Intervista al fotografo Lorenzo Avico

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SILVIA PIO (a cura)

Lorenzo Avico, torinese, nato nel 1960, fotografo professionista e stampatore ha cominciato giovanissimo la pratica della fotografia, facendone sin dagli inizi una scelta non solo professionale ma anche di ricerca artistica e creativa. Si è confrontato con i fotografi che avevano come punto di riferimento la Fondazione Italiana della Fotografia di Torino, e ha studiato  tutti i grandi fotografi che appartengono alla storia della fotografia, trovando una particolare affinità con Henri Cartier-Bresson, per il suo rigore formale,  Don McCullin, per la sua sensibilità nel raccontare il paesaggio, e con Ansel Adams, per aver trasformato lo sviluppo e la stampa in bianconero da pratica artigianale a interpretazione artistica.

 

D. Usi ancora la pellicola e la camera oscura. Molti giovani forse non sanno neppure di cosa stiamo parlando. Che cosa significa per te usare le tecniche tradizionali?

Sono persuaso che il fotografo debba stabilire un perfetto equilibrio tra la  tecnica e la creatività; dunque il mezzo deve consentire di dare forma compiuta alla mia personale visione della realtà. Le competenze sono costruite attraverso lo studio e la sperimentazione delle pratiche fotografiche che si sono succedute nel tempo. La fotografia, se non vuole essere solo svago, affonda le sue radici nelle tecniche tradizionali, che consentono di usare con assoluta consapevolezza la tecnologia digitale.  

 D. Quali rapporti hai con la tecnologia digitale?

È la tappa recente di un percorso iniziato nei primi decenni dell’Ottocento con l’eliografia di Niepce. Solo la conoscenza dell’intero processo consente di costruire il futuro della Fotografia.

D. Cosa sta succedendo e cosa succederà a chi scatta fotografie d’arte?

L’utilizzo massificato delle nuove tecnologie e l’introduzione del digitale per la riproduzione della realtà, hanno accentuato la cesura con la fotografia intesa come sguardo selettivo, visione frutto della contemplazione. Il fotografo attraverso l’inquadratura cristallizza un’idea, determina la composizione, crea una relazione tra il soggetto, gli oggetti e lo spazio.

D. Quali consigli daresti ad un giovane che si appassioni di fotografia?

 “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”: faccio mia  la frase incisa sulla facciata del Palazzo della Secessione  a Vienna per affermare che ognuno deve vivere il proprio tempo e il proprio percorso  senza farsi vincolare, ma usare le esperienze oramai storicizzate  per trovare il proprio stile.

D. Vivi tra Torino e Torre Mondovì, un paesino ai piedi delle montagne. Come mai questa scelta di una doppia residenza?

Questo mio essere itinerante tra due realtà così diverse, quella torinese, metropolitana, e quella torrese, di piccolo paese, per me rappresenta una scelta non solo pratica, ma di vita: amo gli spazi metropolitani, le loro geometrie, il rigore di certe prospettive, e allo stesso tempo nei boschi e nei silenzi della campagna ritrovo la memoria della mia infanzia, le suggestioni della natura e del silenzio.

D. Ora parliamo della mostra “Passaggi a Mondovì”, che fa parte, a quanto capisco, di un progetto più ampio che si chiama semplicemente Passaggi. Perché Mondovì?

La mia recente ricerca “Passaggi a Mondovì” (divenuta una mostra al Museo della Ceramica di Mondovì, Palazzo Fauzone di Germagnano, dal 22 giugno al 21 luglio 2013) è legata a un progetto che mira a definire una mia personale visione di paesaggi urbani, a proporre una percezione di spazio quotidiano come paesaggio dell’anima, dove chiunque può proiettare le proprie emozioni.

Fotografie di Lorenzo Avico