L’anima fotosensibile

Zone d'ombra_Fine delle illusioni

ANGELO CHECCHIA

(Estratto dal saggio critico sull’opera di Nicola Bertoglio)

È divenuto largamente evidente come la tecnologia di stampo contemporaneo abbia aumentato considerevolmente la realtà dell’uomo. Mai come in quest’epoca ci si è resi conto del fatto che tali conquiste possano comportare da un lato comodità e privilegi e dall’altro un senso di smarrimento. Oggi il potere d’acquisto generalizzato dovrebbe rappresentare l’accorpamento in dinamiche profonde, le quali naturalmente sarebbero in nostro possesso. Tuttalpiù risulta che un ingresso troppo facile denunci semplicemente una spontaneità dissociata. Questo distingue un’epoca di eccessiva malattia spirituale, meglio conosciuta come consumismo.

Con un click accendiamo la luce, il riscaldamento, l’automobile, avviamo la nostra transazione e ci interfacciamo con la realtà più allacciata che mai. Per quanto fantastico possa essere sovviene che ciò, almeno per il mainstream, corrisponde a una cucitura più che ad un collegamento. Nonostante possa esistere la continua possibilità di dare e ricevere un messaggio, non necessariamente ci si sente vicini a qualcosa. Addirittura imperversano dubbi sulla vera realtà. L’espansione oltre i limiti del tradizionale non dimostra effettivamente la coscienza e la padronanza di un medium; né tanto meno l’abilità di distinguere il sacro da una semplice informazione.

Per quanto invisibile, l’avvicinamento puramente materiale a persone e cose lontane, o ai fatti della norma contemporanea, non per forza evince la lucidità. Un po’ come la democratizzazione globalizzata non rappresenta un traguardo sistematico per l’umanità intera. È bello allargare il diritto tanto quanto rendersi conto che aumentano nello stesso istante i doveri e le responsabilità. Del resto, più si diventa liberi e più dovrebbe subentrare una ricerca individuale, azione sostitutiva delle supervisioni istituzionali che da sempre hanno organizzato e diretto il tutto.

Mondo Liquido_Alberi in ambra

Mondo Liquido – Alberi in ambra
“Quando la concentrazione ricade sull’individuo in rapporto con scenari urbani o bucolici risultano effetti estranianti e surreali. La necessità di riavvicinarsi al mondo circostante è parte inte¬grante di un processo vitale.”

Questo preambolo mi è sembrato necessario per arrivare a un’interessante citazione: “broadcast yourself”. Ebbene, la trasmissione di se stessi è già una pratica propria dell’essere umano, con o senza la tecnologia. Purtroppo però, un autentico allargamento dall’interno all’esterno è divenuto tanto impervio quanto l’acquisizione dell’esterno da parte dell’interno; sempre che si senta la necessità di distinguerne una differenza.

A questo punto, continuare dilungandosi troppo sugli attuali deficit psicospirituali contribuirebbe a rafforzare l’inevitabile asservimento a pratiche sociali dozzinali. Quindi passerei a qualcosa che non significhi crogiolarsi in drammi ridondanti tipici della mancanza d’ispirazione. Concluderei questo processo di disincanto citando l’idea abbastanza comune affermante che: la quantità non fa la qualità, proprio come l’allargamento inoculato della cultura non definisce somme vette di illuminazione collettiva.

Succede quasi sempre che dal disfacimento di marce o rinsecchite transitorietà, caratterizzanti eventuali periodi storici, si possa arrivare a setacciare gemme e ori nascosti dal tumulto della novità. Curando certe verità nel modo giusto si giunge spesso alla sovrapposizione della verità simbolica di pietre e metalli preziosi e l’incommensurabile del pane quotidiano. In questo caso ci si riferisce all’incontro fra funzionalità ed estetica come dell’idea con la pratica, da tempo divise.

Natura Interiore_A pelo d'acqua

Natura Interiore – A pelo d’acqua
“Nicola si concentra su particolari e oggetti che si trasformano in mete riposanti per flussi energetici ancora senza forma.”

Quello di cui sto parlando diventa evidente concentrandosi semplicemente sulla parola estetica. Bisogna, per questo, distinguere un’espressione puramente reazionaria (per quanto empatica possa essere) che non distingue l’uomo da un’animale o una pianta, dall’esteriorizzazione del corretto pensiero (est – etica) la quale sottintende l’utilizzo dell’intelletto. Non a caso, la comunicazione fa riferimento ad una serie di norme includenti diversi livelli di qualità. L’effettiva condivisione, invece, sicuramente non comporta il lancio di un messaggio relativo a meccanismi esclusivamente psicologici, dubbi e impersonali. Dietro ogni espressione, parola o abitudine si nasconde sempre qualcosa. E se quel principio rimane inconscio, se il vizio di essere dissociati dalla nostra anima o dal nostro essere persiste, non saremo mai consapevoli di ciò che stiamo pubblicando. Clicchiamo e nascondiamo la mano, proprio perché questa gestualità, per quanto apparentemente ridotta, rimane un’azione voluta da quella che dovrebbe delinearsi come un’individualità. Forse bisogna collegarsi prima con se stessi in modo da riscoprire tutti quei contatti che già esistono con l’universo.

Se facciamo riferimento al mondo dell’immagine possiamo traslare ulteriormente tali contenuti, giungendo a conclusioni ancora più metaforiche.

Capendo Adamo_Equilibrio

Capendo Adamo – Equilibrio

Come l’avvento della macchina fotografica rivoluzionò la percezione visiva, l’invenzione di internet e degli smartphone a buon mercato lo fu per la comunicazione, che divenne istantanea e ubiquizzante. Logicamente, per via di un processo di assimilazione inevitabile, come l’obiettivo ha definitivamente messo in discussione la supremazia della vista (il senso a noi più caro) evidenziandone i limiti etici, tecnici e morali, così la possibilità di immortalare facilmente un medesimo evento da infiniti punti di vista lo fu per l’attendibilità della macchina stessa. Tutto ciò ha determinato definitivamente come non sia la messa a fuoco a fare il fotografo. Ed è stato proprio l’allargamento della possibilità a rendere sistematica quest’ottica di pensiero. Diventa sempre più limpido, anche ai meno sensibili, come il rendere grazia all’imperversante metafisica della macchina implichi la presa di coscienza che il pennello non fa l’artista. Altrettanto il martelletto del pianoforte permette la vibrazione delle corde, nonostante non risulti direttamente percepibile. Perciò si rassicurassero tutti i personaggi poiché il paradiso dell’Arte non si è né avvicinato né allontanato dell’uomo, e che la tecnologia non fa altro che svilire gli impostori. Infatti, l’incarnazione del fare le cose ad arte, cioè l’idea resa dalla produzione di un supporto che le rende giustizia, declina inevitabilmente l’individuazione di ciò che è un’opera d’arte dal direttore artistico a tutti gli altri. Nella stessa misura in cui l’opportunità di catturare un’immagine non sia più un’esclusiva di chi ha il dono del disegno o il capitale per comprarsi un’attrezzatura.

Capendo Eva_Clausura

Capendo Eva – Clausura
“…le sequenze, quando incanalate sullo stesso soggetto, possono caratterizzarsi di forti distinzioni o impercettibili cambiamenti.”

Con questo non voglio mettere sullo stesso piano la produzione artigianale tradizionale e l’artisticità meccanizzata. Le prime sono a monte libere dai vincoli e caratterizzate da elaborazioni percettive direttamente rapportabili alla visione. Al contrario, cedere alle opportunità della tecnica significa adeguarsi al modo di vedere di un mezzo. Ne risulta come la libertà di scelta renda l’Arte una dimostrazione di saggezza.

Il meccanismo freddo e sistematico “coglie” mediante il destreggiarsi dell’autore padroneggiante il mezzo. L’immagine fotografica è impersonale proprio come un ready – made, perciò imparagonabile a qualunque istantaneità pittorica. Per quanto sia una realtà, la messa in situazione del taglio renderebbe un’attendibilità solo in concorso di più spunti che diversamente sfuggirebbero allo strumento. Tuttavia per quanto l’aberrazione fotografica corrisponda al culmine della cultura prospettica e del calcolo meramente empirico, ciò non toglie che anche un manierismo eretico possa condurre al trascendimento dello stile personale dell’artista e dei suoi strumenti.

