La gloria del Giovedì

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LORENZO BARBERIS

La serie di vittorie di Mondovì a Campanile sera costituisce una delle ultime – forse l’ultima – grande gloria cittadina: l’ultimo evento in cui, effettivamente, Mondovì ha segnato una svolta importante della storia nazionale.

Campanile Sera, avviato in quello stesso 1959 (Mondovì vi entrò alla terza puntata, divenendo la prima “città campione” per quattro puntate consecutive), era infatti il format pensato dalla RAI per veicolare il successo della TV (introdotta nel 1954) non solo nei grandi centri urbani, ma anche nei centri minori, dove si prevedeva una maggiore difficoltà di penetrazione periferica.

Per ottenere questo effetto, era necessario, come in ogni gioco, la creazione di un campione con cui il pubblico potesse identificarsi: Mondovì fu questo campione.

In un certo senso, con “Campanile Sera” si pone uno degli ultimi tasselli della modernizzazione italiana nel corso degli anni ’50: l’introduzione della TV può essere uno dei primi elementi, nel 1954, e l’elemento decisivo è il boom economico, preannunciato nel 1957 dal Trattato di Roma per lo sviluppo economico europeo e la 500, e consolidato l’anno seguente in un fenomeno innegabile, accompagnato dalla musica moderna degli Urlatori (canzone simbolo “Volare” di Modugno), il papa buono e l’avvio del Concilio Vaticano II.

Dal 1956 al 1959 era stato “Lascia o Raddoppia”, condotto dall’italiano d’America Mike Buongiorno, ad avviare l’alfabetizzazione televisiva del paese; ora a Mike si chiedeva di procedere verso i più riottosi allievi dello strapaese. Curiosamente, anche il primo successo del grande Mike si lega in qualche modo a Mondovì, sia pure in modo obliquo: nel monregalese si sarebbe ritirato nella fase finale della sua vita il professor Gianluigi Marianini (scomparso a Vicoforte nel 2009), finissimo esoterista della scena torinese, che Mike aveva voluto nel 1956 alla sua trasmissione quale esperto di demonologia.

Mike lo ricorderà come “un personaggio vero, forse il più grande e irripetibile della storia dei quiz”; Chiambretti, che ne aveva operato la riscoperta, lo definisce “l’ultimo dandy vero”.

Tuttavia, il vero evento televisivo monregalese avvenne appunto nel novembre ’59, con l’avvio dell’avventura di Campanile Sera.

Campione in carica era in quel momento Montefiascone, che aveva appena battuto Saronno: la vera città campione non era però ancora stata trovata, in quanto ad ogni giovedì lo sfidante, galvanizzato, riusciva a scalzare il vincitore della serata precedente.

L’annuncio dell’entrata in scena di Mondovì si accompagna a un’interessante nota critica della stampa dell’epoca, che rileva come la RAI non si stia spingendo per ora a coinvolgere comuni del Sud, in quanto la gestione democristiana non vuol mostrare l’arretratezza di quella parte del territorio nazionale. L’articolo riferisce anche delle proteste dei comuni sconfitti delle prime due puntate, Sarno e Saronno. Una tradizione che si manterrà anche negli sfidanti dei monregalesi, come vedremo.

Un’altra polemica, più a tutto campo, si accompagna alla discesa di Mondovì nell’agone televisivo. Il torinese Antonino Forte accusa infatti la RAI di aver plagiato un suo progetto, presentato a suo tempo alla radiotelevisione italiana.

(sopra, L’Unione Monregalese)

Mondovì si presenta fin da subito come agguerrita allo scontro: l’articolo evidenzia fin da subito l’organizzazione metodica della città, presentando in foto i due rappresentanti nello studio di Milano: Nino Manera, il giornalista della Gazzetta di Mondovì che poi sarà il protagonista, da direttore, della trasformazione del settimanale nell’attuale “Provincia Granda”, la principale testata monregalese, e la maestrina e studentessa universitaria di lettere Sheila Di Salvo, anglo-italiana (i nomi da soap opera erano ancora da venire), che verrà retrocessa a riserva dopo la performance non eccellente del primo turno, per essere sostituita da Ernesto Billò, alla prima puntata presente come riserva, che sarebbe poi divenuto anch’egli uno dei numi tutelari (forse, IL nume tutelare) della cultura di Mondovì.

