GABRIELLA MONGARDI.
Recensione di Non chiedere alla neve di Giannino Balbis, Puntoacapo editrice, 2014
Non ci si lasci ingannare dall’understatement dell’autore, che dedica la sua opera “Ai miei vecchi e al loro mondo”: non è la nostalgia per il bel tempo andato né la dimensione locale né la sincerità di sentimenti la chiave di lettura più appropriata per questo libro. Non che sia sbagliato leggerlo in quell’ottica, ovviamente, ma è riduttivo: considerarlo solo come documento della vita di una piccola comunità tra Piemonte e Liguria nella prima metà del Novecento non rende giustizia alla poesia che vi si annida. Certo, è innegabile che l’impulso primo della scrittura sia quello di rendere testimonianza a un “mondo dei vinti”, a un passato cancellato dalla guerra e dal ‘progresso’, per impedire il franare nel nulla di questo nostro vecchio ricordare / (che tiene quel che siamo / e quel che fu): il poeta moderno in un certo senso si fa erede della tradizione orale dei racconti invernali nelle stalle, di cascina in cascina, e a quella tradizione accorda in parte la sintassi e il lessico dei suoi versi, in cui parlano le voci dei narratori popolari. Solo in parte, come vedremo.
Benché il sottotitolo parli di cinque poemetti, il testo si direbbe teatrale più che epico, i cinque poemetti potendosi considerare quasi gli stasimi di una tragedia greca, in cui il coro commenta avvenimenti accaduti in un altrove temporale e/o spaziale: una lite per una questione di confini e di legna, l’emigrazione in Merica, la guerra. E non inganni il titolo ‘iliadico’ del penultimo poemetto, La guerra di Achille, a mio avviso il culmine del volume: Achille non è un eroe che combatte in prima fila, è semmai un testimone, ma in quell’assurda, allucinante guerra civile che è la Resistenza nessuno può stare in disparte, abdicare alla propria responsabilità fondamentale, primaria, quella di essere uomo. Qui è avvertibile la lezione di Pavese, il Pavese di romanzi come La casa in collina e La luna e i falò, ma per altri aspetti vengono invece in mente il Pascoli dei Poemetti o il Carducci della metrica barbara. Proprio il metro è sorprendente, e la dice lunga sul carattere non-narrativo del testo: i versi sono infatti prevalentemente dei settenari, i versi lirici e cantabili per eccellenza, ‘allungati’ da sapienti enjambements e disseminati di rime e assonanze anche interne.
Anche il lessico, pur dominato dalla mimesi del parlato popolare, non riesce a evitare slittamenti metaforici e fiorisce allora di immagini intensamente simboliche, in primis quella della neve, che incornicia e percorre i cinque poemetti e compare fin dal titolo come interlocutrice impossibile. Ma se nemmeno la neve sa il senso delle storie / vissute e non vissute, è però la neve a rendere possibile il discorso poetico, in quanto metafora della freddezza e della distanza e della pietas necessarie al poeta per rendere la sua testimonianza: una testimonianza appena increspata di commozione, perché altrimenti sarebbe impronunciabile – una testimonianza altissima, proprio per le scelte espressive che la proiettano su un altro piano, universale. Quello della Poesia foscolianamente eternatrice, che non consola, non giudica, ma immortala il vissuto.
Giannino Balbis (Bardineto, 1948). Già assistente e ricercatore universitario, docente di Lettere nei Licei. Dirige varie collane di studi, didattica e poesia. Ideatore e organizzatore di convegni letterari, tra i quali gli “Incontri Ingauni” di Albenga (dedicati ai classici della letteratura italiana) e i “Convegni liguri-piemontesi” (dedicati alla letteratura del ’900). Consulente editoriale e autore di testi scolastici per Atlas, Il Capitello, Minerva Italica, Zaccagnino. Autore di oltre un migliaio di volumi, saggi, articoli, recensioni (di storia, letteratura, poesia, critica d’arte e letteraria), testi scolastici e raccolte poetiche. Con Giorgio Bárberi Squarotti e Giangiacomo Amoretti ha fondato il movimento poetico “003 e oltre“. Ha pubblicato raccolte poetiche in lingua e in dialetto, fra cui nel 2002 Poesis (1970-2000), con prefazione di G.Barberi Squarotti e nel 2011 Decennale quarto. Poesie 2001-2010, con prefazione di Giangiacomo Amoretti.
(QUI il testo del quinto poemetto)