Distanze verticali. Escursioni poetiche sulla montagna a cura di Irene Sabetta

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Dalla nota introduttiva di Irene Sabetta

Non tutti i poeti presenti in questa antologia sono scalatori, ma ciascuno di loro ha una relazione intima e viva con la montagna.
Montagna intesa come ambiente geografico, luogo fisico o luogo immaginato, figura del linguaggio, simbolo, allegoria. Montagna vista dalla vetta, oppure osservata dal basso o da lontano, sullo sfondo del paesaggio. Montagna come meta da raggiungere, chimera o precipizio, montagna che accoglie e montagna che incombe e minaccia. Di sicuro, ciò che qui chiamiamo montagna è “una collaborazione tra certe forme del mondo fisico e la nostra immaginazione: una montagna della mente” (cit.The mountains of the mind, Robert Macfarlane). Nei testi poetici raccolti nel libro, essa diventa strumento evocativo d’eccezione per parlare di altro [...]. Al fine di suscitare in chi vorrà leggere l’effetto di frastagliatura e di saliscendi, tipico dei luoghi e dei paesaggi montani, i testi sono presentati, non secondo un criterio di vicinanza tematica, stilistica o geografica ma, semplicemente, in ordine alfabetico e perciò casuale. Fonte di allegorie e allegoria esso stesso, il monte, con i suoi boschi e suoi ghiacciai, il verde dei prati e il bianco della neve, i suoi alberi e i suoi animali, le sue forme più svariate è spazio privilegiato e aperto dell’immaginazione il quale riceve le proiezioni della fantasia e genera, a sua volta, significati e figurazioni. E l’andare in montagna, salire verso la vetta e ridiscendere a valle, sono metafora del cammino per diventare ciò che si è. Perché dedicare un’antologia poetica al tema della montagna? Innanzitutto perché parlare di ambiente naturale significa rilanciare, attraverso i mezzi di cui disponiamo, in questo caso la poesia, il legame imprescindibile e vitale tra noi e la natura. Ma c’è, a mio avviso, anche una ragione più specifica e precipua: la montagna, l’andare in montagna, hanno a che fare con lo scrivere poesia, con l’esercizio della scrittura e, forse, ne rappresentano l’aspetto più “mentale”, per non dire spirituale”. [...] La montagna segna “la giusta distanza”: per riuscire a vedere le cose e raccontarle c’è bisogno di allontanarsi. L’esercizio della montagna, inteso come occasione per perdersi, distaccarsi dai condizionamenti, abbandonare ciò che è noto e abbandonarsi, invece, alla forza e alla persistenza dal mistero che ancora riusciamo a trovare nei luoghi impervi e solitari, è analogo al processo generativo della poesia; leggere una poesia è come scoprire un mondo, scrivere una poesia è spesso ritrovarsi nel cuore del mistero. A scuola dalla montagna si possono imparare cose importanti come il senso del limite, lo spirito di sacrificio, l’inutilità delle scorciatoie e la resistenza: in montagna, come dovrebbe essere anche in poesia, etica ed estetica, giusti comportamenti e bellezza, camminano fianco a fianco. La lezione fondamentale che si apprende riguarda, tuttavia, la  realtà: la natura, intesa come materia, come mondo fisico, è illogica e imprevedibile. Perciò in montagna, dove non ci si può sottrarre alle leggi ferree della necessità, si impara ad osservare con attenzione, a riconsiderare ciò che è noto alla luce di una percezione acuita dal senso del pericolo e del rischio. La stessa attenzione, lo stesso spirito di osservazione della realtà sono elementi fondamentali del processo di produzione poetica.
Il coinvolgimento totale del corpo e del respiro, che sono condizione imprescindibile del camminare in salita, ha, inoltre, qualcosa in comune con il concetto di “embodied poetry”. Oggi, in pieno esilio del corpo dalle attività della conoscenza, in fase di “disincarnazione delle coscienze”, la poesia come arte del corpo e, viceversa, la fruizione psico-emotiva della poesia costituiscono una nuova frontiera da esplorare. La risposta emozionale e i riverberi intrapsichici legati all’esperienza della poesia implicano attivazione di reti neuronali, sensazioni e modificazioni dell’umore, analoghe a ciò che avviene, a livello mentale e fisico, quando si va in montagna. Un altro aspetto che avvicina la montagna alla poesia è il carattere necessariamente individuale del percorso poetico. Per la comunità in viaggio, la montagna è un ostacolo, come un fiume da guadare, una selva buia da attraversare. [...] La montagna è meta di un’esperienza solitaria, la relazione è sempre di uno a uno, tra le proprie forze e il cammino da fare. Similmente, nel processo di “poièsis” c’è un corpo a corpo tra l’immaginazione del poeta e il linguaggio da plasmare. Al termine di ogni escursione in montagna ci sentiamo appagati; ugualmente, alla fine di un percorso di creazione poetica, sentiamo di aver raggiunto il nostro limite: più in là non si poteva andare, siamo arrivati. E, alla radice del nostro sentire, proviamo un moto di soddisfazione immune da delusione, anche se solo per un attimo. Distanze verticali si offre al lettore come uno spazio aperto, variegato ed emozionante al pari di un paesaggio montano. Gli autori e le autrici che hanno risposto alla chiamata a raccolta, provengono da diverse regioni, appartengono a diverse generazioni e ciascuno, con il proprio tono, in lingua o in dialetto, restituisce il riverbero che le montagne suscitano nella loro sensibilità. Dalle nevi delle Alpi, al fuoco dell’Etna, dalle pareti rocciose delle Dolomiti ai “monti” dei luoghi interiori. Non poesie d’occasione dunque, ma tutte nate dall’autentica e originaria relazione che ogni autore presente nel libro intrattiene con questi “maestri silenziosi”.

Da Distanze verticali. Escursioni poetiche in montagna (Macabor Editore 2024), a cura di Irene Sabetta. Testi di: Marco Bellini, Remigio Bertolino, Stefania Bortoli, Maria Pina Ciancio, Danila Di Croce, Carlo Di Legge, Annamaria Ferramosca, Stefano Guglielmin, Paola Loreto, Annalisa Manstretta, Piero Marelli, Daìta Martinez, Alfredo Panetta, Margherita Parrelli, Paolo Polvani, Lorenzo Rapisarda, Annalisa Rodeghiero, Silvia Rosa, Adriana Tasin ed Edoardo Zuccato.

Io abito dentro parole
povere
in un bosco di radici e vento
che fa immenso questo giorno
breve
quando il cuore è muschio per i grilli
le mie mani rami per i passeri
la sosta una carezza
lieve
per la lepre che non torna

[Maria Pina Ciancio]

*

La salita si vende a prezzo pieno,
non rientra negli sconti di fine stagione.

Se accorcia il respiro, allunga la vista
al presbite che lontano
scorge quanto ha sotto il naso.

Ha un portamento, un’eleganza
di modella che affina i passi
e in alta quota l’aria.

E non cede come elastico
lanciato a vuoto, ma è corda
tesa di violino a cercare
l’altezza esatta della nota.

Si assicura il vento, la pressione;
poi incurva l’orizzonte
e il cuore
quando ci si volta indietro
a salutare.

[Danila Di Croce]

*

parla un continente intorno a noi dentro noi

deve esserci nascosto un non so che di vivo
nel silenzio della neve nel rumore della pioggia
nella rabbia della grandine
– pure mi fa tenerezza
il brusio della sabbia calpestata –
tutte vite brevissime
con permesso di voce solo a sprazzi
è come in sogno che s’aprono i varchi per
l’altro
il sempre inesplorato il magnifico parlante
l’altro
che abita l’animale l’erba la pietra
perimetrate e nitide
pure le voci dal nostro corpo
ché parlano mani caviglie muscoli cuore
parla un continente intorno a noi dentro noi

[Annamaria Ferramosca]

*

Le poesie sulla montagna puoi appenderle al chiodo. Quando ci cammini dentro, invece, vedi l’abete il muschio il faggio la pietra l’erba il sentiero, senti il respiro e un sorso d’azzurro che ti aspetta. Talvolta il camoscio appare, corre e scompare. La chiami montagna ma è come il prato infinito di Calvino: un insieme di insiemi, una mappa da rifare: ogni passo ridefinisce la tappa,

ogni falcata un compasso. Ecco vedi: mi faccio prendere dalla poesia, ma ho promesso una prosa, sperimentale, per giunta. Scrivo perciò una prosa nella montagna, dove non vedi che parti, ritagli: la linea della dolomia, il crepaccio, il ciuffo d’erba dal nome latino – o ladino, se sali in Tirolo – il mugo, il coro delle mosche: la montagna intera la guardi dalla pianura, là dove, fermi, si muore.

[Stefano Guglielmin]

*

Montagna

Tutta la notte fitta
nel brusio della capigliatura
nel tafferuglio di foglie
nel subitaneo sussulto
del richiamo del gufo
tutta la notte fitta
nel dirupo di uccelli
notturni nel velluto
del buio, nei frantumi
dei gridi, nel sospiro
affannoso di rupi
tutta la notte fitta
nel brusio di quegli alberi
nudi nella direzione
del sogno, nella gerarchia
delle nebbie, nelle
gutturali carezze

[Paolo Polvani]

*

La slitta del sergente

Ora che la prima neve
fa sopra i tetti cartolina
e dentro l’anima è sudario
sugli abeti crocifissi
una risposta Mario te la vorrei dare.
Vedi, la speranza è proprio là
seduta sopra quella slitta nella piana
imbevuta della luce che tu sai, bianca di neve.

Lassù dove il piano si connette al monte
e valli e cielo versano grumoso latte
voglio ancora immaginare
sguardi innamorati di bellezza
sotto la luna ammantata a sposa.

Allora sfumano lente in albe
tutte le notti del mondo
perché sotto quella luna piena nella piana
la poesia non muore e tu lo sai
– Sergente –
fino a quando esisterà
anche un solo uomo sulla terra
e la terra dentro occhi innamorati.

[Annalisa Rodeghiero]

*

Trittico per l’Etna

è tra il fremito delle stratiformi
un cielo a brandelli s’intramonta
oltre crateri in brace di neve
madre nera
montagna della sera
in fondo tutti dal fuoco veniamo
*
puoi scorgerla in fondo al cielo di foglie
nell’alba del canto di un tordo
tra fiamme di ginestra
in fondo alla Valle del Bove
fino alla cima che adesso arde
per l’ossidiana tua gloria
il nome del monte che sei
*
prova a inseguire anche tu
il taglio d’aria della poiana
perdersi fino all’abisso di cime
in anelli di fumo dove s’inciela
negli occhi l’offerta di brace che siamo
in fondo
l’addio è sempre, in ogni istante

[Lorenzo Rapisarda]

Irene Sabetta vive ad Alatri, dove insegna Lingua e letteratura inglese al liceo. A scuola coordina anche da molti anni un laboratorio teatrale.  Suoi testi sono presenti su diversi blog, in antologie curate da vari editori, in poemi collettivi e riviste letterarie on line e cartacee. Nel 2018 la casa editrice LietoColle ha scelto alcune sue poesie per l’Antologia iPoet. Nello stesso anno è uscita, per le Edizioni EscaMontage, la plaquette Inconcludendo. Nel 2020 ha pubblicato la raccolta Il mondo visto da vicino (Il Convivio Editore), con la prefazione di Beppe Sebaste. Collabora con la rivista periodica Formafluens – International Literary Magazine, diretta da Tiziana Colusso, e con Poetanza Web Radio. Partecipa a reading e maratone poetiche.

(A cura di Silvia Rosa)