La stampa nazionale si diverte ad alimentare l’hype, diremmo oggi, attorno all’evento, e il democristianissimo sindaco di Montefalcone, vicino ad un appuntamento elettorale, pare giocarsi addirittura la poltrona nel tentativo disperato di far della cittadina la prima città campione d’Italia.

Non da meno, però, la stampa sottolinea il ruolo del sindaco di Mondovì, Memo Martinetti, riconosciuto da tutti la mente del coordinamento cittadino. Si parla di “stato d’emergenza”, e in effetti la riunione con Martinetti al centro sembra abbastanza un consiglio di guerra.

L’addio ai monregalesi in partenza per il fronte di Milano, e Martinetti pensoso con una scultura della Torre sottobraccio.

Martinetti, sindaco di fresca nomina, eletto per la prima volta l’anno precedente, nel 1958, è anche direttore didattico delle scuole elementari cittadine, primo sindaco non uscito dalle schiere dei maggiorenti notabilari delle città, ma proveniente da un’estrazione proletaria e, benché saldamente inserito nella DC, di idee indubbiamente progressiste. Viene dunque naturale associare il sindaco ad una immagine, tutt’altro che falsa, di Mondovì come “Atene cuneese” (per usare la retorica eccessiva tipica dell’epoca) e sottolineare il profilo “filosofico” dell’élite di professori che si stringono attorno al sindaco. “I professorini” erano definiti i DC monregalesi dell’epoca, guardati non così di buon occhio da un notabilato più ricco, più blasonato, di più alta estrazione sociale, ma meno colto. La fotografia giornalistica è quindi una buona schematizzazione.

La sottolineatura giornalistica del ruolo del Sindaco quale leader della piccola patria è del resto, probabilmente, funzionale a dar nerbo alla re-istituzione democratica di tale figura, dopo che il fascismo, nello smantellare dal basso la debole democrazia giolittiana, aveva provveduto appunto a eliminare il sindaco “notabilare” (eletto da un massimo del 7% della popolazione) con il propagandistico ma effimero podestà, controllato dal ben più inamovibile Segretario Comunale. I sindaci democratici erano dunque una novità di appena una decina d’anni in Italia, lavorando oltretutto (anche a Mondovì…) a fianco dei segretari comunali d’era fascista, che ovviamente non erano stati in alcun modo rimossi o almeno ridimensionati (l’eterno tema della resistenza tradita…).

Nel suo libro sulla sua esperienza da sindaco, “Trent’anni della nostra storia”, Martinetti, oltre all’indubbia ottima organizzazione, rivendicherà comunque in effetti di aver ideato il “Pensatoio”, ovvero una sala della biblioteca comunale dove si riunivano esperti di alta caratura, che non gradivano (o non potevano gradire, per ragioni sociali e formali) la pubblicità televisiva: arcigne professoresse, o ancor più decani del clero locale. Il “Pensatoio” (il nome è di Gianluigi Beccaria, linguista d’origini monregalesi, poi titolare della cattedra a Lettere, con cui anch’io ho dato il relativo esame) divenne il mitologico fattore K (K per Kultur, in questo caso) della città monregalese: l’antesignano dei moderni, ma meno efficienti, Think Tank statunitensi.

Tutta la città era comunque invitata a partecipare, coi celebri manifestini gialli su cui Bocca ironizzerà.

Il tifo, ancora contenuto, della prima serata.

La sfida nelle cabine.

Sheila e la macchina infernale, in una foto dal gusto vagamente fantascientifico.


Il ritorno degli eroi.

La vittoria su Montefiascone riesce così facile a Mondovì, col primo dei “cappotti” che segneranno la sua carriera televisiva. Il comune laziale di 13.000 abitanti, in provincia di Viterbo, viene battuto in un brillante 6 a 0. Il primo trionfo, pur brillante, non ha però ancora nulla di eccezionale.

