apocalissi medievali, mentre Borges fu proprio da Ricci svelato all’Italia, e la collana che l’argentino presso F.M.R. curò s’intitolava, naturalmente, La Biblioteca di Babele.