Notevoli sono gli esempi che sempre più spesso vengono a galla, come nel caso di Nicola Bertoglio. L’autore non si definisce un’artista e tutto ciò l’ho trovato molto simpatico. Penso che si voglia dissociare da figure competenti tecnicamente, contraddistinti nella storia per il loro stile. Le stesse personalità che firmando un’opera hanno voluto suggerire l’invenzione di qualcosa. Credo che con Nicola voglia venir fuori più che il genio, l’artista.

Può sembrare strana come affermazione ma parliamo di una persona che non è capace di disegnare, dipingere o scolpire, e che grazie al suo iphone con tanto di fotocamera integrata ha potuto materializzare tutto un suo processo introiettivo di comprensione. L’esigenza di esprimersi, supportata dalla tecnologia, lo ha avvicinato, nel suo caso, ad un concetto sano di comunicazione. Incentrarsi sulla conoscenza di sé gli ha permesso di superare il manierismo come imposizione arbitraria, proprio perché tale riscoperta ha significato il riavvicinamento proporzionale a norme estetiche autentiche.

Non a caso ho deliberatamente evitato di assoggettare la sua figura al di sotto dell’etichetta iphonismo del mondo Pop contemporaneo, pratica fotografica sempre più diffusa. Il suo operare parte da un concetto di ricerca interiore sempre aperto. Solo successivamente arriva ad interessarsi di un linguaggio. E cosa più di una riscoperta della retorica può trascendere lo stile e il limite stesso della macchina? Rimettersi a posto conduce ad una percezione trasparente, ad una sovrapposizione di microcosmo e macrocosmo – soggetto e oggetto, nel mantenimento dell’individualità.

Capendo Adamo_Tronco Scomposto

Capendo Adamo – Tronco Scomposto
“Gli sfondi bianchi richiamano la più classica istantaneità fotografica e sottolineano un’unità compositiva – l’insieme e il particolare.”

Bertoglio ambisce a qualcosa di più, parliamo della volontà di distaccarsi dall’inconscio collettivo. Questo si traduce nella produzione di supporti alla contemplazione imagisti molto personali ma tendenti al simbolico. Tutto ciò che diventa –ismo, invece, identifica solo una norma comportamentale più o meno accettabile e non necessariamente costituita di contenuti notevoli. Abitudine diffusa tra persone che in funzione della loro debolezza cedono a reazioni semplicemente passionali. La loro mancanza d’integrità non permette l’approdo in territori immanenti più alti.

Nell’ingenuità della sua ricerca Nicola si è ritrovato a riscoprire l’attitudine del fare Arte, ad avviare la riesumazione di direttrici a priori che incanalano l’espressione. Perciò più la sua ricerca va avanti e più diventa un’artista, dimostrando che il mondo delle libertà bisogna comunque guadagnarselo. O magari, sempre per una questione di Volontà, c’è chi sceglie con tutta la mente e il cuore di salire i gradini della scala mobile giusta, mentre tanti altri “geni” sono macchine ferme su supporti decadenti. Si sa, per Fare l’Artista ci vuole l’Occhio!

Estratto da L’anima fotosensibile di Angelo Checchia, @rtWork, Milano 2015

http://nicolabertoglio.com/nicolabertoglio.com/Books.html

riratto

Nicola Bertoglio è nato a Cremona il 25 settembre 1974. L’infanzia e l’adolescenza sono state scandite dai ritmi lenti e sempli­ci della campagna della bassa pianura pa­dana. In questo periodo ha iniziato la sua esperienza artistica come poeta parteci­pando ad alcuni concorsi sia a livello locale che nazionale. Questa fase però è durata pochi anni giusto il tempo per raggiunge­re l’età adulta e l’indipendenza economica con il lavoro di consulente informatico in banca a Milano, città nella quale si è poi trasferito stabilmente.

La passione per la fotografia è matura­ta lentamente nel corso di viaggi ed espe­rienze sempre in movimento in giro per l’Italia e l’Europa.

L’incontro con il mondo iPhone è avve­nuto per caso durante un viaggio a Malta, e da li è iniziata la sperimentazione di quel particolare tipo di fotografia utilizzando l’applicazione Instagram.

Le foto di Nicola Bertoglio sono istanti di vita e di viaggio estrapolati e rielaborati tramite Instagram con lo scopo di rappre­sentare una visione istintiva, emotiva e fan­tastica della realtà sia oggettiva che propria dell’inconscio del artista.

(A cura di Silvia Pio)