L’incredibile storia del profeta Mansur

10Cap X

Decima puntata - Le sorgenti della vita

FRANCESCO PICCO

La vita di padre Hovan era per Viktor come un grande fiume. Un fiume sacro, un Giordano di ore e mesi e anni in cui immergersi ogni giorno per un battesimo di rigenerazione. Quanto grande fosse il fiume, quanto lungo e intricato fosse stato il suo corso, Viktor per ora poteva solo intuirlo. Le informazioni che il vecchio padre taumaturgo gli forniva ogni giorno di sé erano poche e sembravano casuali. Ma non lo erano. Giorno dopo giorno, conversazione dopo conversazione, in piemontese – e da piemontese – padre Hovan forniva al suo nuovo giovane confratello tutte le coordinate per cartografare l’idrografia della sua travolgente esistenza.

Come tutti i grandi fiumi  che attraversano le praterie della storia (oltre a quelle della geografia), padre Hovan era nato da una piccola insignificante sorgente. Una borgatella di Casale Monferrato chiamata Piazzano. Un posto anonimo, che anonimo sarebbe rimasto se non  gli fosse toccata la sorte di dare alla luce l’uomo più straordinario dell’intero secolo. Il Settecento era il secolo dei grandi mostri, i vampiri della fama e del potere. Per quanto incredibile possa sembrare, padre Hovan era stato uno di questi. Prima di essere padre Hovan, naturalmente. Dopo essere stato, però, Giovanni Battista Boetti.

Il nome vero era venuto fuori così, quasi per caso, nella penombra della chiesa del convento.  Era la sera del due giugno. Padre Hovan era da solo con Viktor e improvvisamente aveva cambiato dialetto. Non parlava più nel raffinato piemontese di corte a cui anche Viktor, quando era Vittorio Amedeo, era stato abituato. Di colpo, padre Hovan aveva cominciato a parlare con l’accento largo, rude e vinoso della lingua monferrina. E in quella aveva spiegato di chiamarsi Giovan Battista Boetti, di essere nato proprio in quello stesso giorno, ma molti anni prima – nel 1743 – in un paese di nome Piazzano, in pieno Monferrato. Un borgo in collina, su un poggio assolato, dove termina la valle della Dardagna in una magnifica conca verde. Quasi quasi padre Hovan si metteva a piangere. Rievocava con un continuo tremore delle mani nodose quella conca di mezza collina, quelle strade strette, quella parrocchia dipendente dai marchesi Scarampi di Villanova, conti di Camino, che certo Viktor (o meglio, il Vittorio Amedeo che lo aveva preceduto) in qualche modo doveva conoscere. In realtà Viktor non conosceva né i marchesi, che sentiva nominare per la prima volta nella sua vita, né il borgo di Piazzano. Ma Casale Monferrato sì, gli rievocava alcuni confusi ricordi; e il cognome Boetti – questo senz’altro sì – gli suonava molto familiare, anche perché aveva da parte materna origini in una valle della montagna piemontese dove era particolarmente diffuso.

Viktor però si accorse ben presto che il vecchio taumaturgo non gli stava veramente facendo delle domande. Quando gli chiedeva qualcosa non era per ottenere risposte, ma solo per avere l’assicurazione che il giovane confratello lo stesse ascoltando. Viktor, che era intelligente, capì di dover stare al gioco se voleva ancora ascoltare la narrazione autobiografica del vecchio. E lui voleva sentirla, eccome. Lo voleva più di ogni altra cosa al mondo. Così si adattò ad emettere inarticolati segni di assenso, a far sì con la testa, a mugugnare qualche insignificante ‘dabon?’, ‘parlapà!’, ‘l’avrìa mai dilo…’, giusto per mantenere viva la conversazione. Ma avrebbe potuto grugnire come un porco o abbaiare come un cane, e il significato sarebbe stato lo stesso: sì, padre Hovan, ti sto ascoltando. Ma ti prego, non smettere di raccontare…

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino