L’incredibile storia del profeta Mansur

11Capitolo XI

Undicesima puntata - Il lungo odio del piccolo orfano

FRANCESCO PICCO

Viktor scoprì ben presto che padre Hovan, quando era Giovanni Battista, apparteneva anche lui alla nobiltà sabauda. Ma una nobiltà molto più piccola della sua. Il padre di Giovanni Battista era un conte e come tale poteva aspirare a diventare, tutt’al più, un podestà. Il podestà della sua porcareccia, l’ignoto Piazzano, in quel sud del Piemonte che da tempo immemorabile è sempre stato un’altra regione: il Monferrato. Il conte Boetti, ‘quel’ podestà del Monferrato, era un notaio di famiglia nobile – molto ma molto decaduta. Si chiamava Spirito Bartolomeo (Boetti, naturalmente) ed aveva sposato una donna pure lei nobile – e pure lei decaduta: Maria Margherita Montalto, di Crescentino Po, altro piccolo centro dell’ex marchesato di Monferrato.

La maggiore decadenza della povera Margherita era suo marito. Un ubriacone grezzo, con la barba sempre unta di grasso. Aveva occhi neri e porcini, il conte. Li teneva sempre girati a terra. Così non guardava mai negli occhi degli altri. Nemmeno in quelli della sua disgraziata moglie, sposata con grande dispendio di sfarzo nel 1740 e dalla notte stessa del matrimonio brutalizzata con continue richieste sessuali. Tutte formulate senza un solo incrocio di sguardi.

Padre Hovan tremava sempre nel raccontare come sua madre fosse morta di parto. Il quindicesimo parto. Le mani fini e duttili del vecchio frate armeno disegnavano cerchi di odio nella penombra del convento di Solevetsk. Dentro il suo corpo di vecchio si agitavano le fibre inquiete del piccolo Giovan Battista Boetti, che non aveva mai perdonato al conte padre di avergli ucciso la mamma. Quindici parti, quindici figli concepiti senza ricevere dal marito nemmeno il dono di un singolo sguardo di amore.

Viktor stava zitto quando padre Hovan parlava di sé. All’inizio aveva taciuto per imbarazzo, poi con l’andare del tempo si era abituato a quel silenzio. Un silenzio in cui poteva raccogliere facilmente ogni briciola del racconto del suo maestro, che più e più volte era stato sul punto di mettersi a piangere. In particolare quando aveva raccontato di come, alla notizia della morte di sua mamma, fosse scappato dal palazzo signorile in cui viveva con l’odiato padre. Attraversando i frutteti e i vigneti era arrivato fin sulla cima del colle di Piazzano, che lui chiamava Monte Sion, per gridare alla sonnolenta pace del Monferrato tutta la propria disperazione di orfano, il proprio sterminato odio nei confronti del padre e, forse, di Dio.

Su questo racconto, di colpo, padre Hovan si era interrotto e aveva congedato Viktor con un gesto della mano quasi scortese. Viktor si era inchinato in segno di rispetto e si era ritirato nella sua cella a pensare in silenzio, sdraiato sul tavolaccio che gli serviva da giaciglio. E qui, dopo un’ora, era stato sorpreso da un suono inconsueto: qualcuno stava bussando alla porta della cella. Era per Viktor un’esperienza decisamente inconsueta. Molto raramente qualcuno dei fratelli veniva a chiamarlo. Si chiese chi fosse con un certo sospetto: ricordava bene quel che era accaduto a Sergej poco più di un anno prima. Eppure, curioso com’era, non tardò molto ad alzarsi e ad aprire. Era padre Hovan che gli intimò subito di stare zitto, si guardò intorno per controllare che non ci fosse nessuno nel corridoio e infine gli fece cenno di seguirlo.

Viktor, naturalmente, non si fece ripetere il cenno. Chiuse la porta e si incamminò dietro a padre Hovan (o forse dietro al piccolo Giovanni Battista Boetti…) lungo i bui corridoi affrescati del convento armeno di Solovetsk.

(Continua)

Prima puntata
Seconda puntata
Terza puntata
Quarta puntata
Quinta puntata
Sesta puntata
Settima puntata
Ottava puntata
Nona Puntata
Decima puntata

Illustrazione di Franco Blandino