Sulla Langa la neve

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ANTONIO BERGADANO

Sulla Langa la neve, quando viene, di solito viene senza cognizione ed alle volte persino senza pietà. Gli uomini, svegliatisi al mattino, appiccicarono il naso ai vetri, videro nient’altro che neve e nebbia, nebbia e neve e la neve continuava a cadere fitta. Avevano sospirato la neve perché conoscevano bene il proverbio: Se s’va a la m’ssa d’mesaneut cun la luna, chi ant la stala u l’à due vache, cu na venda una. Ma così tanta, era troppa e chi sapeva un po’ di latino diceva: Omne tropum istravacat cioè Ogni troppo storpia.

Per alcuni giorni ne soffrirono tutti, uomini e bestie… uccelli e lepri; le piante sui pendii boscosi. La vita e l’attività si fermarono e si sentirono come in un mondo di sepolti vivi. Gli uccelli, per la fame, erano spinti ad esporre la vita pur di rubare un po’ di becchime alle galline. Le lepri, seguendo il fiuto, sfidavano la neve pur di raggiungere qualche pianta dalla corteccia tenera. Le piante, e specialmente i pini sulla cima ed i pioppi nei ritani, furono sradicati e rovesciati dal soverchio peso e dal gagliardo vento. Gli uomini si videro costretti a faticacce, si dovettero buttare tra quei viluppi di neve che il vento, mulinando, aveva spazzato qua per ammonticchiarla là, persino sui fienili e sui solai. Bisognava ad ogni costo, ed al più presto, riaprirsi la strada ed i sentieri per non rimanere troppo a lungo isolati dal resto del mondo. I bambini facevano per qualche giorno vacanza dalla scuola e si davano alla pazza gioia, rinchiusi al caldo nelle stalle e facevano ammattire la mamma e la nonna con mille giochi e trovate chiassose e movimentate. Le figliole, finalmente, potevano ripensare al fardèl e riprendere in mano il lenzuolo, l’asciugamano e la camicia per continuarne il ricamo sospeso forse a primavera. Le nonne avevano a disposizione molte ore da rimanere sedute, riposare le stanche ossa e lavorare al fuso. Le donne, appena libere dalle faccende di cucina, si davano al rattoppo di pantaloni, camice, giacche o mutande. Sugli indumenti da lavoro si vedevano tante toppe che si poteva dire: Guarda, non c’è solo l’Italia, ma ci sono anche le isole e gli isolotti. I giovanotti, appena potevano, eludendo l’occhio del papà, sgattaiolavano via e si concedevano un’ora per trovarsi con la Neta, la Gina o la Genia, per tentare l’approccio in vista di un futuro assieme. Gli uomini pensavano a riordinare le cantine e a rendere più pulite ed accoglienti le stalle (il salotto invernale dei nostri contadini), a preparare legna per il fornello e si davano al bricolage domestico ed agricolo. Riposti negli angoli c’era sempre una serie di arnesi da lavoro: zappe, vanghe, rastrelli, tridenti… da risistemare nel manico o nei denti. Bisognava far scope con la saggina e i vimini, scartocciare e sgranare le ultime pannocchie di meliga (quelle giunte a maturazione solo con le prime pinzate del freddo). Alla sera, che scendeva assai presto, si dava anche tempo al gioco. Si passavano ore ed ore inchiodati su una panca, attorno ad un rustico tavolino e si giocava a carte, a china, a tombola o ad altri giochi più movimentati, per esempio a mano calda. Si scherzava, si rideva ed anche, si beveva. Le chiacchiere, le storie, i racconti d’avventure, vere o fantasiose, erano tante, quasi come un fiume su cui si navigava per uscire dalla noia e dalla malinconia. Di tanto in tanto, dietro invito, giungeva un “lettore” che, a puntate, una sera qua, una sera là, leggeva e commentava qualche bel libro di storia, di fate, di avventure e di briganti (per es. Beppe Scorzanera) ed in quelle sere le stalle si riempivano di gente.

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Si vivevano quei giorni in santa pace ed in riposo, ma, sempre consci, che la fioca a fa ben a la meira mota, si teneva d’occhio la madia o il sacco, perché non venisse a mancare la farina gialla per la polenta, né quella bianca per il pane, le tagliatelle e i turtin. I conigli già fatti nelle conigliere ed i polli nella stia si guardavano con occhi di simpatia e quasi d’amore. Proprio ora, mentre sto scrivendo, se alzo gli occhi e guardo attraverso i vetri della porta che dà sul balcone, mi vedo davanti chilometri e chilometri in profondità ed in ampiezza, uno scenario, come si suo dire, da presepio.
Ho l’impressione che Dio abbia voluto dar fondo alle sue riserve di coperte ed abbia svuotato i suoi magazzini celesti per coprire e proteggere le sue creature…

Mi viene quasi la tentazione di aggiungere qualche riga al Cantico delle Creature di S. Francesco d’Assisi: Laudato si’ mio Signore, per sora nostra neve, che imbianca tutta la Langa, difende dal freddo e obbliga al riposo e al sonno – ommi creatura – fra le parti domestiche o fra le radici dei vecchi roveri o castagni, nel letargo.

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Don Antonio Bergadano è stato parroco a San Donato di Mango.

Il brano è tratto dalla prima edizione di Voci di Langa, 1982, la cui pubblicazione è stata sponsorizzata dalla Comunità Alta Langa.

Le foto sono di Giampiero Johnny Murialdo