L’incredibile storia del profeta Mansur

24Mansur

Ventiquattresima puntata Accusa e inganno: condannare un innocente in due mosse

FRANCESCO PICCO

Il chiostro era immerso nella penombra. Della donna che gli aveva parlato, frate Vittorio Amedeo non vedeva che i contorni. La donna indossava il velo, com’era abitudine delle oneste donne cristiane. Anche il suo viso era nascosto, non ne emergevano che gli occhi. Neri, o almeno così parevano al frate. Vittorio Amedeo era a disagio. Sentiva un impellente bisogno di deglutire, e non capiva perché. Forse lo metteva in imbarazzo l’evidente stato interessante della sconosciuta. Forse invece era la sua bellezza, che le vesti anziché nascondere finivano per mettere in evidenza. O forse era il suo profumo, intensissimo, come quello dei gigli nella stagione della fioritura.

Le chiese, in francese, se fosse lei la donna di cui aveva parlato l’ancella. La sconosciuta annuì. Poi disse qualcosa, ma lo disse in arabo e Vittorio Amedeo non riuscì a capire tutto. Ma anche così, con una comprensione imperfetta, aveva dati sufficienti per farsi un quadro della situazione. E questo quadro non gli piaceva per niente. Nel quadro c’erano:

a)      una giovane donna nestoriana incinta che non voleva il bambino perché il padre non si era ancora accorto della sua gravidanza e la credeva vergine;

b)      una mezzana, forse una domestica o un’amica della ragazza, che stava ancora cercando di convincere padre Boetti nella navata laterale della chiesa;

c)       due frati domenicani laureati in medicina e chirurgia a Torino ai quali la donna a) intendeva chiedere nientemeno che un aborto;

d)      centinaia di figure incappucciate e nere che, dagli spalti dello sfondo, guardavano in cagnesco i due frati domenicani c), chi con le mani alzate, chi con i fucili spianati, chi brandendo la croce, chi agitando il corano, chi roteando la spada, chi semplicemente puntando il dito come un’arma di infamia.

On ne vous dira jamais oui – disse quasi senza rendersene conto frate Vittorio alla donna. La frase sottintendeva forse più di quel che lui stesso voleva dire: così almeno dovette sembrare alla giovane destinataria, i cui occhi si scurirono assumendo un colore più intenso, di tenebra. Le ombre della notte calavano intanto sulle sue spalle avvolgendone l’intera figura come un manto di oscurità. Jamais! – ripeté piangendo frate Vittorio Amedeo, mentre sentiva una morsa di rimpianto e nostalgia serrargli lo stomaco. Ma forse era solo la fame. La donna sparì in un fruscio abbacinante di vesti, lasciando dietro sé un inestinguibile profumo di gigli – troppo intenso per una donna onesta.

Di lì a poco dalla chiesa emerse frate Giovanni Battista Boetti, sorridente. Vittorio Amedeo non raccontò nulla al confratello. Gli allacciò un fianco, come si fa tra ragazzi di scuola, e gli chiese se non avesse fame. Frate Boetti si mostrò dapprima sorpreso, poi felice delle attenzioni del collega. Gli era parso che si fosse allontanato dalla chiesa in preda all’ira, perciò vederlo ora così sereno e affettuoso lo consolò e lo rafforzò nella sua felicità. La quiete, come si suol dire, appena prima della tempesta.

Trascorsero appena due giorni, infatti, prima che il vento della sciagura e dell’infamia addensasse le proprie nubi nerissime sul capo dei due fraticelli piemontesi. La donna nestoriana velata che aveva parlato con frate Vittorio Amedeo, infatti, aveva improvvisamente rivelato al padre di essere incinta. Ma aveva inopinatamente aggiunto che il padre del bambino era il frate più bello, quello che affascinava le folle con i propri discorsi in arabo letterario, e che per far cessare lo scandalo le aveva proposto un aborto: sacrilega proposta che la donna aveva prontamente rifiutato. Il padre, furente, chiese una cavalcatura adeguata al suo rango e si mise in strada con un codazzo di servi e di ruffiani, raggiungendo in breve tempo il convento dove domandò di parlare con il padre superiore.

A nulla valsero le proteste di innocenza di padre Boetti, che si ricordava solo dell’incontro avuto con la serva della donna in chiesa. I suoi atti, il suo viso, i suoi gesti mostravano che egli veramente stava cadendo dalle nuvole, non sapeva nulla di ciò che gli veniva addebitato, e ingenuamente si domandava quale legame avessero con lui gli avvenimenti che il padre superiore gli raccontava con tanta cura. La sua sincerità fu presa per posa, i presenti – e il patriarca nestoriano più degli altri – cominciarono a dire che davvero era un uomo pericoloso, così falso da saper fingere un’innocenza che nessuno avrebbe mai potuto riconoscergli. Invano, dietro la porta chiusa della sala capitolare, padre Vittorio Amedeo cercava di intervenire. Il frate posto a guardia dell’ingresso interno gli vietò a più riprese l’ingresso, quasi fino alla fine. Poi, impietosito, aprì la porta. Vittorio Amedeo fece a tempo ad udire la condanna: frate Boetti sarebbe stato inviato a Roma, per ricevere la giusta punizione dai superiori dell’Ordine. E con lui sarebbe andato quell’altro frate, come si chiamava? Ah, sì. Eccolo sulla porta, giunto in tempo per fare un fagotto dei propri stracci e partire, verso Roma, quella sera stessa. Nella notte e nel buio.

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino