ATTILIO IANNIELLO e SILVIA PIO
Il conflitto israelo-palestinese che da tempo, e in modo particolare in questi ultimi mesi e giorni, sta creando un’inaccettabile realtà soprattutto nel territorio di Gaza, colpendo civili innocenti, uccidendo bambini sia con i bombardamenti che con la penuria di viveri e medicine, richiede la consapevolezza universale del ruolo della pace e l’impegno a favore della pace stessa. Pace che non può essere disgiunta da quei tre principi fondamentali di libertà, uguaglianza e fraternità.
Certamente in questo storico e politico impegno (a cominciare dal disarmo) dovrebbero essere coinvolti stati, organizzazioni, associazioni e semplici cittadini.
La pace intesa non solamente come mancanza di guerra vera e propria, deve comunque nascere dal basso, dall’incontro, nel caso del conflitto israelo-palestinese, dei due popoli per cancellare una volta per tutte «che gli orfani mangino gli avanzi dal banco del rancore», come scrive il poeta palestinese Samih al-Qasim.
Samih al-Qasim esprime il suo desiderio di pace «Cammino fiero / cammino a testa alta. / Porto in mano un ramo d’ulivo / e il corpo sulle mie spalle / e cammino, e cammino. / Il mio cuore è una luna rossa / il mio cuore è un giardino / pieno di bacche e basilico. / Le mie labbra sono un cielo / che gronda a volte fuoco, / a volte amore. / Porto in mano un ramo d’ulivo / e il corpo e sulle mie spalle / e cammino, e cammino».
A lui sembra rispondere la poetessa israeliana Talil Sorek «Avevo una scatola di colori / brillanti, decisi, vivi… / Non avevo il rosso / per il sangue dei feriti. / Non avevo il nero / per il pianto degli orfani. / Non avevo il bianco / per le mani e il volto dei morti. / Non avevo il giallo / per la sabbia ardente, / ma avevo l’arancio / per la gioia della vita, / e il verde per i germogli e i nidi, / e il celeste dei chiari cieli splendenti, / e il rosa per i sogni e il riposo. / Mi sono seduta e ho dipinto la pace».
E il cammino per dipingere la pace è già da tempo stato intrapreso da molti che hanno organizzato realtà di incontro, di vita in comune.
Si pensi al villaggio di Neve Shalom-Wahat as-Salam dove convivono solidalmente israeliani e palestinesi, si pensi all’organizzazione Combatants for peace che riunisce ex combattenti dei due fronti, si pensi infine al ruolo delle donne israeliane Women Wage Peace (WWP) e palestinesi Women of the Sun che promuovono valori di convivenza pacifica e alle quali si ispirano i gruppi italiani Donne in Cammino per la Pace.
È in questo contesto che si inserisce il libro di Carola Benedetto e Luciana Ciliento Mio padre, tuo padre. Due uomini contro l’odio del conflitto israelo-palestinese.
Smadar Elhanan ha quasi quattordici anni ed è una ragazza israeliana come tante, con un fratello arruolato nell’esercito e una madre pacifista. Frequenta la scuola e ama la danza e la musica occidentale. Il 4 settembre 1997 esce con due amiche: vengono uccise da attentatori palestinesi suicidi.
Abir Aramin, nata quando Smadar muore, ha nove anni, è palestinese e ama particolarmente la matematica. Sa che andare in giro è pericoloso, ma esce lo stesso tutti i giorni per andare a scuola, come i suoi amici. Il 18 gennaio 2007, proprio mentre è in strada, da una jeep israeliana un giovane soldato le spara.
Il libro inizia con le due ragazze che raccontano di sé in prima persona, dialogando una con l’altra, seppure in vita non si sarebbero mai potute incontrare né avrebbero immaginato che le loro storie potessero intrecciarsi per volontà dei loro padri, Rami Elhanan (figlio di un sopravvissuto ungherese all’Olocausto e nato nel 1950) e Bassam Aramin (figlio di contadini e nato nel 1968 in Cisgiordania), le cui vite vengono raccontate nella seconda parte del libro, intervallate da lettere immaginarie che le due ragazze si scrivono per parlare di loro. Qui la Storia si rivela nelle loro storie, fino ad arrivare ai due giorni in cui le figlie perdono la vita e poi continuare negli anni seguenti, pieni di dolore e rancore.
Rami, «sfinito dalla rabbia, alla fine si convince che la vendetta non gli avrebbe dato pace»*, incontra Yitzhak Frankenthal, un ebreo ortodosso che in seguito all’uccisione del figlio aveva creato, con infinite difficoltà e minacce, l’associazione The Parents’ Circle, composta da palestinesi ed ebrei che avevano perduto i propri cari e nonostante ciò volevano la pace.
L’uomo sostiene che i terroristi sono vittime a loro volta perché nati e cresciuti sotto l’oppressione dell’Occupazione. «Non approvo le loro azioni, certo,
ma posso comprenderle. Chiunque, in quelle stesse circostanze, avrebbe potuto compiere atti simili. Non finirà finché non ci parliamo».
Non senza resistenze, Rami partecipa ad una riunione del Parents’ Circle, dove per la prima volta vede i palestinesi come esseri umani. In seguito si uniscono a lui sua moglie e suo figlio maggiore Elik, che dopo questo incontro ha deciso di diventare un refusenik, cioè non avrebbe mai più indossato una divisa una volta portati a termine gli anni di leva.
Bassam è stato un giovane frustrato, imprigionato per sette anni nelle carceri israeliane per via della sua irrequietezza. Proprio in carcere capisce che solo conoscendo il nemico si può sconfiggerlo, e inizia quindi ad informarsi sull’Olocausto, considerato dai palestinesi una grande bugia. «Combattere è più semplice. È molto più difficile iniziare a parlare, sedersi, scoprire l’umanità e la nobiltà del tuo nemico, guardarlo negli occhi. Scoprire che il tuo nemico è esattamente come te. Questo è l’inizio della fine di ogni conflitto».
Un giorno Bassam, noto per le sue idee di pace e non violenza, viene contattato dal figlio di Rami, Elik, e insieme ad altri palestinesi ed ebrei formano il gruppo dei Combattenti per la Pace. In seguito incontra Rami al Parents’ Circle, e qui inizia la loro collaborazione e amicizia. «L’attività del Parents’ Circle è diventata a tutti gli effetti l’occupazione principale di entrambi. Tenere conferenze, rilasciare interviste, incontrare gli studenti nelle scuole e parlare con i soldati e con i terroristi erano alcune delle tante iniziative che Rami e Bassam portano avanti ogni giorno».
Entrambi hanno scritto la postfazione di questo libro che racconta le loro storie, intense e strazianti; grazie alle loro esperienze drammatiche sono riusciti a riconoscersi reciprocamente come esseri umani. «La via della vendetta e della ritorsione crea un circolo infinito di sangue e violenza», «siamo la prova che è possibile vivere insieme in pace».
Carola Benedetto, Luciana Ciliento, Mio padre, tuo padre. Due uomini contro l’odio del conflitto israelo-palestinese, DeAgostini 2025.
Un’intervista a Rami e Bassam si trova qui, dalla quale è tratta l’immagine delle figlie.
*Le citazioni nel resto dell’articolo articolo sono tratte dal libro e dall’intervista.
Il libro è stato presentato a Mondovì, il 3 ottobre alle 17:45 presso il Caffè Sociale. Nella foto le autrici con Silvia Pio e Attilio Ianniello.