La città accoglie la vittoria con un numero speciale, titolato in piemontese “Forsa Babi Cheucc”, il nomignolo assegnato ai monregalesi. Doppio editoriale nel segno del fair play: il saluto del sindaco Martinetti (DC “di sinistra”, come detto) nel riquadro centrale, articolo del nascente leader dell’opposizione liberale tutto intorno, a firma di Raffaele Costa, ancora “Lello”, che italianizza in “Forza Mondovì”, scritta che ritorna sistematicamente (e abbastanza ovviamente) sui cartelli d’incoraggiamento. Chissà che anche il giovane Silvio non fosse all’ascolto in quei giorni, e non stesse riflettendo sul singolare potere del mezzo televisivo.

Chi era sicuramente in attento ascolto era uno dei tanti arcinemici del futuro Silvio nazionale: Giorgio Bocca, allora giornalista all’Europeo, che seguendo per la rivista la trasmissione, espresse tutto il suo ribrezzo per la nuova “follia” televisiva, e in special modo per Mondovì, che fin dalla prima puntata aveva messo in scena quell’organizzazione impeccabile che l’avrebbe contraddistinta. Segno, per Bocca, di un particolare avanzamento nell’istupidimento generale: anzi, il primo segno della futura catastrofe, come rivendicherà ancora, nei suoi ultimi anni di vita, per porsi quale primo degli antiberlusconiani (vedi, ad esempio, cosa ne scrissi qui)

Il giornalino avverte dunque i monregalesi di non ricambiare la scortesia di Giorgio Bocca, forse anche per evitare eventuali figuracce in mondovì-sione per qualche cartello provocatorio.

“riprometto di esercitarmi”, giuro: grazie, compagna Sheila, sarà per un’altra volta.

Bocca esagera, manifestando già qui la spocchiosa alterigia che sarà il suo marchio di fabbrica come futuro grande vecchio della sinistra. E tuttavia, in effetti l’intera vicenda è presa molto sul serio. Qui sopra, l’autodifesa di Sheila Di Salvo che riconosce in un pubblico articolo di aver sbagliato nella sua scarsa abilità al pulsante, ma ne dà la colpa ad un imperizia agonistica per scusarsi della più grave colpa di lacune disciplinari. In verità, i giornali riterranno l’errore legato alla sua educazione inglese, che ne limita la prontezza in una lingua diversa da quella madre; l’errore politico in questa autocritica vagamente maoista sta però, a mio avviso, nel tentare di scaricare la colpa sul popolo monregalese, meno assiduo di Montefiascone nel supportare la virginal fanciulla nell’improba impresa. Cattiva mossa, compagna Sheila: mai inimicarsi il tribunale del popolo. E difatti, Sheila viene rottamata nella puntata seguente, e di lei nulla abbiamo più saputo nella cultura cittadina. Non credo sia stata deportata in Siberia: ma non si può mai dire.

Oltre ai numeri speciali e alla stampa nazionale, anche la stampa locale di Mondovì si occupa della questione con la stessa attenzione millimetrica. Le botte di domanda e risposta tra conduttore e concorrenti sono riportate per esteso sull’Unione Monregalese, con una precisione che va a indicare anche le eventuali contestazioni (qui sopra, ad esempio, la contestazione delle “Confessioni di un ottuagenario”, titolo alternativo e dunque valido delle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo).

La seconda sfida è con San Miniato, in Provincia di Pisa, allora 21.000 abitanti, stesso perso all’incirca di Mondovì.

Intanto si avvia la prima delle polemiche, quella in cui Montefiascone sostiene che l’indovinello su Fausto Coppi sia stato occhieggiato dal biglietto di Mike Bongiorno, invoca il moviolone e sostiene che “gli è tutto sbagliato, tutto da rifare”. Un cattivo perdente aggiunge sempre più sapore alla vittoria.

Nel perdersi nelle loro minuzie procedurali, i Montefiaschesi fanno fiasco perfino nel capire come sono stati turlupinati. Difatti, alla richiesta di Mike Bongiorno di portare più gente possibile in piazza con uno strumento musicale, Mondovì risponde facendo togliere la casacca ai membri della banda comunale, ivi convenuti, con un escamotage ai confini del regolamento (ma come insegna il pensiero liberale, “ciò che non è esplicitamente proibito, è permesso”).

San Miniato, che ricorda ancor oggi la serata in questo documentatissimo e prezioso sito, era accomunata a Mondovì dalla comune citazione in una poesia di Carducci. A contrastare il Pensatoio si era fatto ricorso alle Centrali Al Fosforo, altisonante umorismo da guerra fredda (anche Mondovì, come vedremo, vi farà ricorso) ma con scarso successo.

L’allitterante professoressa Marinella Marianelli, carichissima di spocchia, dichiara di preferire trasmissioni più culturali e di aver ceduto, per graziosa concessione, alle incessanti pressioni dei concittadini. Poi sbaglierà clamorosamente la collocazione del Lago Transimeno, trasferendolo dall’Umbria al Lazio. Il suo braccio destro, studente, azzeccherà solo il prezzo del pacchetto di sigarette, essendo Nino Manera non fumatore.

Cartelli in greco a Mondovì dagli studenti in Piazza,
probabilmente per la new entry Billò,
punta di diamante del Liceo e direttore dell’house organ “L’Asino Rampante”.

Brillantissimi invece Manera e Billò, rivali nella politica cittadina sui due opposti giornali cittadini, liberale e cattolico, ma affiatati nel difendere il comune interesse, appunto, del Campanile. La vittoria è netta, un nuovo cappotto, 10 a 0.

Tortora esulta coi monregalesi.

Tortora con Martinetti, in evidente e scherzoso feeling.

Enzo Tortora, inviato della RAI, partecipa alla vittoria con un vero e proprio giubilo. Certo, la felicità può essere collegata al fatto che essere divenuto l’inviato sul posto della prima città campione non nuoce di certo alla sua carriera (mentre il povero Tagliani si muoverà sul tagliente filo del rasoio del rischio di esser marchiato come iettatore in città malamente sconfitte pronte ad adontarsi ad ogni dettaglio) ma molto sembra essere sincero della sua adesione, con quel filo d’ironia impagabile che lo contraddistingueva. “Dio dell’Olimpo” come tutti i nuovi divi televisivi, egli però ammette che “i rintocchi del Moro sono entrati nel mio cuore” e quindi grida con tutti “Forza Mondovì”.

La debacle, 10 a 0, è totale, e forse per questo San Miniato è l’unico dei tre sfidati a prendere sportivamente la sconfitta. La stampa e la RAI sono entusiaste: è stata trovata la Città-Campione. All’apparenza, si spera che il primato di Mondovì duri nel tempo. Mike Bongiorno esprime soddisfazione, e all’apparenza si augura addirittura che Mondovì resista fino a Natale. Le preoccupazioni per le vittorie troppo schiaccianti, che tolgono suspense al gioco, se ci sono, sono dissimulate.

La sintesi migliore, come spesso accade, è in una vignetta. Specie se questa è una vignetta del grande Mosca, il sommo umorista al fianco di Guareschi sul “Candido”. Mosca immagina una interrogazione di storia patria dove alle Cinque Giornate di Milano si sostituisca l’eroica resistenza delle Due Settimane di Mondovì, che apre le porte alla Città Campione. Quando poi le vittorie diverranno tre, in una vignetta a copia-incolla (per il disegno) la promuoverà addirittura a Capitale Morale d’Italia, al posto del Gran Milan.

L’evento viene festeggiato dai monregalesi con l’erezione di una torre allegorica di quattro metri (sui trenta dell’originale Belvedere) su cui probabilmente Freud (o Mike Bongiorno, è lo stesso) avrebbe da dire qualcosa.

Nino Manera e Netu Billò celebrati nel manifesto dello storico Bar Lurisia. La bella Sheila (Linda Sheila nei racconti di Billò), retrocessa a riserva, è sparita dai titoli di testa.

Continua la campagna di Bocca contro il Mondovì vincente, e la stampa cittadina non manca di rispondere graziosamente per le rime. A Bocca (che ha l’aggravante di essere cuneese, quindi traditor sanguinis) e al reporter del Messaggero, un’anonima penna aguzza risponde augurando la fine dei fanciulli che osarono irridere il Profeta Eliseo: sbranati dai leoni. Per fortuna, il Mago (quale?) ha profetato a sua volta, per una terza vittoria di Mondovì (azzeccandoci, in effetti).

La terza sfida vede Mondovì opporsi ad Osimo, comune allora di 23.000 abitanti, nelle Marche, in provincia di Ancona. Il successo di Mondovì ha trascinato in teatro i monregalesi di Milano, forse anche in risposta alla velata critica di Sheila (retrocessa a riserva) per il mancato supporto.

La stampa continua a interrogarsi sul segreto della “città dei professori” e sul “mistero del Pensatoio” di Mondovì (un ottimo viatico, tra l’altro, per diffondere dentifrici Durbans e giradischi Philips).

La vittoria su Osimo è un altro schiacciante 10 a 0. Billò, esaltatosi, parla addirittura di una “industria” di Campanile Sera, immagine che ben rende l’idea dell’organizzazione sistematica, industriale di Mondovì opposta alla partecipazione ancora artigianale, paesana, pre-industriale delle altre città.

Nell’ingenuità degli albori dell’età televisiva i monregalesi, finalmente speranzosi di durare fino a Natale come si preconizzava all’inizio, non si rendono conto che ciò mette i dirigenti RAI in imbarazzo: un campione serve a far affezionare, un campione troppo bravo finisce per stancare, come evidenzia tra le righe l’articolo.

Lo spirito didascalico-democratico continua ad evidenziarsi nel botta e risposta tra Bongiorno e Martinetti, che interrogato sulla destinazione dei tre milioni, democraticamente risponde che la decisione sta al consiglio comunale, mostrando uno spirito chiaramente anti-podestarile e anzi, così amante del rispetto della procedura da non rinunciarvi non solo nella sostanza e nella forma, ma nemmeno davanti al contesto informale della trasmissione TV. E questo dovrebbe bastare a smontare il parallelo implicito Martinetti-Berlusconi avanzato sottobanco dal buon Bocca (più che altro per porsi quale “primo antiberlusconiano” in un ordine anche temporale).

I festeggiamenti per la vittoria raggiungono il punto di non-ritorno del superamento della linea dell’hybris. Se Freud e Bongiorno non avessero ancora capito, i monregalesi al posto della Torre creano questa volta una loro testata, il Kampanilik III, che lanciano verso il cielo.

Tortora, ormai completamente embedded, scrive con compiaciuta e affettuosa ironia sui giornali un brillante pezzo, in cui sostiene che il Kampanilik III sfiora l’aereo presidenziale USA nella stratosfera, dove il generale repubblicano Ike Eisenhower lo osserva con stupore professionale. Egli avrebbe voluto farsi ricevere dal sindaco di Mondovì, ma questi era troppo impegnato, così gli ha inviato un missile quale segnale della sua potenza bellica. Mondovì come capitale morale non solo d’Italia, ma del mondo (e con una frecciata a Bocca, che aveva trasformato la sbrigativa accoglienza ricevuta nello spunto per la sua crociata personale contro il Monte Regale).

Ragionando poi sulla destinazione dei tre milioni, e ironizzando intelligentemente sulle parole democraticamente corrette di Martinetti, Tortora ipotizza che nemmeno il consiglio comunale potrebbe decidere della destinazione, ma il popolo dei teleutenti monregalesi, telespettatori-concorrenti della prima grande kermesse televisiva nazionale. Forse, più di Bocca, è Tortora a comprendere la telecrazia che si prepara.

Si giunge così alla quarta sfida, quella fatale, contro Vasto, altro centro, allora, di 20.000 abitanti, in provincia di Chieti, in Abruzzo. Per la prima volta si scende decisamente nel Sud Italia, dopo una serie di sfide incentrate prevalentemente su un dualismo al massimo Nord-Centro. La sfida entra nel vivo. Entrano in gioco anche altri fattori: il predominio di Mondovì è stato già abbastanza lungo, e se anche deve continuare, deve interrompersi la serie di trionfi assoluti. E poi, come dato storico, Vasto è il feudo del barone democristiano signore e padrone del Ministero delle Telecomunicazioni, influente anche sulle scelte della RAI-TV: l’onorevole Giuseppe Spataro. Per la cronaca, l’anno dopo, da Ministro degli Interni del governo Tambroni (nato con l’appoggio esterno dei fascisti), Spataro autorizzerà il Congresso dell’MSI a Genova come atto di buona volontà verso i nuovi alleati, con quel che segue (inclusa una brusca frenata del suo cursus honorum).

Se la volta prima il Mago aveva profetato in nostro favore, questa volta Vasto ricorre anche alle scienze occulte. Non più il razionalismo delle centrali al fosforo, ma il dark magick di Madama Dorè.

La neve, temuta ma risolta grazie all’organizzazione nella terza puntata monregalese, colpisce così Mondovì al suo quarto appuntamento, rallentandone la macchina organizzativa rispetto a Vasto, favorita dal fattore territoriale. Enzo Tortora, che molti ritenevano un fattore di vantaggio per Mondovì, va fuori strada con la macchina che lo sta portando alla trasmissione, senza altre conseguenze. Ventimila persona sono in piazza a Vasto, favorita dal fattore climatico e dalla cattiva sorte, contro le poche centinaia di Mondovì. Il fattore campo va subito agli avversari, fondamentale in un gioco in cui, oltretutto, il pubblico partecipa. Al tavolo degli esperti siede anche la diabolica cartomante, di cui dicevamo poc’anzi.

Il rifugio Anti-Vasto

Manera e Billò in studio a Milano, contro i Vastesi.

Mondovì però non adotta arti scaramantiche contro la malefica Doré, e invece di affidarsi a scongiuri popolari o devozionali (o, come insegna Crowley, rispondendo alla guerra occulta con le sue stesse armi), continua nella sua retorica nuclear-scientista da guerra fredda, erigendo un Rifugio Anti-Vasto sotto i portici soprani, un bunker antiatomico stile dottor Stranamore, che però servirà a ben poco.

Forse non casualmente, le domande per i monregalesi si rivelano decisamente più difficili, incluso il celebre “rampichino alpestre”, sconosciuto uccello del malaugurio a cui è oggi attribuita, nella vulgata cittadina, la sconfitta monregalese.

In verità, la sconfitta è legata a uno zampino del Diavolo, come sottolineano vari titoli: il Diavolo a Pontelungo, romanzo del 1927 di Riccardo Bacchelli. L’opera, intrisa di raffinata ironia, non evoca un diavolo puramente simbolico: nel preludio, un sacerdote vede il diavolo giungere nella sua parrocchia, e cerca di cacciarlo, terrorizzato. In verità, il demone prelude all’arrivo in zona di un “diavolo” umano, un possibile Anticristo come l’anarchico Bakunin, che sta cercando di suscitare, assieme ad altri, un’insurrezione rivoluzionaria a Bologna. Il tentativo di Bakunin fallirà, ma la minaccia diabolica è sempre in agguato.

“E’ venuto davvero … il diavolo al Pontelungo! E questa volta di qui Satana spiccherà il volo per la liberazione di tutto il mondo.” dichiara il Bakunin in piena crisi mistica carducciana.

Billò tuttavia attribuì il romanzo ad un altro B., Buzzati, che col diavolo ha avuto spesso a che fare, ma a Pontelungo no.

Del Diavolo si ricorderà forse lo stesso Billò, che al principe delle tenebre (“Il Diavolo in Piazza”, questa volta) dedicherà il suo riuscito romanzo, coevo del “Pendolo di Foucault” di Umberto Eco, nel 1988.

Comunque sia, per colpa del diavolo slitta un possibile pareggio (con conseguente eliminatoria) e la partita finisce 6 a 4 per Vasto.

Martinetti, come ammettono gli stessi vastesi, si dimostra signorile nel fair play ed è il primo a fare i suoi complimenti ai rivali.

Vasto ricorderà con piacere questa vittoria, sul bel sito di storia locale indicato sopra, ricco di informazioni interessantissime su uno scorcio di storia locale che può assurgere a interesse generale (si vedano ad esempio questi affascinanti articoli qui)

I cittadini di Vasto, galvanizzati, dedicano alla rivale sonetti strafottenti, in cui giocano sul nome della città nemica: “Mo’ ‘ndo vì?”, ovvero “Adesso dove vai?” nella parlata locale. Nei manifesti, la ferocia campanilistica della città abruzzese è più evidente: sotto la scrittà “Mo’ ‘ndo vì?” Vasto è simboleggiata da un cavaliere che trucida un leone, simbolicamente la città antagonista, in una sorta di rito ancestrale.

A Mondovì, come ricorda lo stesso Billò nel suo articolo sull’Unione Monregalese per il cinquantennale dell’evento, si celebrò liricamente Martinetti in chiave manzoniano-napoleonica (del resto, il Grande Corso era passato anch’egli a Mondovì):

“Tivù. Siccome un monito

giunse il ben noto invito:

stette la gente immobile

quasi pensando a un mito; 

ne fu percossa, e attonita

rimase la città.

Memo pertanto, il sindaco,

 che allor fu l’uom fatale,

in vero campo riordina

la sede comunale:

un’occasione simile 

quando mai tornerà?”.

I giornali danno inoltre risalto a un fatto innegabile, ovvero che con Vasto vinca la patria del ministro della TV, mentre riportano anche le proteste di Mondovì per le domande troppo difficili.

Ma noi sappiamo il vero: non un banale caso di corruzione politica, ci mancherebbe, ma la maledizione di Madama Doré ha privato Mondovì della sua gloria nazionale.

Campanile Sera comunque continuò, e nel 1960 Tagliani venne sostituito da Enza Sampò, allora fidanzata di Umberto Eco (nel disegno di Walter Molino del 1961, qui sopra, a fianco di Tortora nei panni di finti concorrenti interrogati da Mike). Poi, nel 1962, la sospensione. L’età del boom volge alla fine, Campanile Sera ha assolto al suo compito, può lasciare il posto alla nuova TV ormai imperante, quella del telespettatore ebete de “L’oppio dei popoli” ne “I Mostri” di Risi, del 1963.

Tortora a Martinetti, circa le Torri d’Oro.

Tortora mantenne un buon rapporto con Martinetti e con la città, in cui tornerà per la consegna delle Torri d’Oro, nel 1960.

(La giornata dell’Onorevole, dai “Mostri”)

Che poi a me, Fanfani, sta pure simpatico.

Tortora verrà poi cacciato dalla RAI nel 1962, per un’imitazione di Amintore Fanfani, a capo del primo centro-sinistra, in un suo programma. Vi tornerà nel 1965, dopo un breve “esilio” alla TV svizzera, per perdere nuovamente il posto nel 1969, dopo aver esternato, pare, contro i “boy scout” ai comandi. Passa così alla carta stampata, dove diviene una firma prestigiosa de “La Nazione”, giornale all’epoca dichiaratamente su posizioni anticomuniste.

“I Mostri”, film profetico. Per molti versi.

Secondo alcuni (di cui non condivido affatto la visione negativa del personaggio), la sua vicinanza – inevitabile, nel ruolo di giornalista di un giornale anticomunista – negli anni ’70 agli ambienti della Resistenza Democratica Edgardo Sogno sarebbe  la motivazione del killeraggio giudiziario operato nel 1983 con il mostro giudiziario del caso Tortora, dove le parole di pentiti di mafia non suffragate da alcuna prova sono sufficienti a portarlo a una condanna durissima, di cui risulterà infine totalmente innocente. I “complottisti” accomunano Tortora a Enrico Martini “Mauri”, nato a Mondovì nel 1911. Partigiano monarchico come Sogno, leader della resistenza nel cuneese, “Mauri” aderì alla Resistenza Democratica degli anni ’70, e morì in un incidente aereo in Turchia, il 19 settembre 1976. Per i dietrologi, ovviamente, una coincidenza non casuale.

Scarcerato nel 1987, Tortora tornerà in trasmissione provatissimo, per morire l’anno seguente, nel 1988. Due anni dopo, il suo “vecchio amico” Martinetti lascerà la politica a Mondovì.

“Campanile Sera” continua comunque ad essere un mito monregalese a livello nazionale, se un critico TV Aldo Grasso, un altro “cuneese ingeneroso” come Bocca, sul Corriere scriverà un pezzo (piuttosto di maniera) sugli orrori del karaoke monregalese del 1993.

Forse Mondovì non era più quella del ’59. Certo non c’era più quello spirito giovane, lo spirito del boom, lo spirito di un’Italia che poteva ancora credere, come nei sogni dell’infanzia, che ancora tutto era possibile. Ma al suo vecchio amico Enzo Tortora la città saprà comunque dedicare una strada, a futura memoria, nel 2005.