L’incredibile storia del profeta Mansur

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Trentesima puntata - Il profeta all’attacco

FRANCESCO PICCO

Ma un mese dopo la partenza da Ahmadiyah, il profeta Boetti decise di passare in rassegna le sue truppe. Ai novantotto uomini con cui era partito – novantanove contando anche Viktor – si erano via via aggiunti molti soldati raccogliticci, di ogni provenienza etnica, età, estrazione sociale. C’erano persiani, azeri, curdi, arabi, turcomanni, beluci, ceceni, circassi, ingusci, àvari, zingari provenienti dai quattro angoli dell’impero di Persia, ma anche dalle province turche e dai territori sottoposti al dominio dei Russi.  Fu Viktor a suggerire al profeta di controllare la consistenza numerica delle sue truppe raccogliticce. A lui sembrava né più né meno che una vera e propria corte dei miracoli: l’ultimo arruolato era un tredicenne sciancato turcomanno, che si era unito all’esercito del profeta per avere una casacca da indossare e non essere più costretto a mendicare seminudo. Ma quando il profeta contò i suoi soldati, Viktor ebbe un fremito di orrore lungo la schiena. Erano 2742. Un numero immenso, tanto più considerando che dall’inizio delle spedizione era passato appena un mese. E la corte dei miracoli, una volta contata e trasformata in numero, sembrava un esercito vero. La prontezza con cui obbedivano al profeta era sconcertante, almeno per Viktor. Restava solo da vedere che cosa sarebbe successo a quel caravanserraglio di esaltati, disgraziati e pazzi se si fosse presentata l’occasione di impegnarsi in un vero combattimento.

Viktor non dovette aspettare a lungo. Il governatore di Akeska uscì dalla città per accogliere il profeta e i suoi a fucili spianati. Aveva truppe fresche ed addestrate, secondo alcuni le migliori fra le truppe imperiali. Il profeta e i suoi straccioni le sconfissero in una giornata scarsa di combattimento. Viktor, che quando era Vittorio Amedeo aveva studiato alla scuola di applicazioni militari, si stupì di quanta abilità strategica sapesse dimostrare il Boetti. Se adesso si faceva chiamare Mansur ne aveva ben ragione, poiché davvero era stato vittorioso. La fama della sua vittoria viaggiava ormai maestosa davanti a lui, e si mostrava tanto forte e potente da consentirgli di vincere senza nemmeno attaccare battaglia. Così, la città di Erzurum gli si arrese mentre ancora lui e le sue truppe erano in marcia. E per farlo stare tranquillo gli abitanti di Erzurum si tassarono spontaneamente e gli pagarono uno sterminato tributo di guerra. Sterminato come il numero dei soldati che intanto, giorno dopo giorno, si univano all’Esercito di Dio guidato dal Mansur: Viktor svenne, letteralmente, quando si accorse di averne registrati ormai 37 mila. Un esercito di 37 mila uomini in armi tenuti in perfetta disciplina, con potere suggestivo e autorità dispotica, da un uomo che nella sua vita non aveva mai seguito un solo corso d’istruzione militare. Il saggio nobile sabaudo che era rimasto Viktor rabbrividiva di sdegno al pensarci. Eppure, quell’uomo – medico prima, frate poi, quindi filologo arabo e finalmente capopopolo – non sbagliava un colpo nella difesa contro nemici ben più potenti di lui. Mentre Viktor ancora si chiedeva come fosse possibile tutto questo, Mansur lo sorprese con una nuova mossa imprevista: stanco di giocare in difesa, decise di attaccare.

«Domani  – gli disse una sera con calma – invaderemo la Georgia».

Quella notte Viktor non riuscì a dormire. Invadere la Georgia? E per quale ragione, poi? Il piccolo regno arroccato sui monti del Caucaso non aveva mostrato alcuna ostilità verso Mansur, anzi lo aveva fino ad allora completamente ignorato. Forse però – pensò Viktor – era proprio questo il motivo per cui Boetti voleva attaccarlo. Tutto tollerava il profeta vittorioso, tranne il fatto che un popolo e il suo re lo ignorassero. Re Eraclio infatti non sembrava curarsi di lui né mandargli messi o spie, come invece facevano i sovrani di Turchia e di Persia attraverso i proprio pascià e governatori. E questa era un’ottima ragione per muovergli guerra, sebbene certo non fosse la sola. L’altra ragione era molto banale, ma non per questo meno stringente: quando uno ha messo insieme un esercito di quasi 40 mila uomini, DEVE fare una guerra. E poiché la Georgia era cristiana, era piccola ed era debole, costituiva per Mansur il nemico ideale.

Le truppe del Mansur entrarono in Georgia come uno sciame di cavallette fameliche, come un evento naturale catastrofico mandato da Dio. Incredulo dell’attacco avvenuto, re Eraclio inviò loro incontro tutto il suo esercito affiancato da un formidabile battaglione di soldati russi. Quello che avvenne a questo punto fu incredibile, in primo luogo per Viktor che ben conosceva Boetti e la sua inettitudine militare. Contrariamente ad ogni previsione, Mansur decise di suddividere il proprio esercito in quattro diversi tronconi, ciascuno composto di circa novemila uomini. Cominciò poi a percorrere incessantemente, più volte al giorno, la distanza tra i luoghi veramente strategici in cui era riuscito a piazzare (e nascondere) le proprie quattro guarnigioni. Accompagnato da Viktor, il Mansur vigilava su ogni preparativo, su ogni particolare anche minimo con occhio cauto e mente riflessiva. Nessuno dei suoi luogotenenti era autorizzato a prendere iniziative autonome. Su questo Mansur era stato fin dall’inizio chiarissimo. Nondimeno, uno dei quattro comandanti dei distaccamenti decise senza chiedergli nulla di spostare una parte minima delle truppe al di là di un colle che chiudeva la valle in cui erano accampati. Fu Viktor ad accorgersi della loro presenza e a segnalarla a Boetti, che mandò a chiamare il comandante e lo invitò a dare spiegazioni dell’avventata decisione presa. Il comandante – un altissimo circasso di trent’anni che aveva a lungo servito nell’esercito ottomano – rispose con una superba alzata di spalle. L’esperto di guerra – soggiunse – era lui e su queste cose la sapeva più lunga di qualsiasi medico e prete occidentale. Mansur scoppiò a ridere. Viktor si stupì molto di questa reazione. Ma sembrava che Mansur non riuscisse a smettere di ridere. Continuò a farlo per alcuni minuti, durante i quali anche il comandante incriminato si mise a ridere, e con lui risero tutti i presenti – tranne Viktor, che già percepiva qualcosa di inquietante nell’aria. Continuando a ridere, Mansur chiamò a sé un paio di giovanissimi soldati e impartì loro sottovoce un ordine che nessuno udì. I ragazzi fecero segno di aver capito e si allontanarono da Mansur avvicinandosi al circasso, che ridendo a crepapelle non si curò affatto di loro. Le risate, di colpo, furono spente da un grido. I due soldati – su ordine di Mansur – trafissero contemporaneamente al ventre il comandante disubbidiente, sbudellandolo. L’unico che continuò a ridere di fronte a questo spettacolo fu Mansur.

Nessuno, da allora, osò mai più disobbedire ai suoi ordini.

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino